Nonostante tutto, le aziende investono ancora sulla Cina

Il «disaccoppiamento» dalla Cina sembra più facile a dirsi che a farsi.

Nonostante i segnali dei leader politici nel ridurre l’affiliazione economica e finanziaria con il regime cinese, nella pratica le istituzioni finanziarie statunitensi sembrano invece avvicinarsi sempre più a Pechino. Questo atteggiamento suggerisce che c’è ancora molto lavoro da fare sul fronte del «disaccoppiamento». Gli investimenti delle aziende statunitensi in Cina, infatti, continuano ad un livello elevato, e le società finanziarie stanno pianificando di espandere la loro impronta operativa nel Paese.

In un tweet di metà giugno, il presidente Donald Trump aveva indicato che era sul tavolo «un disaccoppiamento completo dalla Cina». Tuttavia, gli altri membri del governo hanno tenuto toni più leggeri per via della precaria posizione nell’accordo commerciale Usa-Cina della ‘fase uno’. Indipendentemente da questo, la politica estera degli Stati Uniti si è orientata verso relazioni più fredde con Pechino sul fronte economico, tra i fondi pensione federali a cui è stato vietato di investire in società cinesi e le indagini in corso sulle società cinesi che quotano le loro azioni sui mercati statunitensi. A questo, poi, si aggiungono le recenti sanzioni di Washington nei confronti di alti funzionari del Partito comunista cinese (Pcc) per il loro coinvolgimento nella persecuzione dei musulmani uiguri dello Xinjiang.

Le reazioni della Cina fino ad oggi sono consistite in gran parte nel minimizzare il pericolo del disaccoppiamento, ma gli esperti cinesi si stanno preparando sempre più al deterioramento delle relazioni economiche. Zhou Li, ex vice-capo del Dipartimento di collegamento internazionale del Partito comunista cinese, ha recentemente suscitato scalpore, quando ha consigliato al proprio Paese di prepararsi alle conseguenze del disaccoppiamento economico, tra cui la contrazione della domanda estera di beni cinesi, l’interruzione delle catene di approvvigionamento e l’accesso limitato al dollaro statunitense nelle transazioni estere. L’articolo di Zhou Li è apparso su una rivista pubblicata dall’Istituto Chongyang per gli Studi Finanziari dell’Università Renmin.

Investimenti e realtà commerciali

Nonostante la posizione dei funzionari statunitensi, gli investimenti sul territorio e gli scambi finanziari continuano senza sosta: con poche conseguenze negative immediate, che siano legali o economiche, è stato difficile invertire lo slancio delle aziende che si espandono in Cina.

Gli investimenti diretti esteri (Ide) in Cina sono, del resto, rimasti relativamente stabili negli ultimi 10 anni. Secondo un recente studio del Rhodium Group, nel 2019 gli Ide statunitensi in Cina sono stati pari a 14 miliardi di dollari (circa 12 miliardi di euro), leggermente al di sopra dei livelli del 2018: «Gran parte della stabilità degli investimenti statunitensi in Cina è dovuta a grandi progetti pluriennali greenfield, orientati a soddisfare la domanda locale in settori come l’automotive e l’intrattenimento».

Prima dell’inizio della pandemia, il 2020 si stava profilando come un anno importante per gli investimenti delle aziende statunitensi in Cina. Mentre gli Ide in uscita dalla Cina verso gli Stati Uniti si sono fermati nel primo trimestre, gli Ide statunitensi in Cina sono proseguiti con 2,3 miliardi di dollari (circa 2 miliardi di euro) di progetti annunciati, solo leggermente in coda rispetto ai 2,9 miliardi di dollari (circa 2,5 miliardi di euro) dell’anno scorso.

I dati confermano un sondaggio di aprile condotto dalla Camera di Commercio degli Stati Uniti, in cui una maggioranza (70 per cento) degli intervistati afferma che non ci sono attualmente piani per spostare le catene di fornitura fuori dalla Cina. Detto questo, il 52 per cento degli intervistati ha affermato che è troppo presto per dire se lo farà in futuro, mentre l’8 per cento ha detto che si trasferirà fuori dalla Cina.

Quindi, ad aprile 2020, la maggior parte delle aziende era indecisa o non era pronta ad impegnarsi.

La «liberalizzazione del mercato cinese» tenta le imprese finanziarie statunitensi

Per le istituzioni finanziarie, il richiamo delle sirene del mercato cinese è un ostacolo enorme. Le istituzioni finanziarie, a differenza delle aziende di altri settori, fino a poco tempo fa erano per lo più escluse dal mercato cinese continentale.

L’anno scorso, Pechino ha allentato le restrizioni di lunga data sulla proprietà straniera del settore finanziario cinese, comprese le società di brokeraggio, di intermediazione mobiliare e le compagnie di assicurazione. Questo ha recentemente portato ad un enorme aumento del numero di società statunitensi che si sono riversate in Cina per acquisire la maggioranza delle loro joint venture locali.

La banca d’investimento di Wall Street Goldman Sachs, a marzo ha ricevuto l’approvazione per assumere la proprietà maggioritaria della sua joint venture cinese, Goldman Sachs Gao Hua Securities Co. Ltd., che in precedenza deteneva solo il 33 per cento del capitale. La JPMorgan Chase, a giugno ha ricevuto il permesso dai regolatori di Pechino, per iniziare a gestire una filiale cinese di proprietà completamente straniera.

Nell’ambito dei pagamenti, l’emittente di carta di credito American Express, in giugno ha ricevuto l’approvazione per azionare un’operazione cinese di compensazione della carta di credito, diventando la prima emittente di carta di credito degli Stati Uniti ad entrare nel mercato cinese. Anche i concorrenti MasterCard e Visa hanno presentato domanda e sono in attesa di autorizzazione.

PayPal l’anno scorso è diventato il primo fornitore di pagamenti digitali stranieri a ricevere il permesso di operare in Cina, un mercato attualmente dominato dai giganti tecnologici cinesi Tencent e Alibaba.

Un fattore che aveva fortemente frenato i mercati dei capitali onshore della Cina era stato la scarsa qualità delle sue agenzie di rating. Ma all’inizio di quest’anno, Fitch Ratings ha ricevuto la licenza per avviare una filiale cinese per valutare le obbligazioni in Cina, seguendo le orme di S&P Global, dello scorso anno.

La maggiore disponibilità ad aprire i mercati finanziari onshore cinesi alle società straniere potrebbe essere uno dei motivi per cui Pechino non ha tentennato, nell’imporre la legge sulla sicurezza nazionale su Hong Kong. Con un numero sufficiente di banche straniere, società d’investimento e fornitori di servizi di pagamento, Pechino ha infatti meno bisogno che Hong Kong agisca come un gasdotto finanziario tra la Cina e l’Occidente.

La realtà è che i funzionari e i legislatori statunitensi hanno molto lavoro da fare per tenere a casa le aziende statunitensi. Se l’amministrazione è seriamente intenzionata a invertire questa tendenza, è necessario stabilire una legislazione e incentivi economici, al di là della retorica o dell’obbligo morale. E rapidamente.

 

Le opinioni espresse in quest’articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Despite ‘Decoupling’ Narrative, Companies Continue Flocking to China

 
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