Il Partito comunista cinese è impotente di fronte al declino
Continua la spirale negativa dell’economia cinese
Nonostante gli sforzi del regime comunista, l'economia cinese ha continuato a rallentare negli ultimi mesi, e sembra destinata a rallentare ulteriormente nel 2026

Photo: China in Focus
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Sebbene vi siano alcuni segnali di ripresa, molti dei problemi che affliggono la Repubblica Popolare Cinese da alcuni anni rimangono irrisolti, in modo particolare la crisi immobiliare. La prognosi è che questo rallentamento, così evidente negli ultimi mesi, dominerà anche nel 2026.
Un elemento favorevole nel bilancio economico cinese è la notizia che i principali costruttori hanno finalmente iniziato a razionalizzare le loro finanze. La ristrutturazione del debito è già iniziata seriamente ed è un buon primo passo per trasformare il declino in ripresa, sebbene sia prima necessario completare la costruzione degli appartamenti avviata nel periodo precedente alla pandemia da Covid-19 per poi venderli, indubbiamente, in perdita. Ci vorranno, insomma, anni prima che questo importante settore possa ricominciare a sostenere l’economia cinese. Le famiglie cinesi considerano la casa di proprietà come elemento principale per mostrare la propria ricchezza e questi cali dei prezzi immobiliari hanno colpito duramente il patrimonio netto familiare e limitato di conseguenza la spesa.
Nel piano quinquennale più recente è stato stabilito di investire somme notevoli nelle industrie del futuro, ovvero semiconduttori, prodotti biomedici, intelligenza artificiale, veicoli elettrici, batterie e quantum computing. Malgrado l’esuberante investimento di Pechino nelle tecnologie abbia contribuito alla crescita dal 2023, e probabilmente lo farà anche nel 2026, porta con sé dei limiti. In primo luogo, il settore tecnologico costituisce solo il 10% dell’economia e non può quindi compensare interamente le perdite del settore immobiliare, che al suo apice rappresentava circa il 25% del prodotto interno lordo del Paese. Inoltre, sebbene il piano enfatizzi la necessità di aiutare il consumatore cinese, esso non include il sostegno su base ampia di cui l’economia ha bisogno. Il massimo che Pechino ha fatto è stato sovvenzionare gli acquisti di automobili ed elettrodomestici, una mossa che deve essere considerata irrisoria rispetto alla compressione generale dei bilanci delle famiglie.
A sollevare interrogativi ancora più seri è la natura disomogenea di questo incremento degli investimenti tecnologici. La crescita della capacità di produrre prodotti high-tech ha superato le esigenze interne della Cina, creando una pressione deflazionistica. Il risultato è un calo significativo dei prezzi che le imprese cinesi hanno ottenuto per i loro prodotti negli ultimi due anni. La deflazione stessa ritarda le prospettive di crescita, inducendo famiglie e imprese a posticipare la spesa nella speranza di un prezzo minore in futuro.
Gli investimenti hanno generato una domanda di chip avanzati che la Cina non è in grado di soddisfare con la sua produzione interna. La situazione è aggravata dalle restrizioni sulle esportazioni imposte dagli Stati Uniti, che impediscono alla Cina di compensare la carenza interna con l’importazione di tali componenti, come quelli prodotti, ad esempio, dalla Nvidia, che ha sede proprio sul territorio statunitense. La carenza di chip in Cina ha costretto a soluzioni alternative e ha persino spinto Pechino a intervenire direttamente, decidendo come il principale produttore di chip cinese, la Semiconductor Manufacturing International Corporation, dovesse allocare la sua limitata produzione. La carenza e le soluzioni alternative hanno rallentato e reso lo sforzo tecnologico meno efficiente e più soggetto a errori.
L’eccesso di capacità produttiva cinese ha reso l’economia fortemente dipendente dalle esportazioni, ma questa necessità si scontra con la notevole ostilità di mercati importanti come gli Stati Uniti e l’Europa, oltre che di Paesi in via di sviluppo (come Indonesia, Malesia e Messico). Nonostante l’accordo tra Xi Jinping e Donald Trump abbia previsto una riduzione dei dazi imposti dagli Usa ed eviti ulteriori restrizioni, dando potenzialmente impulso all’economia, i prelievi doganali statunitensi restano comunque molto elevati, superando il 40% rispetto al 2024.
Questa serie di fattori avversi ha portato poco conforto all’economia cinese nella seconda metà del 2025. Il ritmo di crescita della produzione industriale è rallentato di quasi un terzo dalla primavera scorsa. Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino, il cosiddetto indice Pmi dell’attività manifatturiera ha raggiunto un valore di 49 lo scorso ottobre, il periodo più recente per il quale sono disponibili dati. Va considerato che qualsiasi valore inferiore a 50 segnala un calo. Sebbene l’indice gemello dei servizi abbia mostrato un miglioramento, il tasso lento di avanzamento delle vendite di servizi, pari al 4,6%, è stato notevolmente inferiore rispetto all’inizio di quest’anno o al 2024.
Le vendite al dettaglio a ottobre hanno mostrato un incremento di un misero 2,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Particolarmente degno di nota è stato il calo netto delle vendite di automobili, indicando che il programma di sussidi di Pechino, già troppo piccolo per risolvere il problema generale, sta perdendo il suo effetto.
Le vendite online sono, al contrario, aumentate in modo evidente, ma non a dimostrare una ripresa di fiducia dei consumatori cinesi, quanto piuttosto una diminuzione drastica delle vendite offline, evidenziando un fenomeno di cannibalizzazione. E non sorprende che le esportazioni siano diminuite in questo stesso periodo. Le esportazioni negli Stati Uniti sono state inferiori del 25 % rispetto a un anno fa; il fatturato realizzato attraverso la Nuova via della Seta del regime cinese hanno parzialmente compensato queste perdite, ma le esportazioni complessive sono comunque diminuite del 7% nell’ultimo anno.
Le vendite online sono, al contrario, aumentate in modo evidente, ma non a dimostrare una ripresa di fiducia dei consumatori cinesi, quanto piuttosto una diminuzione drastica delle vendite offline, evidenziando un fenomeno di cannibalizzazione. E non sorprende che le esportazioni siano diminuite in questo stesso periodo. Le esportazioni negli Stati Uniti sono state inferiori del 25 % rispetto a un anno fa; il fatturato realizzato attraverso la Nuova via della Seta del regime cinese hanno parzialmente compensato queste perdite, ma le esportazioni complessive sono comunque diminuite del 7% nell’ultimo anno.
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