Vaccini, le due facce della medaglia

Nonostante la battaglia in Parlamento sia già conclusa, il provvedimento che ha reso obbligatori per l’accesso alla scuola 10 vaccini continua a dividere. Da una parte i no-vax (che vanno da quelli contrari ai vaccini nel complesso, ritenendoli una truffa, a chi semplicemente chiede più precauzioni a riguardo), dall’altra chi è pienamente convinto dell’utilità, opportunità e necessità dei vaccini per la salute della popolazione.

È difficile negare che i vaccini siano stati efficaci nel fermare malattie che fino a qualche decennio fa riscuotevano regolari tributi di sangue dalle popolazioni. I pro-vax fanno anche notare che l’efficacia dei vaccini va di pari passo con la loro diffusione, sostenendo che la maggiore diffusione possa indirettamente eliminare gli effetti collaterali: l’amato-odiato dottor Roberto Burioni, infatti, racconta in un articolo pubblicato da Familyhealth.it, che nel caso del vaccino della poliomelite – che, a partire dagli anni 60, debellò il virus in circa vent’anni – inizialmente si era utilizzato un composto (Sabin) che consisteva nello stesso virus della poliomelite, ma attenuato (e quindi incapace di provocare i sintomi della malattia). Il virus attenuato si diffondeva proprio come un normale virus e permetteva alle persone, anche non vaccinate, di sviluppare l’immunità grazie alla risposta degli anticorpi nell’organismo.
Esisteva tuttavia un problema: in una parte della popolazione (un caso su 750 mila) il virus «retro-mutava», ritornando alla sua forma originale e di fatto causando la malattia in un individuo sano, in questo caso quindi il vaccino può uccidere. Spiega però Burioni, che quando la poliomelite è quasi scomparsa, si è passati a un vaccino (Salk) meno efficace (senza la possibilità di replicarsi e diffondersi e quindi di salvare anche i non vaccinati) ma molto più sicuro. Di conseguenza – la tesi del medico – nel momento in cui il tasso di vaccinazione era basso, era necessario usare un vaccino più efficace e meno sicuro, ma quando quasi tutti si sono vaccinati non è stato più necessario usare un vaccino che facesse replicare il virus e che presentasse rischi relativamente elevati (comunque un misero 0,00013%) di retromutazione.

Ma uno dei punti chiave che divide le due fazioni è proprio cosa debba prevalere tra la libertà di scelta individuale (chiunque, in teoria, può essere libero di non credere nei vaccini o addirittura nella scienza) e la necessità percepita di tutelare la salute della popolazione in generale.
Quando la percentuale di non vaccinati cresce, crescono infatti anche i pericoli per i vaccinati, dal momento che il virus può diffondersi maggiormente e contagiare anche loro: il vaccino non è infatti un rimedio che funziona con certezza assoluta, e ci sono inoltre persone con un sistema immunitario molto debole, per le quali i vaccini non funzionano molto bene, ma che potrebbero evitare il contagio se tutti gli altri membri della popolazione fossero vaccinati. La vaccinazione, si potrebbe quindi sostenere, non è un qualcosa di legato alla semplice libertà individuale, ma riguarda necessariamente la collettività.

A questa affermazione dei pro-vax risponde però il medico e parlamentare Maurizio Romani (Gruppo Misto, ex M5S), sostenendo che «non tutti i vaccini raccomandati [dalla Cdc di Atlanta ndr] possono impedire la trasmissione della malattia»; inoltre alcuni vaccini riguardano malattie che non sono trasmissibili (come il tetano). Secondo quanto detto da Romani durante la discussione in Parlamento, dei 10 vaccini ora obbligatori per legge in Italia, la metà (anti poliomelite, tetano, difterite, haemophilus influenzae ed epatite B) non impedisce la trasmissione della malattia (o riguarda malattie non trasmissibili) e altri due vaccini potrebbero comunque non essere efficaci nell’impedire la trasmissione (i vaccini per la pertosse e il morbillo). Il senatore mette quindi in dubbio il principio secondo cui tutti i vaccini servano alla collettività anziché agli individui e di conseguenza ritiene che i vaccini obbligatori dovrebbero essere, al posto di 10, solo i tre che realmente impediscono il diffondersi delle malattie, ovvero i vaccini anti rosolia, anti varicella e anti parotite.

Romani non è contrario ai vaccini in generale, ma si batte contro quella che definisce una «sperimentazione di massa su tutti i bambini italiani». Dal momento che gli effetti (positivi e negativi) di questo tipo di vaccinazioni di massa su bambini non sono ancora stati studiati, agendo in questo modo le autorità sanitarie condurranno uno studio sulla popolazione: «Io, come essere umano – obietta però Romani – non mi considero un mezzo per la realizzazione di un processo sanitario. Mi considero il fine, di questo processo».

Secondo Romani e altri cosiddetti ‘no vax’, infatti, non esistono studi del tutto completi che possano permettere di prevedere con precisione gli effetti avversi dei vaccini, ma ci sarebbero molti indizi che consiglierebbero di procedere con maggiore prudenza. I pro-vax, invece, proprio perché non risultano studi che dimostrano che i vaccini siano pericolosi (se non in una piccolissima parte dei casi, insufficiente a minarne l’utilità) ritengono che i benefici siano enormemente più grandi delle controindicazioni, che, secondo l’opinione più diffusa (supportata da studi), normalmente si limitano a una febbre o piccoli malori.

Il problema è che il risultato degli studi statistici può facilmente essere contestato, dal momento che le statistiche sulla correlazione tra malattie e vaccini si basano sulle segnalazioni dei pazienti, i quali non necessariamente segnalano i problemi, e sulla valutazione dei medici, i quali potrebbero non attribuire le malattie ai vaccini, dal momento che nella maggior parte dei casi non esiste una letteratura scientifica consistente a supporto di tale collegamento.

La comunità scientifica, tuttavia, si mostra decisa e impermeabile: un’eccessiva diffusione dei movimenti no-vax – questo è probabilmente il timore dei medici e delle autorità – potrebbe portare alla ricomparsa di malattie quasi debellate e a una maggiore vulnerabilità della popolazione. E se da un lato c’è chi accusa lo Stato di fare gli interessi delle case farmaceutiche, dall’altro c’è chi, come Burioni, sostiene che con i vaccini si guadagni meno che con i farmaci delle malattie corrispondenti.

Il pericolo per tutti è che nella grande minestra di teorie del complotto, sfiducia nei confronti delle autorità, insulti da ambo le parti, e scarsità di dibattiti e informazioni complete, si rischi di perdere di vista quel che c’è di buono e ragionevole in entrambe le posizioni.

 
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