Uomini e aborto

La questione dell’aborto è un argomento molto delicato e molti si sono chiesti se gli uomini dovrebbero avere voce in capitolo, sia per quel che riguarda la legislazione in materia, che per quanto riguarda la loro vita personale, nel caso ne fossero coinvolti.

Alcune femministe dicono assolutamente di no, anche se la loro ira è diretta specialmente contro gli uomini che aderiscono ai movimenti pro-vita, quelli, cioè, che sostengono il diritto alla vita dei bambini nel grembo materno.

E sono sempre gli uomini pro-vita e non gli uomini pro-scelta (a favore della scelta, cioè, di abortire o meno), che sono maggiormente attaccati sui social media con l’argomentazione secondo cui non dovrebbero parlarne affatto.

Uomini pro-vita zittiti

Dietro gli sforzi nello zittire gli uomini pro-vita c’è l’idea che solo coloro che sopportano il peso della gravidanza siano degni di avere voce in capitolo e di poter esprimere opinioni in materia.

Questo è uno strano modo di intendere la partecipazione alle decisioni (politiche) pubbliche ed è difficile trovare casi analoghi che non risultino assurdi. Per esempio, qualcuno sostiene che solo i giovani uomini che sopportano il principale fardello dell’uccidere ed essere uccisi in battaglia abbiano il diritto di esprimere opinioni sugli affari esteri o su questioni riguardanti la guerra e la pace. In pochi probabilmente pensano che solo coloro che possiedono degli schiavi abbiano il diritto di esprimere un opinione sulla moralità di possedere o uccidere uno schiavo; c’è anche chi ritiene che solo chi ha a proprio carico persone con gravi disabilità debba godere del diritto di esprimere accordo o disaccordo sull’eutanasia.

Non sono in molti, oggi, a poter essere persuasi che lo schiavo (come il bambino nell’utero materno) non sia un essere umano al 100% e che quindi non abbia il diritto a una protezione legale completa o alla stessa protezione legale degli altri contro la propria uccisione.

Più in generale, e in termini ancor più estremi, alcuni come l’esponente del Partito Democratico americano Alexandria Ocasio-Cortez affermano che l’abolizione dell’aborto in alcuni Stati come l’Alabama (dove sia il principale sostenitore del progetto di legge che il governatore che ha firmato la legge sono entrambe donne) «non è solo una forma di controllo del corpo delle donne. È tenere sotto controllo anche la sessualità femminile. Possedere le donne. […] è una forma brutale di oppressione», che la Ocasio-Cortez definisce «patriarcato».

Questa narrazione secondo cui l’opposizione alla legalizzazione dell’aborto sia un modo che il ‘patriarcato’ usa per tenere sotto controllo le donne è quella che porta molti uomini a stare in silenzio. Non zittisce certo, invece, coloro che sostengono l’aborto perché funga da loro ancora di salvezza per quando il sesso casuale e i rapporti non impegnati non hanno un ‘lieto fine’; né tantomeno quelli che si affidano all’aborto per proteggere la propria reputazione e carriera dagli effetti collaterali indesiderati della propria promiscuità sessuale. Questa categorie di persone hanno imparato molto bene ad usare a loro vantaggio la linea femminista (pro aborto) per difendere i propri interessi.

Di fatto gli uomini messi a tacere da queste storie e teorie del ‘patriarcato oppressivo’ sono proprio quelli che hanno dubbi sulla questione chiave del problema: l’umanità del piccolo essere dentro il grembo della donna e il diritto della madre di uccidere la propria prole; vengono ridotti al silenzio anche gli uomini che sarebbero disposti ad accogliere, proteggere e sostenere la vita del proprio bambino e la madre, ma i cui figli sono stati uccisi nel grembo materno senza il loro consenso o senza addirittura che ne fossero a conoscenza.

Due e uomini a confronto con l’aborto

La storia di Jason Scott Jones, produttore cinematografico, scrittore e attivista dei diritti umani e del movimento pro-life, illustra entrambi i tipi di uomo. Jason ha raccontato la sua storia, descrivendo come lui e la sua ragazza, entrambi ancora al liceo, si fossero preparati a cambiare la propria vita dopo la notizia di essere diventati genitori. Hanno ‘rottamato’ le loro speranze e i piani per l’università e la carriera, preparandosi ad accogliere la nuova vita. Jason ha abbandonato la scuola per arruolarsi nell’esercito. Dopo l’addestramento di base, il loro progetto era di vivere insieme sostenuti dal suo nuovo lavoro, che avrebbe provveduto a tutti e tre. Jason infatti, quando la sua ragazza gli ha dato la notizia, poco prima del suo diciassettesimo compleanno, aveva abbracciato pianamente il suo ruolo di padre, che protegge e sostiene la sua famiglia.

Jason ha raccontato l’evento che gli ha spezzato il cuore: la telefonata della ragazza verso la fine del suo corso di addestramento di base. Ricorda in quella telefonata di averla sentita, come se avesse il cuore lacerato dal dolore, piangere, in un modo che non aveva mai sentito una donna fino a quel momento, mentre gli diceva di essere dispiaciuta più e più volte, ripetendo: «Non ero io». Poi suo padre le ha preso il telefono dalle mani e ha detto a Jason che aveva abortito. Jason si è sentito cadere a pezzi, ma è riuscito a trovare la forza di dire al suo capitano: «Signore, chiami la polizia, il padre della mia ragazza ha ucciso mio figlio». Il capitano con molto tatto gli ha spiegato che, dopo la famosa sentenza di Roe contro Wade (una storica sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti d’America del 1973 che rappresenta uno dei principali precedenti riguardo alla legislazione sull’aborto) l’aborto è diventato legale. Da quel giorno Jason è diventato un impegnato attivista pro-vita.

La maggior parte degli uomini, tuttavia, non sono così aperti o decisi sulla questione dell’aborto, in entrambe le posizioni. Per ogni uomo che risponde alla gravidanza inaspettata della sua ragazza come Jason ha fatto, decidendo di provvedere al sostentamento del proprio figlio, forse ce ne sono altrettanti uomini che firmano volentieri un assegno alla clinica per l’aborto, per proteggere i propri piani e la propria libertà. Data la scomparsa della tradizione del matrimonio ‘col fucile puntato’, nel senso metaforico della pressione da parte delle famiglia della ragazza incinta sull’uomo affinché sposi la ragazza, è ragionevole sospettare che molti uomini reagiscano come ha fatto il padre della ragazza in questo caso: proteggendo la reputazione della propria famiglia a spese della vita del nipote nascituro.

Uomini promotori di aborto

Non ci si è mai posti tuttavia la domanda sul ruolo chiave svolto da alcuni uomini nel far progredire l’idea dell’aborto sia a livello politico che pratico. Le femministe come Mary Wollstonecraft, nel diciottesimo secolo, e Margaret Sanger, nel ventesimo secolo, hanno sempre aborrito l’aborto. Sono state le femministe americane del diciannovesimo secolo, non i sostenitori del patriarcato, ad impegnarsi a favore dell’abolizione dell’aborto.    

Che cosa è successo quindi alle femministe del tardo ventesimo secolo, che le ha trasformate in attiviste tanto impegnate per l’abolizione di quelle leggi che le loro sorelle avevano ottenuto qualche decennio prima?

Una parte della spiegazione deve essere il ruolo chiave degli uomini nel far progredire la causa dell’aborto. Il cambiamento è avvenuto dopo la morte della Sanger negli anni ’60 quando Alan Guttmacher, sostenitore dell’aborto, è diventato presidente dell’organizzazione fondata dalla Sanger, la Planned Parenthood Federation, trasformandola in una delle maggiori organizzazioni a livello mondiale per la promozione dell’aborto.

Ci sono voluti poi instancabili sforzi da parte del giornalista Larry Lader e dell’abortista dottor Bernard Nathanson, per persuadere le femministe riluttanti e i leader dei movimenti delle donne a sostenere l’idea dell’aborto legale.

Con inesorabile persuasione e statistiche fasulle, i due leader dell’aborto alla fine hanno conquistato anche Betty Friedan (che nella prima edizione del suo libro ‘The Feminist Mystique’, non menzionava affatto l’aborto) e l’editrice della rivista Cosmopolitan Helen Gurley Brown.

Lader e Nathanson hanno fondato la Naral (National Abortion Rights Action League) che ha persuaso a perorare la stessa causa anche la riluttante Now (National Organization for Women).

Tutto questo è ben descritto nel libro di Nathanson, scritto dopo essersi pentito e aver rinunciato al suo impegno di abortista che ha portato alla distruzione di circa 75 mila giovani vite, e nel resoconto della sua carriera al Cosmopolitan di Sue Ellen Browder, in cui descrive in concreto e con esperienze personali come il pensiero degli abortisti Lader e Nathanson abbiano sovvertito il movimento delle donne.

Sia la stampa che la Corte Suprema si sono basate sulle statistiche sull’aborto che, come ammise Nathanson, erano completamente inventate perché la verità non era dalla loro parte. Il comportamento spudorato di questi uomini ha svolto un ruolo decisivo nel promuovere l’aborto in un movimento femminista che vi si era sempre opposto.

 

L’autore dell’articolo, Paul Adams, è un professore emerito di lavoro sociale presso l’Università dielle Hawai ed è stato professore e socio preside degli affari accademici presso la Case Western Reserve University. È il coautore di ‘La giustizia sociale non è ciò che pensi che sia’ e ha scritto ampiamente sulla politica di assistenza sociale e sull’etica professionale e della virtù.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo in inglese Men and Abortion

 
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