Arrestati rifugiati cinesi in Thailandia. Sospetti su Pechino

La Thailandia, ambita meta turistica per gli Italiani, potrebbe star sperimentando cosa significa ospitare in patria la persecuzione del regime cinese.

Almeno 13 praticanti del Falun Gong, rifugiati nel Paese, sono al momento detenuti contro la loro volontà presso l’Immigration Detention Center (Icd) a Bangkok, con la falsa accusa di essere «immigrati illegali». Altri 6 rifugiati sono stati arrestati nella località turistica di Pattaya, e sono adesso in libertà provvisoria, in attesa del giudizio del Tribunale il 16 aprile.

Il 10 aprile due altri rifugiati sono stati portati alla stazione di polizia, dopo che la polizia locale aveva ricevuto istruzioni dall’alto di arrestare altri rifugiati del Falun Gong.

Da quando la persecuzione del Falun Gong, antica disciplina tradizionale di meditazione, è iniziata in Cina nel 1999 per mano del Partito Comunista Cinese (Pcc) molti praticanti sono fuggiti nei Paesi vicini, attraversando le frontiere. In Thailandia viene loro assegnato un numero identificativo da parte dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifiugiati (Unhcr), e rimangono in attesa di essere inviati in Paesi terzi, come Finlandia, Olanda, Norvegia e Stati Uniti.

Attraverso l’operato dell’Unhcr molti praticanti del Falun Gong hanno trovato la libertà in Occidente negli ultimi anni, trovando prima rifugio in Thailandia.

Vi è una crescente preoccupazione che il regime cinese sia dietro agli arresti illegali degli ultimi giorni e che le foto segnaletiche in mano degli agenti thailandesi fossero state fornite da Pechino.

Organizzazioni per i diritti umani hanno inviato appelli alle autorità thailandesi perché trattino i praticanti del Falun Gong come rifugiati, in accordo con le convenzioni delle Nazioni Unite per i rifugiati e fornisca loro sostegno e aiuto, nell’attesa di essere destinati a un terzo paese grazie all’operato dell’agenzia Onu.

 
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