Il 5G di Huawei serve a spiarci meglio

Di Austin Bay

Febbraio è stato un mese crudele per il ‘gigante’ cinese Huawei, come è giusto che fosse. La società di telecomunicazioni a ‘elevato rischio‘, con profondi legami con la dittatura comunista di Pechino, rischia difatti un aprile ancora più duro, e un 2020 disastroso, colmo di accuse e indagini penali, e di azioni legali da miliardi di dollari.

Per diversi anni, Huawei ha perseguito una strategia che la posizionasse come il maggiore fornitore al mondo di apparecchiature per le telecomunicazioni; con l’obiettivo di dominare le infrastrutture globali e regionali per la comunicazione, nonché i sistemi internazionali digitali più critici.

La sua mossa più preoccupante riguarda i sistemi di comunicazione wireless di ‘prossima generazione’, in grado di connettere telefoni cellulari, Internet e l’Internet delle cose, insomma, un mondo tutto digitale. E Huawei intende fornire l’hardware e il supporto tecnico aziendale.

Ma ecco da cosa è rappresentato l’elevato rischio: a parte chi ha diretti interessi con il Partito Comunista Cinese, c’è qualcuno che si fida davvero della dittatura tirannica di Pechino, che ha il potere di monitorare ogni comunicazione (spiando a livello locale e globale), di interrompere, negare o corrompere i servizi digitali, e possibilmente di arrogarsi il controllo dei dispositivi digitali, come ad esempio i computer che controllano il traffico aereo dell’aeroporto internazionale di Los Angeles?

Uno scenario improbabile? No, poiché quella nei confronti di Huawei è davvero una preoccupazione legittima, esacerbata dalla disonestà criminale del regime cinese (si guardi ad esempio come ha mentito sul Covid-19/virus di Wuhan). A tutti gli effetti, Huawei è infatti uno strumento del Partito Comunista Cinese. Un’azienda del genere, sostenuta da Pechino, può benissimo tramare operazioni di spionaggio. E ci sono numerose prove che indicano come Huawei sia lo specchietto per le allodole con cui Pechino sta ingannando il resto del mondo.

Ed ecco perché il traumatico modo in cui febbraio ‘ha accolto’ Huawei è in realtà incoraggiante.

Il 10 febbraio, il procuratore generale degli Stati Uniti William Barr ha parlato di Huawei senza peli sulla lingua e, oltre a ribadire che l’azienda rappresenta un rischio per la sicurezza di tutto il mondo libero, ha suggerito diverse azioni che Usa e alleati potrebbero intraprendere contro tale minaccia. Ha proposto che gli Stati Uniti formino un consorzio di aziende private, locali e alleate, per fabbricare apparecchiature 5G. Nello specifico, ha chiamato all’appello Nokia ed Ericsson.

Nokia, Ericsson e Samsung sono, rispettivamente, le prime tre aziende al mondo in possesso di brevetti per le telecomunicazioni standard ed essenziali. Con questa misura, tre democrazie, ovvero Finlandia (Nokia), Svezia (Ericsson) e Corea del Sud (Samsung), sono in possesso di una tecnologia superiore. Secondo un’analisi, Huawei è sesta.
Quest’ultima, tuttavia, ha delle risorse che mancano alle tre che la precedono: il denaro e la spinta politica di Pechino, nonché il supporto non visibile dei servizi segreti di uno Stato autoritario. Alcune fonti stimano che Huawei abbia ricevuto dai 75 agli 80 miliardi di dollari da Pechino, e che abbia usato quei soldi per aumentare le vendite, garantendo così i finanziamenti successivi.

Il 13 febbraio, il Dipartimento di Giustizia di Barr e l’Fbi hanno spiegato in dettaglio il rischio per la sicurezza nazionale e internazionale rappresentato da Huawei. Il documento di 56 pagine del Dipartimento di Giustizia, muove a Huawei ben 16 accuse, tra cui «racket e cospirazione, e complotto per il furto di segreti commerciali».

Huawei deve affrontare numerose accuse di furto di proprietà intellettuale. Il documento presenta alcune curiosità che rimandano direttamente allo spionaggio da parte del governo cinese. Gli investigatori statunitensi hanno scoperto infatti un manuale Huawei «top-secret» che ordinava a «determinate persone» di nascondere il fatto che lavorassero per l’azienda, ogniqualvolta incontrassero «funzionari delle forze dell’ordine straniere».

Anche numerosi analisti ritengono che Huawei abbia sostenuto lo spionaggio cinese. Il personale di Huawei ha ammesso che l’azienda ha la capacità di intercettare le comunicazioni, sia in Cina che in altri Paesi, utilizzando il proprio hardware.

Gli archivi dell’azienda contengono infatti informazioni sul personale di altri Paesi, registri telefonici e altre proprietà che nulla hanno a che vedere con le telecomunicazioni.

Inoltre, è ormai assodato il fatto che la dittatura cinese impone alle proprie aziende di fornire a Pechino l’accesso a tutti i dati in loro possesso. Ma Huawei non è un’azienda privata: è di proprietà di una holding, a sua volta di proprietà di un comitato di investimento sindacale, che è essenzialmente un ramo della Federazione dei sindacati di tutta la Cina, che è un ente pubblico.

Poi c’è la questione Meng Wanzhou. La signora Meng è la direttrice finanziaria di Huawei, nonché figlia del fondatore. Secondo il Dipartimento di Giustizia, era direttamente coinvolta non solo nel rubare il codice sorgente sviluppato dagli americani, ma anche nel furto di hardware, come unità di memoria e antenne. Ha inoltre violato le regole sulle sanzioni statunitensi contro l’Iran, e gli Usa stanno cercando di estradarla dal Canada.

È una spia? Ha ottenuto illecitamente segreti fondamentali per svelarli all’esercito cinese. Pechino sta facendo di tutto per impedire la sua estradizione, ricorrendo anche a intimidazioni verso i diplomatici canadesi: è la prova che il regime la considera un diplomatico e una spia allo stesso tempo.

 

Austin Bay è un ex colonnello della forza di riserva dell’Esercito degli Stati Uniti. Autore, editorialista e insegnante di strategia e teoria strategica all’Università del Texas. Il suo ultimo libro è “Cocktails from Hell: Five Wars Shaping the 21st Century”.

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times

Articolo in inglese: China’s Huawei Gambit 5G Viral Spies?

 

Traduzione di Alessandro Starnoni

 
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