Banche italiane, troppi crediti inesigibili. Ma l’Europa rifiuta il bailout

Le banche italiane sono gravate dal peso dei crediti di bassa qualità, dato che, a causa della crisi, molti cittadini non sono in grado di ripagare i mutui concessi dalle banche.

Per questa ragione il premier Matteo Renzi ha più volte chiesto in sede europea un intervento di bail out, che permetta allo Stato di utilizzare denaro pubblico per salvare le banche. Questo, tuttavia, al momento non è fattibile: in base alle norme europee recepite all’inizio di quest’anno dall’Italia, l’unico intervento plausibile è il bail in, che consiste nel salvare la banca facendo pagare prima di tutto gli azionisti dell’istituto interessato. Niente comunque impedisce all’Europa di cambiare la normativa, cosa che sia Renzi che David Folkerts-Landau, capo economista della Deutsche Bank, suggeriscono. Quest’ultimo auspica un maxi bail out di 150 miliardi di euro per le banche europee, ed esprime preoccupazione soprattutto per la situazione italiana.

Secondo alcuni osservatori, tuttavia, il bail in potrebbe non funzionare perché rischia di portare a una corsa preventiva agli sportelli.

Epoch Times ha chiesto il parere di Chiara Oldani, docente di Politica economica al Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università della Tuscia di Viterbo.

Il premier Renzi chiede da tempo all’Europa un bail out per salvare le banche italiane. Ma perché le banche italiane sono così indebitate?

«Le banche italiane sono indebitate perché hanno un alto livello di crediti di pessima qualità, ovvero di crediti che non verranno restituiti. Quindi l’indebitamento è un discorso, il problema però non è questo, ma è l’ammontare dei crediti che non vengono rimborsati che è troppo alto: per alcune banche è superiore addirittura al 20 per cento del totale dei crediti, un livello sicuramente preoccupante».

Le norme europee al momento consentono soltanto il bail in e non il bail out, giusto?

«La direttiva è entrata in vigore in Italia il primo gennaio 2016, quindi non è più possibile per lo Stato intervenire direttamente per salvare una banca. L’unico sistema è quello della solidarietà tra le banche, quello del salvataggio privato, ovvero che le banche più ricche salvino quelle più povere».

Perché le norme europee non consentono più il bail out?

«Perché in passato alcuni Stati hanno salvato interi sistemi finanziari, come l’Irlanda e la Germania, quindi l’Europa non ha voluto estendere questo tipo di comportamento a tutti i Paesi dell’unione bancaria, perché noi siamo un’unione bancaria».

Il bail-in non funzionerebbe per le banche italiane? Cosa comporterebbe?

«Certo che funzionerebbe, per tutte le banche dell’euro, è già in vigore: in caso di fallimento bancario, pagano gli azionisti».

Secondo lei cosa potrebbe accadere, se l’Europa negasse la possibilità di un bail-out, che Renzi desidera?

«Allora: quello di cui si sta parlando adesso al Monte dei Paschi non è un vero bail out, ma è l’intervento del fondo atlantico, un fondo privato finanziato dalle altre banche. Non si tratta perciò di un bail out, ma di un salvataggio delle altre banche. Il problema sorgerà se questo non dovesse bastare, se l’intervento di Atlante 1 o 2 non bastasse, a questo punto potrebbe intervenire la Cassa depositi e prestiti, che comunque è una Spa, non è lo Stato. Speriamo quindi che fino a qui basti».

Il premier ha più volte detto che in realtà ci sono altre banche europee, che stanno peggio di quelle italiane, e che avrebbero bisogno del bail-out. Molti sostengono che sia la Deutsche Bank ad essere in una situazione critica. Qual è la sua opinione in merito?

«Sì, la Commerzbank soprattutto, che è la seconda banca della Germania. Sono banche che, come le nostre, hanno una grande quantità di crediti in sofferenza, non quanto noi, ma comunque tanti. È soprattutto il sistema di banche popolari di credito cooperative in Germania, che è fallito. Quindi è un po’ tutto il sistema bancario tedesco che è in crisi. E, quando parte la crisi, colpisce tutti».

Quindi, per la situazione attuale, il bail in potrebbe essere positivo per entrambi i Paesi?

«Diciamo di sì, sì».

Prevede qualche cambiamento dopo questa decisione dell’Europa?

«No, adesso è tutto un problema politico per l’Europa, che deve decidere come procedere».

 
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