Anche gli imprenditori dovrebbero mettere sul tavolo i diritti umani

Mentre i colloqui commerciali con la Cina continuano, alcuni eventi hanno richiamato l’attenzione sul dibattito etico di lunga data in materia di libero scambio, diritti umani e responsabilità aziendale.

Ci sono numerosi esempi di corporazioni occidentali che si inchinano alla censura cinese, ponendo i profitti al di sopra dei principi. Per fare un esempio, l’organizzazione di più alto profilo minacciata dal regime autoritario è stata la National Basketball Association, quando lo scorso ottobre la Cina ha chiesto di fare licenziare il direttore generale degli Houston Rockets per alcune sue affermazioni personali, in sfida a uno dei valori fondamentali delle società libere e democratiche: la libertà di parola [Daryl Morey aveva sostento la causa di Hong Kong in un tweet che subito dopo è stato costretto a cancellare in seguito a forti pressioni del Pcc, ndt].

Nel frattempo, una delegazione bipartitica del Congresso degli Stati Uniti guidata dal rappresentante Sean Patrick Maloney si è vista negare l’ingresso in Cina lo scorso anno a causa dell’intenzione della sua delegazione di visitare Taiwan. È diventato sempre più chiaro che i valori fondamentali delle corporazioni e i principi democratici sono in gioco e devono essere difesi.

Come possono i nostri negoziati commerciali avere successo se i nostri principi fondamentali devono essere sacrificati per facilitare i colloqui e gli scambi?

Anche se non si possono cambiare le politiche di un altro Paese, si è sempre liberi di decidere fino a che punto si è disposti a sacrificare i propri valori e principi etici. In questo contesto, dovrebbe venire preso in considerazione un argomento che sta gradualmente ottenendo il riconoscimento che merita: il prelievo forzato di organi da prigionieri di coscienza, nella Repubblica Popolare Cinese.

Nel 2006, la comunità internazionale è venuta a conoscenza per la prima volta del prelievo forzato di organi ai danni dei praticanti del Falun Gong e di altri prigionieri di coscienza. Da allora, indagini indipendenti hanno raccolto volumi di prove e rapporti credibili; eppure, nonostante sia uno dei crimini più efferati e ben studiati contro l’umanità del XXI secolo, la reazione internazionale è stata sorprendentemente tiepida.

Una petizione globale che chiedeva l’intervento dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani contro l’abuso dei trapianti in Cina ha raccolto più di 3 milioni di firme in sei anni. Eppure ci è voluto più di un decennio prima che i crimini del prelievo forzato di organi fossero presentati per la prima volta al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite nel settembre 2019.

Organi e diritti umani, imprenditori e politici

Il sistema dei trapianti della Cina si è basato su questi organi provenienti da origini non eticamente ammissibili fin dall’inizio. Nel 2005, la Cina ha ammesso l’uso di organi di prigionieri giustiziati, ma ad oggi non ha mai ammesso l’uso di organi di prigionieri di coscienza, come i praticanti del Falun Gong, gli uiguri, i cristiani e i tibetani detenuti.

Sebbene le autorità mediche cinesi abbiano dichiarato che dal gennaio 2015 la Cina non utilizzerà più gli organi dei prigionieri giustiziati e baserà il suo trapianto di organi esclusivamente su donatori volontari, un’analisi dei dati ufficiali cinesi sulle donazioni di organi dei defunti, pubblicata nel 2019 sulla rivista BMC Medical Ethics, solleva seri dubbi sulla credibilità della riforma cinese dei trapianti di organi. I dati indicano una sistematica falsificazione e manipolazione dei dati ufficiali sui trapianti di organi e l’errata classificazione dei detenuti giustiziati come donatori volontari.

Nel giugno 2019, un Tribunale del Popolo indipendente ha pubblicato la sua sentenza sulla pratica del prelievo forzato di organi da parte della Cina, che conferma queste preoccupazioni. Il tribunale, presieduto da Sir Geoffrey Nice, ex procuratore del Tribunale penale internazionale dell’Onu per l’ex Jugoslavia, ha esaminato sistematicamente i risultati delle ricerche disponibili e ha condotto oltre 50 interviste a testimoni ed esperti.

La giuria ha dichiarato nella sua sentenza finale che «i membri del Tribunale sono certi – in modo unanime e sicuro al di là di ogni ragionevole dubbio – che in Cina il prelievo forzato di organi dai prigionieri di coscienza è stato praticato per un periodo di tempo sostanziale, coinvolgendo un numero molto consistente di vittime […] e che i praticanti del Falun Gong sono stati una e probabilmente la principale fonte di approvvigionamento di organi».

Tra le tante prove esaminate dal tribunale, c’è un documentario televisivo sudcoreano del novembre 2017, in cui una telecamera nascosta portata all’interno del Primo Ospedale Centrale di Tianjin, in Cina, ha registrato un’infermiera che diceva: «Con 10 mila dollari, si può ottenere un organo in appena due giorni».

È responsabilità della comunità medica riconoscere il proprio dovere morale di salvaguardare gli standard internazionali di etica medica. Tuttavia, è responsabilità di tutta la società condannare le atrocità dei diritti umani, specialmente quelle classificate dal diritto internazionale come crimini contro l’umanità.

E anche i negoziatori commerciali e la comunità imprenditoriale dovrebbero mettere sul tavolo i diritti umani ed evitare di compromettere i valori e principi universali.

Sir. Nice ha concluso che «il prelievo forzato di organi è una malvagità senza pari, anche se paragonata […] alle uccisioni per crimini di massa commessi nel secolo scorso».

 

Co-autori dell’articolo: Torsten Trey, M.D.; Alejandro Centurion, M.D.; Joseph Gutierrez, M.D.; e Jacob Lavee, M.D.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni degli autori e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo ini inglese      China Trade Talks—What Forced Organ Harvesting Can Tell You About Your Trading Partner

 
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