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Il Guandong è la cartina tornasole della salute dell'economia cineseIl cuore dell’economia cinese non pulsa più come prima
Nei primi nove mesi del 2025 Guangdong – la provincia più ricca della Cina – è cresciuta appena del 4,1%, restando nuovamente sotto la media nazionale, e continua a seguire lo stesso trend dal 2021. Brutto colpo per la regione considerata da decenni il motore dell’economia cinese

Porto di Yantian a Shenzhen, provincia del Guangdong, Cina, 30 ottobre 2025. Foto: REUTERS/Tingshu Wang/File Photo
Nei primi nove mesi del 2025 Guangdong – la provincia più ricca della Cina – è cresciuta appena del 4,1%, restando nuovamente sotto la media nazionale, e continua a seguire lo stesso trend dal 2021. L’anno scorso aveva chiuso con un misero +3,5%, mancando per il terzo anno di fila l’obiettivo e rimanendo lontana dal 5% nazionale. Brutto colpo per la regione considerata da decenni il motore dell’economia cinese. Guangdong infatti non è una provincia qualunque: genera praticamente il 10% del Pil cinese, ha 128 milioni di residenti (150 se si considerano i migranti) ed è da 39 anni il primo esportatore del Paese.
Ma proprio perché è il pilastro economico più importante, Guangdong subisce molte pressioni strutturali, più di qualunque altra provincia cinese. Eppure, nonostante i richiami a “trasformarsi e modernizzarsi” lanciati da almeno vent’anni, l’economia della provincia rimane stagnante. Ma per capire esattamente il perché bisogna tornare indietro. Dopo le riforme del 1978, Guangdong era esplosa sfruttando la globalizzazione e la vicinanza a Hong Kong. Con il pieno sostegno di Pechino, aveva puntato tutto su manifattura, esportazioni e urbanizzazione. Di conseguenza, il Pil è passato da 25 miliardi di yuan del 1980 a 14 mila miliardi (quasi 1 miliardo e 700 mila euro) nel 2024. Ma oggi queste strategie non funzionano più. Per prima cosa la de-globalizzazione o, come dicono alcuni, la “ristrutturazione” del commercio mondiale, ha messo in ginocchio il modello economico basato sulle esportazioni di Guangdong e quello cinese in generale. Il commercio estero infatti rappresenta ancora il 64% del Pil provinciale, ma i dazi di Trump hanno fatto crollare le esportazioni che nel primo semestre del 2025 sono cresciute di un misero 0,6%, contro il 7,1% dell’anno prima.
Anche il settore dei servizi arranca, frenando la crescita a lungo termine, con una domanda interna sempre più debole a livello nazionale e che se la passa persino peggio a Guangdong. Prima del 2018 le vendite al dettaglio superavano il 40% del Pil della provincia; nel 2024 sono scese al 33,8%. Il vecchio detto cinese “a Guangdong ci sono le zone più ricche della Cina, ma a anche alcune delle più povere” oggi è più vero che mai. Le 12 prefetture infatti, come Shantou, Chaozhou, Zhanjiang, rappresentano il 70% della provincia, ospitano il 40% della popolazione ma producono meno del 20% della sua ricchezza. Ad aggravare il tutto c’è anche l’industrializzazione ormai lenta, delle città poco sviluppate con infrastrutture carenti e la fuga costante dei giovani.
Un ulteriore aspetto che mette in crisi il motore cinese è il miraggio dell’urbanizzazione. Nel 1980 la provincia era urbanizzata al 21% e nel 2024 è arrivata al 75%, raggiungendo praticamente un livello da Paese sviluppato. Ma dal 2021 il mattone cinese è in crisi e, con Evergrande nata proprio lì, la batosta è stata durissima: da gennaio a luglio 2025 gli investimenti immobiliari sono crollati del 17,3%, peggio della media nazionale (-12%).
Guangdong viene da sempre considerata il fulcro dell’economia cinese. E quindi, di conseguenza, i problemi che affliggono la provincia fanno da termometro alla Cina intera. E il regime cinese lo sa benissimo, tanto che lo stesso rapporto del governo provinciale del 2023 lo dice senza giri di parole: «L’apertura al mondo ci rende vulnerabili. La domanda è debole, le imprese arrancano, i nuovi motori di crescita non ingranano, e i divari tra zone ricche e povere non sono stati risolti alla radice». Ma allora perché, in vent’anni di proclami, non è cambiato praticamente nulla? La risposta è semplice: il problema sta nel sistema del Partito comunista cinese stesso.
Le riforme zoppe del Pcc hanno infatti creato un’economia distorta, dove a comandare sono il potere politico e gli interessi di chi sta in alto. I mercati veri (quelli che funzionano da soli) lì, ovviamente, non esistono. La diplomazia aggressiva del regime cinese inoltre ha compromesso la reputazione internazionale della Cina, spingendo Stati Uniti ed Europa a tagliare i ponti con Pechino. E, ultimo ma non meno importante, la fine del principio “un Paese, due sistemi” a Hong Kong ha privato Guangdong del suo vantaggio storico: essere a due passi da un hub finanziario internazionale aperto e soprattutto libero.
In pratica i problemi di Guangdong non sono solo economici, sono sistemici. Finché il Partito comunista cinese resterà al potere quindi, la stagnazione della provincia non sarà un’eccezione, ma l’anticipo di ciò che aspetta all’intera Cina.
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