Biologico cinese: il nome è tutto un programma

Sempre più persone scelgono il biologico come stile di vita, non solo per la salubrità dei prodotti, ma anche perché garantiscono un’etica dietro alla produzione. Caratteristiche difficilmente verificabili, però, quando abbiamo a che fare con prodotti importati dalla Cina.

Secondo il dottor Alberto Manzo del Ministero delle Politiche Agricole, sono possibili «triangolazioni», passaggi e rimbalzi che permettono alle merci di trasformarsi ecambiare addirittura nazionalità.

Le etichette in Italia sono ancora enigmatiche con indicazioni che massimo riportano un generico ‘Agricoltura non UE’ oppure ‘Agricoltura UE/non UE’ per quei prodotti composti da più ingredienti.

INVASIONE CINESE?

Quello che è certo, analizzando i pochi dati a disposizione, è che il mercato dell’export dei prodotti biologici dall’Asia è in aumento. Emerge soprattutto l’esportazione di colture industriali come la soia, destinate quasi esclusivamente alla produzione di mangimi per l’allevamento intensivo.

Critiche al sistema biologico vengono avanzate anche da noi in Italia dove sono le stesse aziende controllate a pagare i loro controllori, ma nel caso della Cina stiamo parlando di un regime in cui le minoranze e le opposizioni vengono sistematicamente incarcerate e spesso costrette a lavorare con orari massacranti e senza alcun tipo di tutela o remunerazione.

Il dottor Fabrizio Piva, amministratore delegato della Ccpb, il primo organismo di controllo italiano autorizzato dalla Ue per equiparare le certificazioni di Paesi terzi, ci tiene a dire che da luglio dell’anno scorso tutto è cambiato e anche l’Europa è corsa ai ripari sulle certificazioni bio per aziende di altri Paesi: «Dal luglio 2014 è possibile importare prodotti bio dalla Cina solo se certificati da organismi di certificazione giudicati equivalenti dalla Commissione Europea». Prima di allora erano sufficienti alcuni documenti emessi da enti certificatori di dubbia natura che nel caso della Cina spesso erano in accordo con le stesse aziende controllate.

Nonostante l’aumento di esportazioni, il dottor Piva esprime la sua convinzione che presto la Cina avrà bisogno di un maggior numero di prodotti alimentari per soddisfare la sempre crescente domanda interna e che quindi un’invasione di prodotti biologici dalla Cina è alquanto improbabile.

BIO O NON BIO?

Uno dei maggiori portali web che mette in contatto produttori e distributori del biologico a livello mondiale, non è tanto d’accordo sul fatto che adesso i controlli siano capillari e per email risponde in maniera anonima: «È probabile che la versione cinese della certificazione bio sia usata per le grosse esportazioni. [Ma] direi che probabilmente qualsiasi cosa acquistata in piccole quantità o localmente NON viene controllata».

«Ma questa è solo la mia opinione», ha aggiunto.

Da un estratto del regolamento 1287/14 dell’Unione Europea si leggono informazioni su un ente certificatore cinese di nome Organic Food Development Center: «A seguito di residui multipli di pesticidi rilevati in campioni di prodotti biologici importati nell’Unione dalla Cina, la Commissione ha chiesto a Organic Food Development Center di intervenire e di applicare misure di controllo rafforzate nei confronti della Cina. La Commissione non ha ricevuto alcuna risposta a tali richieste entro i termini stabiliti. È pertanto opportuno sopprimere Organic Food Development Center dall’elenco […] fino a quando non pervengano informazioni soddisfacenti».

Se da una parte i problemi riguardanti contaminazioni da pesticidi (come successo negli USA con l’Aldicarb, un potente pesticida ritrovato nel ginger proveniente dalla Cina) o altro possono essere in parte risolti attraverso controlli più attenti, dall’altra il pericolo che molti dei lavoratori di queste aziende siano sfruttati oltremisura è sicuramente alto.

Alla domanda di come si possa essere sicuri che in certe aziende non vengano violati i diritti umani di milioni di cinesi per produrre certi prodotti, anche il dottor Piva deve ammettere: «Un prodotto biologico che è rispettoso dei metodi di produzione biologica, non è necessariamente rispettoso dei criteri di natura sociale o etica», e continua dicendo: «le due cose andrebbero sicuramente messe insieme».

Alla luce di questi dati verrebbe da consigliare ai più attenti consumatori di preferire i prodotti locali, freschi e genuini, magari anche andando a trovare il contadino che potrebbe spiegarci come vedono la luce certe produzioni. Non tutti certo avranno il tempo di farlo, ma allora viene spontanea la domanda: ‘Fanno più male i borlotti italiani non biologici o quelli cinesi biologici?’

*Immagine sul made in China concessa da Shutterstock

 
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