Perché l’Australia è uscita dalla Nuova Via della Seta di Pechino

Di Henry Jom

Il 21 aprile, il governo australiano è intervenuto per annullare il controverso accordo dello Stato del Victoria relativo alla Nuova Via della Seta di Pechino, dichiarandolo incoerente con la politica estera e gli interessi nazionali dell’Australia.

La mossa è stata criticata da un diplomatico cinese in quanto non migliorerà le relazioni tra i due Paesi, già diventate tese nell’ultimo anno dopo che l’Australia ha rifiutato di piegarsi alle intimidazioni economiche del regime e ha adottato misure per proteggersi dall’interferenza di Pechino.

Dal canto suo, il governo laburista del Victoria, guidato del premier Daniel Andrews, è rimasto relativamente silenzioso dopo l’intervento del governo federale, mentre molti esperti e politici che sostengono i classici valori liberali dell’Australia hanno espresso sostegno per la mossa, con un senatore dello Stato che ha dichiarato: «è un gran giorno per l’Australia».

Cos’è la Nuova Via della Seta?

La Nuova Via della Seta (nota all’estero come Belt and Road Initiative) è un grande progetto infrastrutturale del Partito Comunista Cinese (Pcc), dal valore di migliaia di miliardi di dollari, che mira da un lato a estendere l’influenza estera del regime cinese rafforzando i legami commerciali con il resto del mondo, e dall’altro a garantire crescenti entrate alla Cina tramite i progetti finanziari legati allo sviluppo infrastrutturale.

Si ritiene che il Pcc stia inoltre tentando di utilizzare l’iniziativa per ottenere maggiore accesso ai mercati esteri, facilitare il commercio e promuovere il renminbi (la moneta cinese) come valuta globale.

Annunciato per la prima volta nel 2013 dal leader cinese Xi Jinping, il nome deriva dai concetti di «Cintura economica della via della seta» e «Via della seta marittima del 21° secolo». Lo scopo è «realizzare l’integrazione economica e lo sviluppo interconnesso» tra la Cina e il mondo tramite una serie di «corridoi» e snodi marittimi, che includono gli assi Cina-Mongolia-Russia, Cina-Asia centrale-Asia occidentale, Cina-Indocina, Cina-Pakistan, e Bangladesh-Cina-India-Myanmar.

Raduno di protesta contro la Belt and Road Initiative sui gradini del parlamento del Victoria, il 7 giugno 2020. (Grace Yu / Epoch Times)

The Australian riporta che al momento circa 70 Paesi hanno firmato un memorandum d’intesa (MoU) per la Nuova Via della Seta con la Cina, e tra questi c’è anche l’Italia.

Elemento chiave dell’espansione dell’influenza della Cina sono le pressioni del Pcc perché vengano usate imprese statali controllate da Pechino in ogni progetto legato alla Nuova Via della Seta. Un obiettivo che viene raggiunto sottostimando il costo delle infrastrutture o fornendo ai Paesi prestiti proibitivi per progetti che non possono permettersi, il che risulta nella cosiddetta ‘diplomazia della trappola del debito‘ e in una conseguente perdita di sovranità del partner commerciale.

Cos’è la diplomazia della trappola del debito?

Negli ultimi anni, il concetto di diplomazia della trappola del debito ha destato preoccupazione in quanto molti dei progetti della Nuova Via della Seta finanziati tramite istituti di credito cinesi controllati dallo Stato hanno lasciato le nazioni mutuatarie afflitte da enormi oneri di debito.

Ad esempio, nel dicembre 2017, il governo dello Sri Lanka ha accettato di cedere l’intero porto di Hambantota a Pechino con un contratto di locazione di 99 anni, in compensazione del suo debito da 1,4 miliardi di dollari. Il porto di Hambantota nel sud dello Sri Lanka è stato finanziato e costruito dalla Cina come parte dell’iniziativa della Nuova Via della Seta. Ed è peraltro un punto strategico chiave per il controllo dell’Oceano Indiano.

Allo stesso modo, nel 2018 le preoccupazioni per la perdita di sovranità hanno spinto la Sierra Leone ad annullare un progetto di costruzione da 400 milioni di dollari per un aeroporto che sarebbe stato interamente costruito, gestito e mantenuto dalla Cina.

Operai edili dello Sri Lanka lavorano lungo una strada a Colombo, il 5 agosto 2018. (Lakruwan Wanniarachchi / AFP / Getty Images)

Dal canto suo, il 24 maggio 2020, l’allora Segretario di Stato americano Mike Pompeo aveva avvertito l’Australia di osservare «molto da vicino» qualsiasi progetto legato alla Nuova Via della Seta: «Ci sono spesso soldi prestati a tassi agevolati, condizioni poste nei documenti di debito, o concessioni che il governo deve fare al Partito Comunista Cinese».

Ha anche avvertito l’Australia che gli Stati Uniti «si sarebbero semplicemente scollegati» dall’Australia se la partnership del Victoria nell’ambito della Nuova Via della Seta avesse presentato un rischio per le infrastrutture di telecomunicazioni: «Non ci assumeremo alcun rischio per la nostra infrastruttura di telecomunicazioni, alcun rischio per gli elementi di sicurezza nazionale con i nostri partner Five Eyes. Stiamo mirando a proteggere e preservare la sicurezza di quelle istituzioni».

La testata statunitense News Corp ha riportato che secondo il professore associato Michael Clarke del National Security College presso l’Australian National University, il Pcc esige concessioni politiche ed economiche da questi Paesi, come nella regione del Pacifico, per questo rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale dei Paesi occidentali.

Il pericolo della fusione civile-militare

Un ulteriore rischio per le nazioni partner della Nuova Via della Seta è insito nella strategia di fusione civile-militare del Pcc, secondo cui qualsiasi società cinese può essere utilizzata per scopi militari in qualsiasi momento.

Istituita dal Pcc come un modo per modernizzare rapidamente l’Esercito popolare di liberazione (Epl), la strategia incoraggia non solo l’utilizzo della tecnologia civile per scopi militari, ma anche la partecipazione delle imprese commerciali nelle industrie della difesa.

Nell’ambito della Nuova Via della Seta, la strategia assume la forma per cui il Pcc può utilizzare ogni infrastruttura portuale o di telecomunicazione per spiare o influenzare le nazioni partner. Questo è il caso del Gibuti, dove la Cina è riuscita ad assicurarsi il controllo del principale porto strategico e a creare una base militare come parte dell’infrastruttura.

Un altro esempio è quello della Papua Nuova Guinea, dove il governo ha scoperto che Huawei ha tentato di costruire un infrastruttura di telecomunicazione installando deliberatamente software di crittografia obsoleto e firewall insufficienti. Il che avrebbe consentito al Pcc di spiare il Paese, osserva un rapporto commissionato dal governo della Papua Nuova Guinea.

Perché l’Australia è preoccupata?

L’annullamento dell’accordo sulla Nuova Via della Seta del Victoria era ormai nell’aria da alcuni mesi. Uno dei moventi, oltre quelli sopracitati, è stata l’intenzione di limitare la crescente influenza del Pcc nella regione australiana.

Nell’agosto 2020, il leader del Partito Laburista Austrliano Anthony Albanese ha affermato che il Pcc è diventato una forza più «assertiva» di qualsiasi precedente regime cinese.

Pur dando voce alla posizione del Partito laburista sulla Nuova Via della Seta del Victoria, che lui non ha sostenuto, Albanese ha sottolineato che il Pcc si è «chiaramente» intromesso negli interessi nazionali dell’Australia.

Il leader laburista federale australiano Anthony Albanese parla in una conferenza stampa con il deputato Chris Bowen a Sydney, in Australia, il 3 agosto 2020. (Brook Mitchell / Getty Images)

«E abbiamo visto vari esempi di ciò nelle università, per esempio. E abbiamo visto che è successo – ha dichiarato Albanese – Questa non è una questione partitica».

Questo sentimento è stato ripreso anche dal primo ministro australiano Scott Morrison, il quale ha affermato che qualsiasi accordo con governi stranieri deve essere nell’interesse dell’Australia: «È fondamentale che quando si tratta dei rapporti dell’Australia con il resto del mondo, parliamo con una sola voce e lavoriamo su un solo piano. Se non sono coerenti con l’interesse nazionale, se ne andranno».

La senatrice laburista Kimberley Kitching nel Senato del Parlamento di Canberra, lunedì 15 giugno 2020. (AAP Image / Mick Tsikas)

Il 22 aprile, la senatrice laburista del Victoria, Kimberley Kitching, ha detto che gli accordi con i regimi stranieri sono qualcosa che dovrebbe essere fatto dal governo federale, non dagli Stati: «Il governo federale è costituzionalmente incaricato ai sensi della Sezione 51 della Costituzione di occuparsi degli affari esteri del Paese», ha affermato a Sky News. «Penso che il problema qui con gli accordi Bri sia che, naturalmente, sappiamo che i memorandum d’intesa del Victoria sono stati usati dal Pcc per parlare ai nostri vicini nella nostra regione, affinché anche loro stipulassero accordi Bri».

La Nuova Via della Seta spacca gli alleati occidentali

D’altro canto, la vicina Nuova Zelanda sembra avere una posizione diversa nei confronti della Cina, con la ministra degli Esteri del Paese, Nanaia Mahuta, che ha espresso una certa resistenza a permettere che l’alleanza dei Cinque Occhi [Five Eyes] si estenda al di fuori dei rapporti tra i servizi segreti per ricomprendere questioni relative ai diritti umani. «Siamo a disagio con l’espansione delle competenze dei Cinque Occhi», ha spiegato ai giornalisti il ​​19 aprile, per poi aggiungere: «Preferiremmo di gran lunga cercare opportunità multilaterali per esprimere i nostri interessi».

La ministra degli Esteri neozelandese Nanaia Mahuta, e la ministra degli Esteri australiana Marise Payne durante una conferenza stampa presso il Parlamento di Wellington, Nuova Zelanda, il 22 aprile 2021. (Hagen Hopkins / Getty Images)

Di fatto, nel marzo 2017, la Nuova Zelanda è diventata la prima nazione occidentale a firmare un Memorandum di Intesa non vincolante per aderire alla Nuova Via della Seta. Dal 2017, la Cina rimane il più grande sbocco commerciale della Nuova Zelanda, con il 29% delle sue esportazioni che si riversano nello Stato comunista.

Il giorno dopo che la ministra degli Esteri australiana ha ufficialmente posto il veto all’accordo Bri del Victoria, si è tenuta una conferenza congiunta con la ministra degli Esteri neozelandese. Durante la conferenza del 22 aprile, la neozelandese Mahuta ha affermato che l’alleanza Five Eyes «non è necessaria, sempre su ogni questione» come «primo punto di riferimento», quando si tratta di creare una coalizione di sostegno su questioni specifiche relative ai diritti umani. Mahuta ha aggiunto che la Nuova Zelanda deve «mantenere e rispettare» i «particolari costumi, tradizioni e valori» della Cina.

Le osservazioni di Mahuta sembrano riecheggiare i commenti fatti dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden a febbraio durante un comunicato alla Cnn, quando mentre discuteva del genocidio degli uiguri in Cina ha parzialmente giustificato il Paese affermando che aveva «norme diverse». «Culturalmente ci sono norme diverse che ogni Paese e loro – i loro leader – dovrebbero seguire», ha dichiarato Biden, ma la natura ambigua dei sui commenti ha sollevato un polverone, poiché alcuni gli hanno interpretati nel senso che Biden non intendeva opporsi al genocidio in quanto poteva essere parte delle «diverse norme» della Cina comunista.

Allo stesso modo, i commenti di Mahuta hanno attirato le critiche dei politici britannici che hanno visto le sue frasi come un segnale del fatto che il premier neozelandese Jacinda Ardern stava «rozzamente ingraziandosi la Cina e ritirandosi dall’accordo dei Five Eyes».

Secondo Michael Shoebridge, direttore della difesa presso l’Australian Strategic Policy Institute, questo atteggiamento metterà la Nuova Zelanda in rotta di collisione con i suoi alleati occidentali: «[La Nuova Zelanda, ndr] scoprirà che il loro progetto politico è in conflitto con i loro valori e interessi, anche se il suo scopo è proteggere il commercio [della Nuova Zelanda, ndr] con la Cina. Assicurare tranquillamente ai partner del Five Eyes che tutto va bene, e garantire lo stesso anche a Pechino, non è sostenibile a meno che la Cina non cambi radicalmente direzione sotto il leader cinese Xi».

Nel frattempo, la ministra degli Esteri australiana Marise Payne ha affermato che sebbene la Nuova Zelanda abbia il diritto di scegliere la propria risposta alle questioni relative ai diritti umani in Cina: «Dobbiamo anche riconoscere che l’atteggiamento della Cina, la natura dell’impegno esterno della Cina – sia nella nostra regione che globalmente – è cambiato negli ultimi anni».

 

Articolo in inglese: Australia’s Termination of Belt and Road Deal Explained



 
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