1.828 giorni di tortura in una prigione femminile cinese, il racconto di una sopravvissuta

Di Hong Ning

Una praticante del Falun Gong è stata incarcerata nella prigione femminile di Heilongjiang nella provincia più settentrionale della Cina per cinque anni – 1.828 giorni – dove è stata torturata. Il tutto nel contesto di una persecuzione illegale.

«1.828 giorni e notti, ogni minuto, ogni secondo, ogni scena è profondamente impressa nella mia mente e non sarà mai cancellata», ha raccontato Chen Jing dopo essere stata rilasciata dalla prigione nell’inverno del 2021.

Il Falun Gong, noto anche come Falun Dafa, è un’antica pratica tradizionale cinese per il benessere di mente-corpo e  guidata dai principi di ‘Verità, Compassione e Tolleranza’. Dal 1999, la pratica è perseguitata dal regime comunista cinese.

«Come sopravvissuta alla persecuzione del Partito Comunista Cinese (Pcc), devo rivelare la persecuzione del Falun Gong ed esporla al mondo», ha dichiarato Chen all’edizione cinese di Epoch Times.

Nata in una famiglia benestante nella città di Daqing, nella provincia dell’Heilongjiang, Chen Jing, che ora ha 42 anni, era bella, intelligente, andava benissimo a scuola ed era eccezionale sotto tutti gli aspetti.

Tuttavia, è stata presa di mira dal Pcc mentre era all’università perché praticava il Falun Gong. La polizia locale l’ha messa agli arresti domiciliari, l’ha sospesa con la forza dalle lezioni, e l’ha minacciata di espellerla da scuola e di mandarla in prigione.

In ogni caso è riuscita a laurearsi e in seguito ha lavorato per un anno come medico all’Ospedale Centrale di Jiamusi nella provincia dell’Heilongjiang, fino a quando, infine, le è stato tolto il lavoro ed è stata espulsa dall’ospedale a causa delle sue convinzioni.

Nel pomeriggio del 21 gennaio 2016, una decina di agenti di polizia del Dipartimento di Polizia provinciale dell’Heilongjiang e dell’ufficio di pubblica sicurezza di Jiamusi hanno arrestato Chen nella sua residenza e l’hanno mandata al centro di detenzione della città di Jiamusi il giorno successivo, dando inizio a cinque anni di sofferenza.

Torturata in un centro di detenzione e in prigione

Durante la detenzione, Chen è stata appesa in aria con entrambe le mani legate dietro la schiena e il suo corpo è stato ripetutamente sbattuto contro un muro. Le guardie carcerarie le hanno strappato tutte le unghie, l’hanno spogliata e le hanno pizzicato i capezzoli, usato stuzzicadenti per tenerle le palpebre aperte a mezzanotte per privarla del sonno; le hanno inoltre versato addosso dell’acqua fredda e l’hanno costretta a sedersi su un piccolo sgabello avvolta in un nastro dalla testa ai piedi.

È stata torturata così duramente da rimanere paralizzata e a letto per tre mesi, incapace di prendersi cura di se stessa.

Il 23 gennaio 2016, Chen è stata portata dal centro di detenzione alla filiale suburbana dell’Ufficio di pubblica sicurezza di Jiamusi per essere interrogata.

Un agente ha detto agli agenti che la picchiavano: «Non importa se la picchiate a morte. L’ordine viene dal livello superiore».

Le hanno legato le mani con un lenzuolo e hanno legato l’altra estremità su un tubo del riscaldamento che era a 3 metri dal pavimento, sospendendola in aria. Presto le sue braccia sono divenute insensibili e la sua testa e il suo petto insopportabilmente pesanti. Era madida di sudore per il dolore lancinante.

Quindi, un agente le ha premuto la testa verso il basso mentre un altro le sollevava le gambe in modo che il suo corpo fosse sospeso parallelamente al suolo. Le hanno poi tirato forte le gambe e sbattuto il suo corpo contro il muro, dicendole: «Questo si chiama ‘Fare volare l’aeroplano’».

Chen Jing è stata torturata dalla polizia nella sua nativa Jiamusi, nel nord-est della Cina. (Per gentile concessione di Minghui)

Dopo molteplici impatti contro il muro il suo corpo era coperto di lividi e la sua colonna vertebrale era gravemente danneggiata. Un agente le ha anche rotto tutte le dita. È stata torturata per diversi giorni di seguito e non riusciva a dormire la notte a causa del dolore che le lacerava il corpo. È alta un metro e 62 circa ma il suo peso è sceso a meno di 44 kg.

Quanto sopra è solo un frammento delle torture a cui è stata sottoposta Chen, quando è stata interrogata.

Ha subito torture ancora più orrende nella prigione femminile dell’Heilongjiang, tra cui l’essere costantemente pizzicata, spinta, presa a calci e schiaffi in faccia, infilzata negli occhi e costretta a mantenere le palpebre aperte con stuzzicadenti, il venire bagnata con grandi quantità d’acqua, pizzicata ai capezzoli e privata del sonno.

Il Pcc ha torturato Chen al solo scopo di costringerla a rinunciare alle sue convinzioni.

Chen ha chiesto alla polizia del centro di detenzione: «Una volta che rinuncerò alla mia fede, sarò rilasciata. Se non lo faccio, sarò condannata. Questo non significa che sono innocente? Emettere un verdetto che viola i fatti e la legge senza alcuna base legale è un crimine».

Chen è stata imprigionata per cinque anni perché si è rifiutata di rinunciare al suo credo.

Un avvocato cinese per i diritti umani, che ha scelto di rimanere anonimo per sicurezza, ha spiegato all’edizione cinese di Epoch Times che «in Cina, l’indipendenza della magistratura è praticamente inesistente. Il [metodo di, ndr] ‘trasformazione’ del Pcc è controllare con la forza il cervello di un essere umano e cambiare i loro pensieri e credenze. Va ben oltre ciò che la legge consente, ed è un atto illegale e criminale, persecuzione politica e anti-umanità».

Da quando è iniziata l’oppressione del Falun Gong nel 1999, i centri di detenzione, i campi di lavoro e le prigioni hanno torturato i praticanti del Falun Gong in innumerevoli modi per costringerli a rinunciare alle loro convinzioni. La persecuzione continua ancora oggi.

 

Articolo in inglese: 1,828 Days of Torture in a Chinese Women’s Prison: Survivor’s Account

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