Ad Hong Kong gli innocenti si dichiarano colpevoli

Di Peter Dahlin

È interessante notare che molti abitanti di Hong Kong accusati di crimini contro la sicurezza nazionale, compresi i manifestanti a favore della democrazia, si stanno dichiarando colpevoli. A volte, tali notizie sono accolte con derisione. Alcuni non si rendono conto che è l’ennesimo segno della sinicizzazione del sistema legale di Hong Kong, in particolare l’attuazione da parte di Pechino della legge sulla sicurezza nazionale nella città.

In Cina, per la magistratura non c’è davvero alcuna decisione da prendere. Devi confessare sempre. È proprio così che funziona il sistema legale nel Paese comunista, e non confessare sarebbe sciocco in quasi tutte le circostanze. I dati del governo cinese per il 2021, l’anno con i dati completi più recenti, mostrano che ci sono 511 verdetti di non colpevolezza su 1,7 milioni di verdetti. I numeri sono scioccanti.

Chiunque sia mai stato arrestato lo sa bene. Anche se sei innocente, verrai giudicato colpevole. Lo sai; lo sanno tutti, motivo per cui tutti confessano. I tribunali cinesi raramente si preoccupano di testimoni e prove tecniche o forensi; è semplicemente inutile e costoso, soprattutto quando hanno già una confessione.

E questo vale anche per i difensori dei diritti umani. Possono languire in prigione per anni, subendo gravi torture che quasi li distruggono. Eppure, una volta rilasciati e dopo un periodo per riprendersi, tornano tutti allo stesso lavoro. Sanno che può ucciderli o, per lo meno, distruggere le loro vite. Eppure ritornano, quasi senza fallo. Nonostante ciò, anche queste persone, con alcune rarissime eccezioni, confesseranno. È perché sono deboli o senza principi? Ovviamente no.

Chiunque creda di lottare per una buona causa sa che una tale lotta è possibile solo quando si è liberi. E tutti sanno che se confessi, la tua pena sarà notevolmente ridotta. Se sai con certezza che verrai condannato, perché scegliere di passare otto anni di carcere invece di quattro?

E in quei casi in cui un argomento così logico non funziona, la polizia ha invece capacità quasi illimitate per costringerti a una confessione, dalla tortura psicologica a quella fisica, minacce contro i membri della famiglia o persino l’incarcerazione o l’arresto di persone care. Se questi metodi non funzionano, la polizia potrebbe andare oltre andando a cercare altri contatti personali, come colleghi, soci in affari, eccetera, che possono usare come pedine per ottenere una confessione.

Il fatto che così tante persone a Hong Kong, legate alle proteste anti-estradizione e pro-democrazia, si dichiarino colpevoli è un segno di una completa perdita di fiducia nella possibilità di ottenere un processo equo, e i recenti verdetti mostrano chiaramente perché.

La draconiana legge sulla sicurezza nazionale ha fatto oscillare ulteriormente il pendolo verso la polizia, il pubblico ministero e lo Stato, dove, ad esempio, la possibilità per gli imputati di ottenere la libertà su cauzione in attesa del processo è molto ridotta, mentre le detenzioni preventive vengono prolungate. Alcuni, come Gordon Ng, hanno trascorso più di un anno e mezzo in custodia cautelare ed è stata negata loro la libertà su cauzione. Altri, come Albert Ho, l’ex leader del Partito Democratico, hanno ricevuto la cauzione per aggravamento dello stato di salute, ma con rigide limitazioni, tra cui l’impossibilità di incontrare funzionari stranieri.

Da allora i politici di Hong Kong hanno ripetutamente parlato dell’introduzione di un’ulteriore legislazione locale, in cui si applicheranno anche restrizioni più severe della legge sulla sicurezza nazionale, come le condizioni per la libertà su cauzione. Tale legislazione locale ha anche lo scopo di «colmare le lacune» lasciate dalla legge imposta da Pechino, il che significa che è probabile che il quadro giuridico che limita il dissenso peggiori man mano che ancora più atti e ‘parole’ diventeranno criminalizzati.

Quando più persone vengono processate, inclusi alcuni dei leader della protesta, non c’è da sorprendersi se li si vede dichiararsi colpevoli. La loro dichiarazione di colpevolezza è un’accusa nei confronti del sistema legale caduto di Hong Kong e dei loro nuovi padroni a Pechino, non di se stessi.

 

Peter Dahlin è il fondatore della Ong Safeguard Defenders e il co-fondatore della Ong cinese China Action con sede a Pechino (2007-2016). È autore di «Trial By Media» e collaboratore di «The People’s Republic of the Disappeared». Ha vissuto a Pechino dal 2007, fino a quando è stato imprigionato e rinchiuso in una prigione segreta nel 2016, successivamente deportato e bandito. Prima di vivere in Cina, ha lavorato per il governo svedese su problemi di uguaglianza di genere e ora vive a Madrid, in Spagna.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Hongkongers Pleading Guilty Is a Sign They’re Under Beijing’s Control

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