Gli americani hanno investito miliardi in società legate all’esercito cinese

Di Fan Yu

Col suo ultimo e applaudito ordine esecutivo, il presidente Donald Trump ha vietato agli investitori statunitensi di detenere quote di proprietà in 31 società cinesi che hanno legami con vari apparati militari del Partito Comunista Cinese (Pcc).

Quest’ordine, sebbene di portata piuttosto limitata, colpisce diverse società cinesi ben note, comprese quelle non pubbliche come Huawei e quelle quotate in borsa come China Mobile e Hangzhou Hikvision. Le 31 società in questione erano state precedentemente designate dal Pentagono come «possedute o controllate» dall’Esercito Popolare di Liberazione (Pla), il nome ufficiale dell’esercito cinese (l’elenco delle aziende può essere trovato qui e qui).

L’azione rappresenta un punto di svolta per le aziende cinesi con stretti legami con il Pcc, che potrebbero ritrovarsi sempre più in difficoltà nell’ottenere capitali statunitensi. Inoltre, l’analisi delle quote di proprietà straniere di queste società rivela che alcune di esse sono parzialmente di proprietà di importanti società di investimento, compagnie di assicurazione e fondi pensione statunitensi.

L’ultima misura di Trump per limitare le società cinesi impedirà al capitale statunitense di finanziare le agenzie militari e d’intelligence cinesi che potrebbero danneggiare gli interessi degli Stati Uniti. Vieta ai cittadini e alle società statunitensi di acquistare nuove azioni delle società presenti nella lista a partire dall’11 gennaio 2021. Gli investitori che possiedono attualmente azioni di queste società hanno circa un anno, fino a novembre 2021, per uscire dai propri investimenti.

Il 12 novembre, il senatore degli Stati Uniti Marco Rubio (R-Fla.), un noto falco anti-Pcc, ha applaudito il nuovo ordine esecutivo affermando che «lo sfruttamento dei mercati dei capitali statunitensi da parte della Cina è un rischio evidente e continuo per la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti».

Chi sono i principali gli investitori statunitensi?

Un’analisi dell’edizione statunitense di Epoch Times sui proprietari di queste 31 aziende cinesi rivela che miliardi di dollari statunitensi sono già confluiti nei titoli di queste società, le quali sarebbero legate all’esercito cinese o ad agenzie di intelligence del Pcc.

Considerando solo le 16 società dell’elenco – o le loro sussidiarie – quotate in Borsa, al 20 novembre risulta dai dati Bloomberg che diverse entità statunitensi detengono loro azioni per un valore complessivo di circa 14,9 miliardi di dollari (circa 13 miliardi di euro).

La stragrande maggioranza di questi 15 miliardi di dollari sono investiti in due dei più grandi colossi cinesi delle telecomunicazioni. Il primo è China Mobile Ltd. con 8,1 miliardi di dollari (circa 7 miliardi di euro) investiti sia tramite azioni Adr quotate a New York, sia quelle quotate a Hong Kong. La società con la seconda più grande quantità di capitale statunitense è invece la China Telecom Corp, quotata a New York, con 2,3 miliardi di dollari (circa 2 miliardi di euro) di investimenti. Si ritiene che entrambe le società abbiano legami con il Pla, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.

Il terzo nella lista è il produttore di apparecchiature di sorveglianza Hangzhou Hikvision Digital Technology, con 1,7 miliardi di dollari (circa 1,5 miliardi di euro) di investimenti da fonti domiciliate negli Stati Uniti. Hikvision è stata criticata in Occidente per la produzione di apparecchiature utilizzate per monitorare i musulmani uiguri nella regione nord-occidentale dello Xinjiang.

Non sorprende che i consulenti finanziari e le società di gestione del risparmio siano i principali investitori in queste società cinesi – con 13,5 miliardi di dollari (circa 12,1 miliardi di euro) investiti – tramite i loro fondi comuni di investimento gestiti attivamente o gli Etf (Exchange Traded Funds) gestiti passivamente. Sono seguiti dal governo e dai fondi pensione con 466 milioni di dollari (circa 419 milioni di euro) investiti e dai fondi speculativi con 406 milioni di dollari (circa 365 milioni di euro) investiti. Altre tipologie di investitori con quote elevate includono compagnie di assicurazione, banche e broker (probabilmente per conto dei propri clienti).

Tra i consulenti per gli investimenti, i gestori passivi BlackRock e Vanguard guidano il gruppo, con oltre 2 miliardi di dollari (circa 1,8 miliardi di euro) ciascuno in azioni delle suddette società cinesi.

La stragrande maggioranza delle quote detenute dai fondi pensione statunitensi o dai cosiddetti fondi sovrani appartiene alla California Public Employees Retirement Systems (Calpers), che si stima abbia circa 400 milioni di dollari (circa 360 milioni di euro) di investimenti in diverse società cinesi controllate dallo Stato come China Mobile, China Telecom, China Unicom, oltre a una serie di partecipazioni minori in altre società presenti nell’elenco, tra cui il produttore di apparecchiature ferroviarie Crrc Corp., China Communications Construction, China Railway Construction.

L’Alaska Permanent Fund, un fondo sovrano, è il secondo della classifica con circa 37 milioni di dollari (circa 33,3 milioni di euro) investiti in diverse società della lista. Questi importi sono stime poiché alcune dichiarazioni potrebbero essere obsolete e le entità potrebbero già essere uscite dalle loro partecipazioni.

Un’altra sfida per le imprese cinesi

In futuro, le banche e le società d’intermediazione dovranno aggiornare i propri elenchi della società bandite per i loro clienti. Le società d’investimento non potranno infatti acquistare nuove posizioni in queste società, ma avranno del tempo per cedere le loro attuali partecipazioni.

Relativamente parlando, si tratta solo di una minuscola porzione di tutti gli investimenti posseduti dalle società di gestione del risparmio statunitensi, dai fondi pensione e dalle compagnie assicurative americane. Basti pensare che BlackRock, i cui fondi possiedono azioni per un valore di 2,4 miliardi di dollari nelle 16 società analizzate da Epoch Times, in totale gestisce circa 7 mila 500 miliardi di dollari in azioni. Questo vuol dire che gli investimenti di BlackRock in queste società cinesi ammontano appena allo 0,03 percento dei suoi investimenti totali.

Mentre Calpers, il sistema pensionistico statale statunitense con la più ampia quota in queste aziende, possiede al contempo circa 350 miliardi di dollari di attività finanziarie totali.

Ma in senso assoluto, 15 miliardi di dollari di finanziamenti statunitensi sono una quantità enorme. È molto probabile che l’amministrazione Trump abbia ridotto l’elenco a sole 31 entità in modo da compromettere il meno possibile gli interessi commerciali e degli investitori statunitensi. Ma è probabile che se e quando l’elenco verrà ampliato, verranno coinvolti investimenti statunitensi ben più sostanziosi.

Il 13 novembre, dopo l’annuncio del governo Trump, le azioni di China Telecom e China Mobile sono crollate rispettivamente del 9% e del 6%, per poi riprendersi un poco nei giorni successivi.

Questo provvedimento rappresenta solo l’ultima sfida per le aziende cinesi, poiché molte di esse devono già far fronte a vincoli del mercato dei capitali imposti dalle autorità di Pechino che tentano di frenare la speculazione di mercato, promuovere la responsabilità fiscale e ridurre la leva finanziaria.

Una serie di recenti fallimenti di imprese statali ha messo in discussione l’affidabilità creditizia dei governi locali e provinciali e la loro capacità di prevenire la bancarotta. Tra i fallimenti di alto profilo ci sono quelli del produttore di chip cinese Tsinghua Unigroup e Huachen Automotive Group, che hanno causato un’ampia svendita dei titoli di Stato cinesi durante la settimana del 16 novembre.

Per ora il fenomeno si è limitato a determinati settori e province, ma potrebbe essere una questione di tempo prima che gli spread delle azioni dei campioni nazionali vengano influenzati. Il divieto agli investitori statunitensi di partecipare a transazioni sui mercati dei capitali di alcune società cinesi, rimuove una delle principali fonti di finanziamento per le società a corto di liquidità. Resta da vedere quando Pechino deciderà di intervenire direttamente.

Il Rhodium Group, in una recente nota ai clienti, ha scritto: «Sebbene le autorità desiderino la disciplina di mercato per le imprese più a rischio, loro [la Cina, ndr] non possono sapere quanto il rischio di insolvenza possa creare un contagio più ampio. Nessuno può conoscere esattamente questo profilo, perché non ci sono precedenti per questo rischio nel sistema finanziario cinese».

 

Articolo in inglese: US Invested Billions Into Companies With Ties to Chinese Military

 
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