Fiume di miliardi dall’Italia alla Cina

Torna d’attualità l’indagine della Procura di Firenze: 4,5 miliardi di euro ‘spariti’ e 45 evasi. Un’inaudita sottrazione di ricchezza al sistema economico italiano.

Un’indagine della magistratura di Firenze del giugno 2015, ha rivelato l’esistenza di un vero e proprio fiume di denaro in rotta dal nostro Paese verso la Cina. Quasi 300 persone sono state rinviate a giudizio per associazione a delinquere: si tratta per la maggior parte di imprenditori cinesi che operavano in Italia, ma nella lista figurano anche gli operatori di alcune agenzie di trasferimento di denaro e alcuni personaggi chiave della Bank of China di Milano.

La cifra è enorme: 4,5 miliardi di euro sono stati inviati in Cina attraverso le agenzie Money2Money (una società italiana di trasferimento di denaro) dal 2006 al 2010, e la Bank of China è stata indagata per non aver segnalato 2,2 miliardi. Gli imprenditori cinesi, per la maggior parte di Prato e attivi nel settore dell’abbigliamento, trasferivano il denaro in Cina servendosi di queste agenzie, attraverso un escamotage.

Per evitare problemi di tracciabilità, infatti, il contante era opportunamente ‘spezzettato’ in tranches, tali da non superare i limiti imposti dalla normativa antiriciclaggio. 4,5 Miliardi di euro: considerando che la normativa in quegli anni prevedeva al massimo 2999 euro per singolo trasferimento di contanti, si parla di approssimativamente 1,5 milioni di euro trasferiti dall’Italia alla Cina in cinque anni. Quasi mille invii al giorno tra le 14 agenzie indagate, sparse tra Prato, Roma, Sesto Fiorentino, Napoli, Empoli e Padova: una media di 60 invii illegali al giorno per ogni agenzia.

Le intercettazioni telefoniche e ambientali della Guardia di Finanza hanno appurato che, per effettuare un numero così elevato di rimesse di denaro, le agenzie utilizzavano documenti falsi, nominativi di persone morte o il nome di persone ignare, che erano già presenti nel database delle agenzie Money2Money per via di operazioni effettuate in passato. «A volte era una sola persona che si presentava con una busta piena di denaro, con magari migliaia di euro, e poi erano gli stessi addetti dell’agenzia che provvedevano a frazionare in somme sottosoglia e a trovare le generalità della persona a cui intestare l’invio di denaro. Non era più un problema del cliente: era l’agenzia stessa che provvedeva a tutto», ha dichiarato Gianluca Tarquini, funzionario dell’Europol, un’agenzia finalizzata alla lotta del crimine nell’Unione Europea.

Secondo Tarquini, l’Italia probabilmente costituiva il centro di un’organizzazione che inviava denaro in Cina per poi essere reinvestito. «Come ha giustamente fatto presente Igor Angelini, [funzionario dell’Europol presso il quale lavora Tarquini, ndr], è difficile pensare che 4,5 miliardi di euro di capitali illeciti, fossero prodotti solo in Italia. […] È molto più logico pensare che l’Italia, nello specifico Prato e Firenze, facessero come da collettori per altre parti d’Europa».

Tarquini ritiene possibile che il denaro inviato in Cina da un lato servisse per acquistare merce contraffatta da esportare in Europa, e dall’altro per alimentare l’immigrazione clandestina di cinesi in Italia. Inoltre ha ipotizzato che il flusso di merce cinese in arrivo in Italia, possa essere stato favorito da funzionari doganali corrotti in Cina.

Che sia stata corruzione o no in Cina, dalle carte giudiziarie emerge un elenco impressionante di reati che sarebbero stati commessi dagli imprenditori cinesi: evasione fiscale (stimata di circa 45 milioni di euro), riciclaggio di denaro, ingiusto profitto, evasione dei dazi doganali, fatturato non dichiarato, evasione diritti di monopolio, evasione di sovraimposte di confine, contraffazione e alterazione di marchi, sfruttamento, per parlare dei più comuni. E la lista non finisce qui.

LA CINA NON COLLABORA

Le responsabilità accertate in Italia sono solo una parte del puzzle, dal momento il denaro veniva inviato in Cina. E qui viene il bello: le autorità italiane hanno inviato una rogatoria in Cina per segnalare il caso e ottenere piena collaborazione, ha spiegato Tarquini. Ma senza ricevere risposta. «Questo è il punto morto che è stato evidenziato in più sedi da parte della magistratura italiana – ossia la mancanza di cooperazione da parte delle autorità cinesi – per cercare di capire quale fosse la destinazione finale delle somme di denaro».

Tarquini ha poi spiegato che le agenzie Money2Money si appoggiavano a un conto presso la Bank of China di Milano. Dall’analisi della richiesta di rinvio a giudizio inviata dal Pm Giulio Monferini, responsabile dell’indagine presso la Procura di Firenze, risulta che la filiale milanese sia accusata di aver agevolato il riciclaggio dei soldi delle agenzie M2M, non avendo segnalato alle autorità competenti i trasferimenti sospetti ma avendo solo inviato alcuni ‘Sos’ generici. Tutto questo in una situazione in cui vi sono stati 758 mila euro di commissioni.

Ma la Bank of China di Milano sembra sicura della sua estraneità ai fatti: «non c’è stata nessuna violazione da parte della banca nel passato», ha dichiarato Benedetto Rehò, ‘compliance officer’ presso la Bank of China di Milano, in un colloquio telefonico. Rehò, da tre anni e mezzo lavora per la Bank of China di Milano, un anno dopo la conclusione del periodo oggetto d’indagine. Il funzionario antiriciclaggio ha spiegato che, ai sensi dell’articolo 106 del testo unico bancario, i moneytransfer autorizzati sono vigilati dalla Banca d’Italia, e nei rapporti tra banca e questi operatori vige la cosiddetta procedura semplificata, che esenta la banca dall’obbligo di fare delle registrazioni dei pagamenti ricevuti. «Questo perché lo stesso soggetto, con cui opero come controparte, è un soggetto abilitato, è un soggetto vigilato ed è esso stesso che avrà il mio equivalente obbligo di registrare le operazioni con la propria clientela».

Secondo Rehò i reati di riciclaggio sono stati commessi e consumati solamente presso le agenzie M2M. Queste agenzie operano appoggiandosi a un conto corrente bancario e secondo Rehò, quando una banca (in questo caso la Bank of China) riceve del denaro da queste agenzie, può tranquillamente immettere il contante nel circuito.
Ma l’accusa ritiene che le cose non stiano così, poiché la Bank of China non avrebbe segnalato «le più rilevanti operazioni sospette o addirittura con tutta evidenza contrarie alla normativa di settore, [..] ostacolando così l’identificazione della reale provenienza», si legge sulla richiesta di rinvio a giudizio.

Indipendentemente dalle responsabilità della Bank of China di Milano, che verranno accertate dalla Procura di Firenze, le autorità in Cina non hanno fornito spiegazioni per un caso che vede in gioco somme di denaro pari quasi a una manovra finanziaria. È quindi evidente che le autorità cinesi stiano nascondendo qualcosa di grosso. Cosa stiano nascondendo esattamente non è stato scoperto, ma è un caso di massima rilevanza dal momento che sono stati coinvolti diversi imprenditori cinesi residenti in Italia.

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