Trump minaccia pesanti sanzioni contro l’Iraq

In seguito all'uccisione del generale iraniano Soleimani, il parlamento iracheno ha approvato una mozione per espellere le forze statunitensi dal Paese.

Di Katabella Roberts

Il 5 gennaio Trump ha minacciato pesanti sanzioni contro l’Iraq qualora i soldati statunitensi venissero espulsi dal Paese.

Parlando con i giornalisti a bordo dell’Air Force One, il presidente ha specificato che Baghdad si ritroverebbe costretta a rimborsare Washington del costo della base aerea finanziata dagli Stati Uniti; il Paese andrebbe inoltre incontro a pesanti sanzioni: «Se ci chiedessero di andarcene, ma non raggiungessimo un accordo molto amichevole, imporremo loro sanzioni senza precedenti. Le sanzioni iraniane sembreranno una sciocchezza al confronto».
«Abbiamo una base aerea straordinariamente costosa. La sua costruzione ci è costata miliardi di dollari. Molto prima che io entrassi in carica. Non ce ne andremo se non ci rimborseranno il suo costo».

«Se daranno segnali di ostilità, se faranno qualcosa che riterremo inopportuno, imporremo sanzioni all’Iraq, sanzioni molto pensanti per l’Iraq».

Gli avvertimenti di Trump sono conseguenza della risoluzione approvata dal parlamento iracheno per vietare alle forze straniere di usare suolo, acqua e spazio aereo iracheni per qualsivoglia motivo: una mossa volta a espellere le truppe degli Usa e dei loro alleati dal Paese.

I parlamentari che hanno votato la risoluzione (non vincolante) hanno chiesto al governo di porre fine all’accordo preso nel 2014 con Washington, che chiedeva agli Stati Uniti di stanziare in Iraq circa 5 mila e 200 militari per partecipare alla lotta contro l’Isis.

La risoluzione chiede al governo di impegnarsi a «revocare la sua richiesta di assistenza alla coalizione internazionale per combattere lo ‘Stato islamico’ dal momento che le operazioni militari in Iraq si sono concluse e la vittoria è stata raggiunta».

«Il governo iracheno – afferma la risoluzione – deve lavorare per porre fine alla presenza di truppe straniere in territorio iracheno e proibire loro di usare il suolo, lo spazio aereo o le fonti idriche per qualsivoglia motivo».

Anche alcune milizie sostenute dall’Iran hanno combattuto in Iraq al fianco degli Stati Uniti durante la guerra contro l’Isis, durata dal 2014 al 2017, ma queste sono state formalmente integrate nell’esercito iracheno.
Le milizie costituite da volontari, conosciute come Forze di Mobilitazione Popolare, erano guidate da Abu Mahdi al-Muhandis, fondatore del gruppo armato iraniano Kata’ib Hezbollah. Secondo l’intelligence statunitense i Kata’ib Hezbollah stavano collaborando con il generale iraniano Qassem Soleimani per effettuare attacchi missilistici contro gli americani stazionati nelle basi militari irachene.

L’attacco a Soleimani

La risoluzione del Parlamento iracheno si allaccia alla morte del generale Soleimani, che è stato ucciso il 3 gennaio da un attacco aereo statunitense nella cosiddetta zona verde internazionale di Baghdad.

L’attacco letale è stato ordinato dal presidente Trump e ha provocato la morte di 25 persone e 55 feriti. Tra le vittime anche Abu Mahdi al-Muhandis, che gli Stati Uniti consideravano un terrorista. Di fatto, nel 2007 un tribunale kuwaitiano lo aveva condannato a morte in contumacia per il suo coinvolgimento negli attentati dinamitardi all’ambasciata americana e a quella francese del 1983, in Kuwait.

Prima dell’attacco, le agenzie di intelligence statunitense avevano dichiarato di aver valide ragioni di ritenere che Soleimani fosse coinvolto in una pianificazione volta a colpire gli americani in diversi Paesi, tra cui Iraq, Siria e Libano, al fine di spingere gli Usa in guerra e distogliere così l’attenzione internazionale dalle grandi proteste che stanno avendo luogo in Iraq contro la crescente influenza iraniana all’interno del Paese.

Dopo l’approvazione della risoluzione da parte del parlamento iracheno, il segretario di Stato Mike Pompeo è intervenuto pubblicamente per riaffermare la legittimità della presenza statunitense in Iraq: «Per quanto riguarda la nostra odierna attività in Iraq, siamo stati nel loro Paese, abbiamo sostenuto la sovranità irachena, abbiamo continuamente contrastato la minaccia terroristica verso il popolo iracheno […] Siamo convinti che il popolo iracheno voglia che gli Stati Uniti continuino ad essere presenti per combattere contro il terrorismo, e noi continueremo a fare tutto il necessario per salvaguardare la sicurezza dell’America».

La settimana scorsa, Pompeo aveva inoltre riaffermato la necessità dell’attacco aereo contro Soleimani, sostenendo che è servito a neutralizzare un «imminente attacco» che avrebbe messo in pericolo la vita di molti americani.

«Penso che qualsiasi persona dotata di buon senso, dopo aver visionato le informazioni nelle mani degli alti funzionari americani, sarebbe giunta alle stesse conclusioni raggiunte dal presidente Trump e dalle alte sfere dello Stato: per l’America sarebbe stato più rischioso non fare nulla piuttosto che fare ciò che abbiamo fatto».

Le proteste in Iraq

La situazione in Iraq è diventata sempre più tesa dall’ottobre del 2019, quando sono scoppiate le proteste antigovernative, poiché migliaia di persone, per lo più giovani, stanno scendendo in strada per chiedere una riforma del sistema politico e per condannare l’influenza del regime iraniano nella politica locale e all’interno delle milizie armate.

Nel frattempo le milizie sostenute dall’Iran sono accusate di aver ucciso più di 500 persone. Al culmine dei disordini di novembre, i manifestanti hanno lanciato bombe incendiarie contro il consolato iraniano a Najaf.

Dall’inizio delle proteste sono state ferite almeno 17 mila persone durante le manifestazioni, secondo la Bbc. Nel tentativo di sedare le proteste il primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi ha rassegnato le dimissioni, ma è rimasto in carica in qualità di garante mentre il Paese si prepara a eleggere un nuovo primo ministro.

La recente morte di Soleimani, che aveva un notevole potere politico in Iraq, potrebbe influenzare le scelte future dell’Iraq, ha dichiarato a Epoch Times Sam Bazzi, analista esperto di medio oriente, nonché fondatore dell’Islamic Counterterrorism Institute e di Hezbollah Watch: «Soleimani gestiva i politici pro-Teheran in Iraq. Aveva molto potere e influenza politica tra i delegati regionali e gli alleati politici del regime iraniano», ha dichiarato.

Di fatto, Soleimani si intratteneva spesso con i politici iracheni a Baghdad per promuovere la formazione di un governo iracheno approvato dall’Iran.

 

Articolo in inglese: Trump Threatens Harsh Sanctions on Iraq If US Troops Forced Out

 

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