Il Parlamento europeo ieri ha approvato una risoluzione che invita l’Unione europea a esercitare pressione sulla Commissione e sugli Stati membri affinché contrastino i regimi autoritari che esportano le proprie politiche tiranniche oltre i propri confini. È la prima volta che il Parlamento europeo adotta una precisa definizione di “repressione transnazionale”.
In Cima alla lista di questi «regimi» figura, come è facile intuire, la brutale dittatura comunista della Repubblica Popolare Cinese. Seguita da Turchia, Tagikistan, Russia, Egitto, Cambogia, Turkmenistan, Uzbekistan, Iran e Bielorussia. La risoluzione cita dati della fondazione statunitense Freedom House, secondo cui circa l’80 per cento dei crimini transnazionali registrati nell’ultimo decennio sarebbe stato commesso da solo dieci regimi.
La risoluzione afferma che «la repressione transnazionale» esercitata da questi regimi «assume forme sempre più subdole» per porre in essere in Europa aggressioni fisiche, attività di spionaggio, pressioni giudiziarie, campagne diffamatorie, rapimenti, rimpatri forzati, minacce ai familiari dei perseguitati e persino omicidi.
Il mezzo per perpetrare simili reati variano dai canali consolari e al sistema delle segnalazioni “rosse” dell’Interpol. In ambito digitale, questi stessi regimi — e i loro intermediari — ricorrono con frequenza crescente a tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, ad applicativi spia, a intrusioni informatiche e al cosiddetto doxing per spiare i dissidenti.
Le vittime sono giornalisti, avvocati e dissidenti in generale che denunciano le violazioni dei diritti umani commesse da questi regimi.
«È tempo di porre fine a tutto questo – ha dichiarato il deputato francese Chloé Ridel, relatrice del documento – L’Europa deve rimanere un rifugio sicuro per quanti lottano per la libertà e la democrazia».
I parlamentari chiedono alla Commissione presieduta dalla von del Leyen e agli Stati membri di adottare una strategia organica contro la repressione transnazionale, prevedendo anche l’inserimento di clausole sui diritti umani negli accordi internazionali.
La richiesta alle istituzioni europee è di affrontare le forme “digitali” di repressione, garantendo che il settore privato — in particolare le imprese tecnologiche — sia ritenuto responsabile per eventuali complicità in tali crimini; tra le misure proposte figurano la pubblicazione di rapporti di trasparenza e la creazione di «meccanismi di ricorso efficaci» accessibili ai difensori dei diritti umani e ad altri soggetti a rischio.
Un ulteriore punto centrale, ha spiegato l’europarlamentare francese Ridel, è la necessità dell’introduzione di un sistema rigoroso di controllo del mercato interno che vieti l’esportazione di tecnologie di sorveglianza verso Stati colpevoli di azioni di repressione transnazionale e/o di violazioni dei diritti umani. «Dobbiamo dire alle aziende europee che producono software spia che non possono esportarli e venderli a chi intende usarli contro di noi. È una questione di sovranità europea», ha poi dichiarato la parlamentare in conferenza stampa.
Il Parlamento di Strasburgo propone anche di istituire meccanismi comuni di tracciamento e registrazione dei casi di repressione transnazionale in tutta l’Unione, al fine di agevolare indagini e interventi tempestivi, creando banche dati accessibili anche alle organizzazioni non governative. I deputati raccomandano, infine, che l’Unione europea adotti sanzioni mirate contro i regimi e gli individui responsabili di atti di repressione transnazionale.
L’approvazione della risoluzione giunge in un momento di crescente preoccupazione per le azioni repressive messe in atto contro i dissidenti che vivono in Europa, in particolare da parte della dittatura cinese, che la cui persecuzione Freedom House descrive come «la più estesa e sofisticata al mondo».
Un’inchiesta diffusa lo scorso aprile dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi ha rivelato che gli obiettivi del Partito comunista cinese sono in diversi Stati membri dell’Unione – dall’Irlanda alla Francia e alla Serbia – ma che la risposta europea resta «inefficace e priva di coordinamento».
«L’Ue deve fissare linee rosse chiare, sostenute da indagini penali, sanzioni e conseguenze diplomatiche, per dimostrare che i diritti fondamentali non sono negoziabili», ha affermato il deputato tedesco Hannah Neumann. Uno studio commissionato a giugno dalla Commissione per i Diritti umani del Parlamento europeo ha concluso che la repressione transnazionale «ha effetti negativi a ogni livello della società, dai diritti individuali alla sicurezza nazionale e alle istituzioni democratiche».




