Youtube ammette di aver cancellato per «errore» frasi contro il Pcc

Di Petr Sbav

Youtube ha ammesso che stava cancellando dai commenti alcune frasi ricorrenti che criticavano il Partito Comunista Cinese (Pcc).

Un portavoce di Youtube ha dichiarato in una mail indirizzata a Epoch Times: «Siamo continuamente al lavoro per risolvere i problemi di Youtube. Dopo una verifica dei nostri esperti, abbiamo confermato che si è trattato di un errore nei nostri sistemi di implementazione e stiamo lavorando per risolverlo il prima possibile».

Youtube e Google

Una delle parole proibite su Youtube era ‘gongfei’ (共匪), traducibile come ‘bandito comunista’. Si tratta di un termine risalente all’era della guerra civile cinese che ancora oggi è piuttosto utilizzato online.

Un’altra delle espressioni che venivano cancellate automaticamente era ‘wumao’ (五毛), che letteralmente significa ‘50 centesimi’. Si tratta di un termine comunemente usato online per riferirsi al cosiddetto esercito dei ‘troll di internet’ che il Pcc utilizza per diffondere la sua propaganda online. Si dice infatti che questi troll di internet vengano retribuiti dal Pcc con 50 centesimi di yuan per ogni post pubblicato.

Lo staff di Epoch Times ha provato a postare le due espressioni sopraindicate sotto diversi video e con diversi account Youtube, per molte volte, ma il risultato è stato sempre lo stesso: i commenti venivano cancellati nel giro di 20 secondi.

Secondo YouTube, i commenti sono stati rimossi non a causa di un cambiamento di politica o di una segnalazione di massa, ma perché il sistema automatico di moderazione dei commenti non ha tenuto adeguatamente conto del contesto. In alcuni contesti infatti, le frasi avrebbero potuto violare le politiche di YouTube, stando alle dichiarazioni del gigante informatico.

L’azienda ha anche dichiarato dii aver prontamente indagato sulla questione appena ne è venuta a conoscenza e che ora la sta risolvendo, sottolineando che durante la pandemia del virus del Pcc si è dovuta affidare più del solito al suo sistema di moderazione automatico.

Di fatto, la mattina del 27 maggio, quando lo staff di Epoch Times ha condotto alcuni test, il problema è apparso risolto.

Tuttavia, la spiegazione fornita da Youtube non è molto convincente.

Come ha puntualizzato The Verge, alcuni utenti avevano scritto sulle pagine di aiuto ufficiali di YouTube per lamentarsi della cancellazione dei propri commenti già nell’ottobre 2019, ben prima dell’inizio della pandemia.

Il 13 maggio, la questione è stata segnalata anche da Jennifer Zeng, blogger e creatrice di contenuti YouTube, particolarmente attenta alle notizie sulla Cina.
Ha pubblicato un video di una persona che mostrava la cancellazione di un suo commento, e anche altri hanno confermato questa osservazione. La questione è stata riportata anche da Taiwan News. Tuttavia, non c’è stata alcuna risposta da parte di YouTube.

Quando il 19 maggio Epoch Times ha richiesto a Google, che possiede YouTube, un commento sulla faccenda, la società non ha ammesso di aver cancellato alcun commento, nonostante le siano state fornite ampie prove.

Il parlamentare americano Jim Banks ha interrogato Google sulla cancellazione dei commenti in una lettera del 26 maggio, chiedendogli di «delineare la politica di Google che bloccherebbe le critiche al servizio di propaganda online del Partito Comunista Cinese».

Banks ha sottolineato che il gigante di internet, da un lato afferma di «non poter vigilare sulle vendite di oppioidi, sulle attività di terrorismo o sui contenuti illeciti» e che per questo ha bisogno di essere tutelato da eventuali responsabilità sui contenuti degli utenti con la sezione 230 del Communications Decency Act; ma al contempo dimostra di avere abbastanza risorse per «bloccare le critiche a un regime brutale e dittatoriale».

I loghi di Google e YouTube
I loghi di Google e YouTube all’ingresso degli uffici di Google a Los Angeles, California, il 21 novembre 2019. (Robyn Beck/AFP tramite Getty Images)

Il legame con il Partito Comunista Cinese

Google è finito più volte sotto i riflettori per essersi apparentemente inchinato al Pcc.

Dal 2018, l’azienda collabora con un importante ente di ricerca sull’intelligenza artificiale presso l’Università di Tsinghua, una prestigiosa istituzione accademica cinese che conduce ricerche sull’Intelligenza artificiale anche per conto dell’esercito cinese.

Google è stato anche criticato dopo che nel 2018 è divenuto noto che stava sviluppando segretamente un’applicazione di ricerca appositamente censurata per il mercato cinese, nell’ambito di un progetto denominato ‘Dragonfly’.

Secondo le informazioni rilasciate da un insider al The Intercept, l’applicazione era progettata per collegare la cronologia delle ricerche di ogni utente ai suoi numeri di telefono, rendendo cosi più facile per il regime l’inquadramento dei potenziali dissidenti.

Diversi parlamentari, difensori dei diritti umani e persino alcuni dipendenti di Google si sono schierati contro il progetto, che da allora sembra sia stato accantonato.

Google ha gestito una versione censurata del suo motore di ricerca in Cina dal 2006 al 2010, ma si è ritirato dal mercato dopo aver dichiarato che un attacco informatico proveniente della Cina aveva preso di mira gli account di posta elettronica Google di decine di attivisti dei diritti cinesi.

Gli abusi del Pcc

Gli osservatori internazionali dei diritti umani sono concordi nel definire il regime cinese come uno dei peggiori violatori dei diritti umani al mondo. Secondo un’inchiesta condotta nel 2006, il regime cinese avrebbe ucciso negli ultimi decenni centinaia di migliaia di prigionieri di coscienza per vendere i loro organi.

Nel 2019 un tribunale indipendente a Londra ha concluso che il prelievo forzato di organi dai prigionieri di coscienza, autorizzato dallo Stato, ha avuto luogo per anni in Cina «su una scala significativa», e continua ancora oggi.

Il Pcc gestisce il sistema di censura online più sofisticato al mondo, e impiega decine di migliaia di persone per cancellare manualmente i contenuti e diffondere post positivi o negativi a seconda delle istruzioni del regime.

Il regime richiede alle aziende straniere che operano in Cina di censurare gli argomenti che reputa ‘sensibili’, come la democrazia, i diritti umani, la persecuzione dei praticanti del Falun Gong in Cina, dei cristiani indipendenti, degli uiguri, degli attivisti per i diritti umani e civili, e altri ancora. Peraltro, le aziende sono obbligate dalla legge cinese a condividere tutti i dati conservati in Cina con le autorità del Partito Comunista Cinese.

Tuttavia, l’amministratore delegato di Google Sundar Pichai ha già dichiarato in passato che l’azienda ha investito in Cina per anni e ha intenzione di continuare a farlo.

Dal canto suo, il governo di Donald Trump ha posto una notevole enfasi sull’allontanamento dal Pcc, in particolare nel settore tecnologico e informatico.

Non a caso, il segretario di Stato Mike Pompeo ha dichiarato a gennaio: «Dobbiamo assicurarci che le nostre aziende non facciano accordi che rafforzino la capacità militare di un avversario o che aiutino il regime a stringere la morsa della repressione in alcune parti del Paese».

Tuttavia, un recente studio condotto da Top10Vpn ha rivelato che i giganti della tecnologia americani stanno continuando ad aiutare le aziende di sorveglianza del regime cinese, anche quelle presenti nella lista nera del Dipartimento del commercio Usa.

 

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Articolo in inglese: YouTube Admits to Deleting Anti-CCP Phrases, Blames ‘Error’

 
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