Analista: la Cina vuole riconquistare territori indiani

Di Venus Upadhayaya

Nuova Delhi — Quando il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha celebrato il suo centenario il primo luglio, il leader cinese Xi Jinping ha parlato del «rinnovamento della nazione cinese» e dell’«ascesa dell’Oriente». E secondo un analista indiano, è probabile che questi programmi che il regime di Pechino persegue incessantemente avranno un effetto diretto sull’India, il Paese della porta accanto.

Nel suo discorso, Xi ha ripetuto la parola rinnovamento/ringiovanimento ben 24 volte e si è vantato del fatto che «tutta la lotta, il sacrificio e il processo di creazione attraverso cui il Partito ha unito e guidato il popolo cinese negli ultimi cento anni è stata legata da un unico tema fondamentale: portare al grande rinnovamento della nazione cinese».

Namrata Hasija, una ricercatrice del Centro per l’analisi e la strategia della Cina con sede a New Delhi, ha spiegato a Epoch Times che l’India non dovrebbe dimenticare che ogni volta che Xi tiene un discorso, in particolare dal 19° Congresso del Partito nel 2017, egli cita il «sogno cinese, che include il ringiovanimento della grande nazione cinese».

E questo ha implicazioni dirette per l’India perché parte del ringiovanimento include il recupero dei cosiddetti territori perduti, alcuni dei quali oggi fanno parte della nazione indiana.

Nel suo discorso per il centenario del Partito, Xi ha dichiarato: «La vittoria della nuova rivoluzione democratica ha posto fine alla storia della Cina come società semi-coloniale e semi-feudale, allo stato di totale disunione che esisteva nella vecchia Cina e a tutte le disparità dai trattati imposti al nostro Paese da potenze straniere e tutti i privilegi di cui godevano le potenze imperialiste in Cina. Tutto ciò ha creato le condizioni sociali fondamentali per realizzare il ringiovanimento nazionale».

Hasija ha fatto notare che la leadership cinese e i quadri del partito hanno ripetuto più e più volte la loro retorica sui «trattati iniqui», e non hanno intenzione di arrendersi: «Ripeto che una componente importante del sogno cinese è il ringiovanimento della grande nazione cinese, il che significa il recupero dei territori perduti nei trattati iniqui, che includono Ladakh, Arunachal Pradesh, Mar Cinese Meridionale, Mar Cinese Orientale, le isole Diaoyu e Taiwan», ha aggiunto.

Il Ladakh e l’Arunachal Pradesh sono territori indiani che il Pcc sostiene essere stati sottratti alla Cina da «trattati iniqui» e dove l’India ha subito ripetute incursioni cinesi. In Ladakh si è intensificato un pesante stallo militare, dopo che un sanguinoso conflitto a Galwan nel giugno 2020 ha portato vittime da entrambe le parti.

Nel contesto indiano, i «trattati iniqui» si riferiscono alla linea Tibet-McMahon formalizzata durante la Convenzione di Shimla del 1912, tra la Gran Bretagna (che all’epoca governava l’India), il Tibet, che doveva ancora essere annesso alla Cina, e la Cina.

Nel momento in cui si stava avviando una bozza di convenzione tra i tre Paesi, la Cina si è rifiutata immediatamente di accettarla e non ha firmato la convenzione, che è stata poi rivista due anni dopo e firmata tra britannici e Tibet. Dopo che Mao Zedong ha annesso il Tibet, la Cina ha annullato la decisione dell’ex amministrazione tibetana per quanto riguarda il confine con l’India, che era ormai diventata sovrana.

Hasija ha affermato che i politici indiani dovrebbero tenere a mente che Xi non si tirerà indietro dall’affermare il dominio della Cina su certi territori indiani: «Per farlo, sta instillando profondamente nei quadri e nella gente comune l’idea che devono continuare a usare le tre armi magiche che ha il Pcc. E quali sono? Fronte unito, lotta armata e costruzione del Partito».

L’esperta ha fatto notare le parole di Xi, che ha dichiarato: «Non permetteremo mai a nessuna forza straniera di prevaricarci, opprimerci o soggiogarci. Chiunque tenti di farlo si troverà in rotta di collisione con una grande muraglia d’acciaio forgiata da oltre 1,4 miliardi di cinesi». Xi ha anche «menzionato come loro [i cinesi, ndr] dovrebbero essere pronti per la guerra con chiunque faccia il prepotente con la Cina e che i giorni del bullismo contro la Cina sono finiti».

«Vedi, di nuovo insiste sulla stessa narrazione – spiega Hasija – Ed è quello che sentono i cinesi. Ed è quello che Xi Jinping e il suo partito hanno fatto credere alla gente, cioè che il tempo fosse arrivato: l’Oriente è in crescita e l’Occidente è in declino. E quando parla dell’Est che sorge, non sta parlando di nessun altro Paese: sta parlando della Cina».

Dall’incidente di Galwan dello scorso anno, India e Cina hanno tenuto 11 incontri tra comandanti, in cui entrambe le parti hanno parlato del ritiro militare dal confine, che però non si è concretizzato: «La Cina sta costruendo in grande, quando si tratta della questione dei confini. Soprattutto al confine tra India e Cina, lì stanno costruendo massicciamente. Ora, è stato pubblicato un rapporto secondo cui c’è un accumulo di armamenti nella prefettura di Rudok e Ngari (Ali) [in Tibet, ndr], che in realtà confina con il Ladakh orientale. Il rapporto afferma che almeno 448 pezzi di armamenti sono stati identificati, disposti vicino a Rudok».

Il comandante del reggimento cinese Qi Fabao grida a un soldato indiano che vuole negoziare con lui nella valle di Galwan, una regione di confine tra India e Cina, nel giugno 2020. (Screenshot/Weibo)

Hasija ritiene che il deterioramento delle relazioni India-Cina sia iniziato molto prima dell’incidente di Galwan, probabilmente quando la Cina ha avviato il Progetto del Corridoio Economico Cina-Pakistan, un progetto di punta della Belt and Road Initiative che passa attraverso il Gilgit-Baltistan, un territorio conteso tra India e Pakistan: «Se leggi i materiali in lingua cinese, i media durante la crisi del Doklam, non hanno lasciato nulla di intentato per umiliare e scrivere male dell’India. Hanno attaccato personalmente il primo ministro Narendra Modi, Ajit Doval [l’attuale consigliere per la sicurezza nazionale dell’India, ndr], Sushma Swaraj [l’allora ministro degli Esteri indiano, ndr] – tutti quanti».

La crisi del Doklam si riferisce a una situazione di stallo militare tra l’esercito indiano e il Pla nel giugno 2017 per una strada che i cinesi stavano costruendo a Doklam, un crocevia tra India, Bhutan e Cina nella regione centrale dell’Himalaya. «Due cose importanti emergono dalla crisi del Doklam: uno, i cinesi hanno detto che si riprenderanno il riconoscimento dal Sikkim. Il secondo era che avrebbero riavviato il movimento di insorgenza nel nord-est dell’India [che confina con la Cina, ndr]».

Il Sikkim è uno stato indiano nordorientale che confina con Tibet, Bhutan e Nepal. Si è unito all’unione indiana nel 1975, ben dopo l’indipendenza dell’India dagli inglesi nel 1947.

Sandeep Kaur (C) e suo fratello Prabhjot Singh (2R) dopo aver deposto le corone di fiori sulla bara del padre e del soldato Satnam Singh che è stato ucciso in uno scontro con le forze cinesi nella zona di Galwan Valley, durante una cerimonia di cremazione nel villaggio di Bhojraj vicino a Gurdaspur nel 2020. (Narinder Nanu / Afp via Getty Images)

Gli obiettivi della Cina in Tibet

I punti di azione nell’ambito del pianificato «ringiovanimento della nazione cinese» includono anche progetti infrastrutturali in Tibet, il che comporta il massiccio dispiegamento del Pla nella regione, ha affermato Hasija. Questo ha ripercussioni dirette sulla sicurezza dell’India, dal momento che l’India condivide un esteso confine con la Cina lungo l’altopiano tibetano. «Al Congresso Nazionale del Popolo è stato approvato il 14° piano quinquennale che è un altro motivo di preoccupazione per il governo indiano perché vi hanno effettivamente incluso enormi progetti infrastrutturali in Tibet. Ora, qualsiasi progetto in Tibet, lo sappiamo tutti, necessita dell’approvazione del Pla, ed è a beneficio del Pla. Ora, tutti questi enormi progetti ed eventi infrastrutturali consentiranno al Pla di trasportare rapidamente truppe, carichi militari, hardware in Tibet».

Secondo i suoi piani quinquennali, la Cina mira a costruire dighe sui fiumi transfrontalieri che provengono dal Tibet e sfociano in India, e questo «avrà un impatto negativo» sulle popolazioni nelle regioni a valle dell’India, spiega Hasija, aggiungendo che la Cina sta costruendo una massiccia diga sul fiume Brahmaputra o Yarlung Tsangpo in Tibet e almeno altre 17 dighe sul suo corso inferiore.

Si stima che danneggerà almeno 1 miliardo di persone nei Paesi rivieraschi a valle, che dipendono dal fiume e dagli affluenti che lo alimentano: «L’enorme afflusso di persone e le attività di costruzione su larga scala in Tibet, compresa la costruzione di aeroporti di confine e 200 villaggi di difesa del confine, porteranno sicuramente a un riscaldamento delle temperature. A sua volta, questo accelererà il ritiro dei ghiacciai e ridurrà drasticamente il flusso d’acqua nei fiumi alimentati dai ghiacciai che irrigano la pianura indo-gangetica, dove risiede la maggior parte della popolazione indiana», ha affermato Hasija.

(Diana Hubert-Benedetti/Epoch Times)

 

Disagio storico

Hasija ha affermato che l’India e la Cina hanno sempre avuto un rapporto difficile e, contrariamente alla convinzione che il periodo precedente al 1950 fosse una «luna di miele» tra i due Paesi, la sua ricerca mostra che non è mai stato così: «Quando l’India ha ottenuto l’indipendenza, il nostro problema principale è sempre stato il Kashmir e il Pakistan. Ora, l’India è stata il primo Paese non comunista a dare il riconoscimento alla Repubblica Popolare Cinese. In quel momento nel nostro Parlamento c’erano, ovviamente, richieste di aspettare. Secondo la mia analisi, il Kashmir è un fattore che ha contribuito maggiormente alla politica di Nehru [il primo Primo Ministro indiano, ndr] nei confronti della Cina». Il governo indiano ha quindi pensato che se avesse riconosciuto la Rpc, la leadership cinese avrebbe sostenuto l’India sul Kashmir: «C’è una lettera che Nehru ha scritto a Mohan Singh Mehta [datata, ndr] 20 settembre 1952, dove si legge che l’India è minacciata solo dal Pakistan, e non è minimamente preoccupato per la Cina. Ed è stato informato che la Cina sarebbe stata un importante sostegno alla posizione dell’India sul Kashmir nei prossimi anni». Mehta era l’ambasciatore dell’India in Pakistan in quel periodo.

Secondo Hasija, l’India ha seguito una politica di pacificazione nei confronti del regime in Cina, dopo l’annessione del Tibet, per questo motivo: «E poi l’affermazione della Cina su Formosa-Taiwan; ovviamente, l’India ha sempre affermato in quel periodo che si trattava di un’estensione della guerra civile cinese, e che non ci preoccupiamo se Formosa fa parte della Cina», ha detto Hasija.

La Cina non ha mai sostenuto l’India. Hasija crede che la leadership indiana non sia stata in grado di capire la leadership comunista cinese e sottolinea che è tempo che l’India investa nella ricerca per capire il pensiero cinese. «Non abbiamo quasi mai investito in studi sulla Cina, non abbiamo abbastanza borse di studio per comprendere e conoscere il cinese».

 

Articolo in inglese: Xi Jinping’s Call for ‘Rejuvenation’ Means Taking Indian Territory: Analyst

NEWSLETTER
Epoch Times Italia 2021
 
Articoli correlati