Siria, la proxy war continua e la pace resta un miraggio

Di Venus Upadhayaya

La guerra siriana è un’amalgama di diverse proxy war (guerre per procura) che coinvolgono vari attori globali, i rispettivi alleati e i mandatari regionali. Secondo gli esperti in materia, gli ultimi sviluppi del conflitto avranno ripercussioni globali, poiché contribuiranno a ridefinire l’attuale ordine politico e le rispettive alleanze.

«L’esito della guerra siriana determinerà il nuovo ordine mondiale e le alleanze», ha dichiarato a Epoch Times Waiel Awwad, un importante giornalista siriano con sede in Asia meridionale. «Si tratta di un frangente cruciale della storia contemporanea, in cui verrà ridefinito il Nuovo Ordine Mondiale».

Diversi esperti hanno dichiarato a Epoch Times che la nuova forma che assumerà questo ordine mondiale, e le posizioni strategiche dei vari attori globali e regionali – in particolare Stati Uniti, Russia, Turchia e Iran – determineranno gli esiti di buona parte delle questioni politiche internazionali, inclusi gli utopici scenari di pace».

Kanishkan Sathasivam, direttore del Centro William H. Bates per gli Affari Pubblici e Internazionali presso la Salem University, ha affermato: «È certo che come minimo si sta ridefinendo l’ordine mondiale, se non addirittura stravolgendolo. Ma gli obiettivi dei vari attori coinvolti in Siria variano. Per alcuni [il conflitto, ndt,] fa parte degli sforzi per elevare la propria posizione nell’attuale ordine mondiale, come nel caso della Russia, dell’Iran e più recentemente anche della Turchia. Per altri, ad esempio gli Stati del golfo, si tratta più che altro di tutelare i propri interessi a livello locale».

I ricercatori dell’Istituto di Ricerca sulla Politica Estera (Fpri) Alexandra Stark and Ariel I. Ahram hanno scritto il 22 ottobre che in questo pantano – che il presidente americano Donald Trump ha definito un insieme di ‘guerre senza fine’ – è importante che gli Stati Uniti comprendano i possibili «scenari di fine partita», per sfuggire alla confusione delle proxy war e costruire un «piano più ampio per la sicurezza della regione».

L’aumento delle proxy war dopo la Primavera araba

Le proxy war (guerre su procura) non sono una novità in Medio Oriente. Ma, in seguito alle rivoluzioni ‘pro-democrazia’ verificatesi durante la cosiddetta Primavera araba del 2011, i conflitti sono aumentati in maniera preoccupante in Siria e in altre nazioni arabe. Il che ha contribuito a plasmare le attuali alleanze e gli scenari utopici di pace nella regione.

I ricercatori Stark e Ahram hanno spiegato che «l’amministrazione Obama, scoraggiata dalle disavventure americane in Iraq, ha cercato di evitare il dispiegamento di truppe su larga scala, e ha invece adottato una politica che il ricercatore Andreas Kreig ha definito di ‘trasferimento del rischio’. L’America ha perseguito i suoi obiettivi strategici servendosi di partner locali».

«Con il crollo dei governi e la guerra civile che imperversava in Yemen, Libia e Siria, gli Stati Uniti hanno scelto di collaborare con milizie e altri attori non statali che dovevano servire da fanteria nella guerra contro il terrorismo, e in alcuni casi contro i regimi ostili».

Le relazioni tra gli attori globali e i rispettivi alleati non statali, nell’ambito delle proxy war, sono state portate avanti da piccoli contingenti di ‘consiglieri e addestratori’; il modello poi è stato presto adottato da altri attori statali nella regione, secondo quanto scritto dai due esperti dell’Fpri.
«Arabia Saudita, Qatar, Turchia ed Emirati Arabi Uniti – che pur essendo alleati degli Stati Uniti hanno obbiettivi completamente diversi – hanno cercato a loro volta di reclutare delle milizie proxy. L’Iran al contempo ha lavorato senza sosta per accrescere la propria influenza, servendosi dei suoi legami di lunga data con gli Hezbollah libanesi, gli Houthis yemeniti e le milizie sciite irachene. […] Alcuni di questi rapporti tra mandanti e mandatari derivano da una profonda fratellanza ideologica o etnica, altri da temporanei allineamenti di interesse. Il risultato è stato un’ amalgama sempre diversa di alleanze e antagonismi, che si estendono in tutta la regione e perfino a livello globale».

Sathasivam ha dichiarato che queste cosiddette proxy war sono emerse in Siria perché il regime arabo-socialista Ba’th del leader siriano Bashar Assad non era abbastanza forte.
«Assad non era abbastanza forte da impedire il coinvolgimento di attori esterni, in particolare perché lui stesso aveva bisogno dell’aiuto dei suoi alleati esterni, vale a dire Iran, Russia e persino degli Hezbollah del Libano. Così sono presto entrati in scena anche altri attori esterni che erano interessati alla Siria, come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Turchia e naturalmente anche gli Stati Uniti».

Armenak Tokmajyan, esperto di Siria e collaboratore del Carnegie Middle East Center, ha fatto considerazioni similiari, ma ha aggiunto che la divisione dell’opposizione armata al regime di Assad ha contribuito allo sviluppo delle cosiddette proxy war (guerre per procura). Il ricercatore ha affermato che «l’indebolimento dello Stato centrale in Siria e la divisione tra le opposizioni armate hanno creato le condizioni ideali perché le potenze straniere potessero intervenire in sostegno di quegli attori che ritenevano potessero favorire i propri interessi nazionali».

Il coinvolgimento dell’Isis e del Nusra Front (un affiliato di Al-Qaeda) ha ulteriormente complicato il contesto delle proxy war all’interno della Siria.

Un manifestante tiene un cartello durante una manifestazione difronte agli uffici delle Nazioni Unite a Beirut, in segno di solidarietà verso i civili della città siriana settentrionale di Aleppo e contro il regime del presidente siriano Bashar Assad, il 1° maggio 2016. (Anwar Amro/AFP/Getty Images)

Il cambiamento degli equilibri tra Assad e la Russia

La Siria centrale, governata dal regime di Assad, ha ricevuto per lungo tempo sostegno politico, militare e finanziario dalla Russia.

Durante la prima visita ufficiale di Assad a Mosca nel 2005, la Russia ha acconsentito a cancellare il 73 percento del debito di 13 miliardi di dollari accumulato dalla Siria durante l’era sovietica.

«La Russia ha ereditato un forte legame con la Siria direttamente dall’ex Unione Sovietica, si tratta quindi della continuazione di una vecchia relazione», ha dichiarato Awwad, che nella sua carriera è stato direttore del Middle East Broadcasting Centre (Mbc) di Londra, della Mbc-Fm Radio in Kuwait e Oman, della Damasco Radio in Siria per divenire infine direttore del dipartimento dell’Asia meridionale di Alarabiya Tv Channel presso Dubai Media City.

Awwad ha affermato che la Russia considera un vantaggio strategico essere presente nel ricco territorio siriano, e che si aspetta che la Siria la ripaghi del suo aiuto in futuro.
«La Russia è perfettamente consapevole che la lotta al terrorismo in Siria la proteggerà dai mercenari degli Stati dell’ex Urss addestrati dalla Nato, perciò continuerà a sostenere la Siria, soprattutto nei momenti in cui gli Stati Uniti e i suoi alleati impongono sanzioni».

Così, dopo che a inizio ottobre gli Stati Uniti hanno ritirato i meno di 50 soldati dispiegati in territorio siriano, poco prima dell’incursione della Turchia nella Siria Nord-orientale, non è stato Assad ma bensì il presidente russo Vladimir Putin a firmare un accordo a Sochi, il 22 ottobre, con il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan per creare una zona libera dal terrorismo nella Siria settentrionale.

A tal proposito Sathasivam ha commentato: «Quando Putin ha negoziato il recente accordo con la Turchia, la Russia/Putin ha chiaramente dimostrato chi comanda in Siria al giorno d’oggi. Il governo di Assad non era nemmeno rappresentato ai colloqui e non sembra che abbia avuto voce in capitolo».

«In passato la Russia è stata irremovibile nel respingere le richieste occidentali circa la destituzione di Assad. Ma forse in futuro, siccome la Russia ha disperatamente bisogno che l’occidente contribuisca economicamente alla ricostruzione della Siria, Putin potrebbe essere disposto a scaricare Assad in favore di un nuovo leader, purché anche questo sia una marionetta della Russia».

Awwad, che ha criticato l’invasione della Siria Nord-orientale da parte della Turchia – che secondo lui è stata fatta con «vari pretesti» – considera l’accordo tra Erdoğan e Putin come un riconoscimento da parte della Turchia dell’integrità e della sovranità siriana, dovuto al fatto ché il leader turco non vuole «far arrabbiare Russia e Iran».

Le sanzioni di Trump hanno messo in crisi il rapporto tra Assad e l’Iran

Prima delle rivolte del 2011, la Siria esportava petrolio e raffinava internamente i suoi derivati. Ma alla fine del 2012, quando il Paese è precipitato nella guerra civile, il regime di Assad ha perso il controllo di gran parte dei suoi giacimenti petroliferi, in favore delle forze di opposizione siriane.

A quel punto «L’Iran è intervenuto a colmare il vuoto», ha scritto Karam Shaar in un documento programmatico pubblicato dal Middle East Institute. «Dal 2013 alla fine del 2018 ha inviato in media 2 milioni di barili al mese al regime siriano via mare, con pagamenti dilazionati, sopperendo a gran parte del fabbisogno di greggio del Paese, e aiutando così il regime a restare a galla».

Ha poi aggiunto che senza il sostegno dell’Iran, Assad avrebbe dovuto affrontare il completo collasso della propria economia, e che pertanto l’Iran ha svolto un ruolo molto importante in Siria per tutto ciò che riguarda la «produzione dell’energia elettrica, il riscaldamento e i trasporti».

Questa situazione si è protratta fino a quando l’Iran ha smesso di vendere petrolio a credito ad Assad, ovvero dopo che l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni sulle esportazioni di petrolio iraniano, nel novembre 2018.

Shaar ha dichiarato che il commercio a credito dell’Iran era in realtà una copertura che consentiva all’Iran di fornire ad «Assad le risorse per finanziare ed equipaggiare i combattenti della milizia, ricostruire le istituzioni pubbliche danneggiate, fornire aiuti, petrolio greggio, e finanziare la banca centrale in modo da impedire il collasso della libbra siriana».

Secondo Shaar l’attuale blocco petrolifero degli Stati Uniti sta «mettendo grandi pressioni sui Paesi terzi per impedire che il petrolio raggiunga Assad, con il sostegno di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Israele; questo blocco è stato progettato per costringere Assad, Iran e Russia a fare concessioni politiche».

Ritirando le truppe gli Stati Uniti si sono liberati di tre fardelli

Quando gli Stati Uniti hanno ritirato le ultime truppe dalla Siria settentrionale il 7 ottobre, i critici hanno attaccato Trump per aver abbandonato i curdi che avevano combattuto a fianco delle truppe statunitensi contro l’Isis. Due giorni dopo, quando la Turchia ha invaso la Siria settentrionale, i critici hanno affermato che gli Stati Uniti avevano lasciato che i curdi venissero massacrati dalle forze turche e dalle milizie loro alleate.

Tokmajyan ha dichiarato: «Diversi fattori hanno indebolito il ruolo degli Stati Uniti in Siria, tra cui l’intervento militare della Russia nel 2015, la stretta cooperazione di Mosca con Turchia e Iran, e la loro capacità di influenzare gli sviluppi in Siria».

«Un’altra ragione è stata la ridotta credibilità di Washington nella regione. Nel corso del conflitto, la politica estera degli Stati Uniti verso la Siria è cambiata più volte. L’ultimo episodio è stata la decisione del presidente Trump di abbandonare i loro alleati curdi di fronte all’incursione turca nel nordest della Siria».

Tuttavia, Erbil Gunasti, un ex addetto stampa del presidente Erdogan che in precedenza ha lavorato per altri otto primi ministri turchi, ha dichiarato a Epoch Times che «gli Stati Uniti [sono emersi] come i vincitori dell’intera vicenda».

«Quando il presidente Trump ha deciso di ritirare le truppe statunitensi dalla Siria, ha riposizionato gli Stati Uniti in modo molto più dominante nella regione», ha detto Gunasti, aggiungendo che con questa mossa Trump potrebbe effettivamente essere riuscito a liberare gli Stati Uniti da tre fardelli.

In primo luogo gli Stati Uniti non devono più mantenere alcune migliaia di soldati in una zona altamente pericolosa. «Ricordate quando negli anni ’70 gli Stati Uniti dispiegarono alcune centinaia di truppe in Libano… con un’autobomba ne perirono 241 senza motivo. Come risultato, gli Stati Uniti si sono ritirati dal Libano per sempre. In questa occasione come ha detto il presidente Trump: ‘Tutti stanno tornando a casa. Nessuna perdita di vite umane e nessun ferito”».

Il secondo vantaggio è che la ritirata consentirà agli Stati Uniti di risparmiare miliardi di dollari che venivano spesi semplicemente per «fare il lavoro della polizia». In terzo luogo, Gunasti ha dichiarato che gli Stati Uniti non hanno alcuna possibilità contro la Russia o l’Iran nella ‘terra di nessuno’ e che di fatto «il regime di Bashar Al Assad – colpevole di pulizia etnica, tra le molte altre cose – ha continuato incessantemente a operare liberamente, impunemente e senza ripercussioni da parte della comunità internazionale.

Gunasti ha spiegato che ritirando le truppe americane dal confine turco, Trump ha guadagnato una rinnovata alleanza con la Turchia, il che potrebbe ridefinire significativamente la politica internazionale.

«Chi non vorrebbe essere in buoni rapporti con la più grande potenza economica e militare del Medio Oriente, che ha quasi un miliardo di seguaci tra le Ummah (comunità) musulmane» ha dichiarato. Aggiungendo che allineandosi con la Turchia, gli Stati Uniti hanno anche rinforzato la propria posizione nei confronti dell’Iran.

«Con il suo ingresso in Siria, la Turchia diventa innanzitutto una minaccia per l’Iran. La Turchia è peraltro presente anche nel Nord dell’Iraq, con le operazioni militari Artiglio 1, 2 e 3, e sta già bloccando il libero passaggio dall’Iran alla Siria attraverso l’Iraq».
Ha inoltre spiegato che la presenza della Turchia in Siria, e lungo il confine tra Iraq e Siria, significa limitare la circolazione delle milizie che finora hanno favorito l’Iran.

Queste milizie non hanno mai incontrato molti impedimenti da parte degli «appena 2 mila soldati americani, che sono rimasti all’interno delle basi che avevano costruito sul posto. Per ragioni di sicurezza queste truppe non pattugliavano le regioni di confine o i territori spopolati, che richiedono decine di migliaia di soldati, oltre agli abitanti locali che facciano da vedetta».

Gunasti ha aggiunto che allineandosi con la Turchia, gli Stati Uniti hanno anche riguadagnato un po’ di terreno sulla Russia e si sono posti in una posizione che potrebbe rivelarsi vantaggiosa in futuro.

«Quando le tensioni tra Stati Uniti e Turchia erano alte, la Turchia si è avvicinata di più alla Russia. E la Russia ne ha tratto enorme beneficio. Ora la Turchia divide le proprie attenzioni tra Russia e Stati Uniti, il che significa che la Turchia sarà più vicina agli Stati Uniti, e corrispondentemente un poco più lontana dalla Russia. Per fare un esempio, nel novembre 2019, il presidente Erdogan è stato invitato alla Casa Bianca».

Gunasti ha dichiarato che le azioni di Trump in Siria hanno spinto gli Stati Uniti fuori da una posizione «molto vulnerabile verso una posizione di forza, da dove potrà intervenire nuovamente con una forza rinnovata e fresca, come se fosse un nuovo attore».

L’Utopia della pace

Ci sono stati molti tentativi volti a risolvere la guerra civile siriana sin dal suo inizio nel 2011, ma un possibile ritorno alla normalità e alla pace rimane un’utopia, in un conflitto che finora ha causato la morte di 560 mila vite in 7 anni, tra cui 104 mila persone torturate sino alla morte nelle prigioni del regime di Assad, secondo Syrian Human Rights Watch (Shrw).

Tokmajyan ha dichiarato a Epoch Times che «il processo di pace in Siria è vecchio quasi quanto il conflitto stesso» e che gli Stati Uniti sono stati tagliati fuori molto tempo fa.

«Gli Stati Uniti avrebbero potuto svolgere un ruolo costruttivo nelle prime fasi del conflitto siriano, quando erano attivamente coinvolti. Ormai sono stati emarginati. Sono la Russia, l’Iran e la Turchia a dominare il processo di pace», ha detto.

Sathasivam ha dichiarato che «purtroppo» nutre poche speranze nel raggiungimento di una pace duratura in Siria.

«Ci sarà la pace, ma sarà una pace fredda, cupa e amara, basata sul dominio militare della Russia e della Turchia sui vari gruppi ribelli.
Quando si parla di ‘processo di pace’ per me significa un processo di riconciliazione e compromessi, in cui tutte le parti ottengono un po’ di ciò che vogliono. Ma non vedo nulla del genere in Siria».

Dopo l’inizio della primavera araba, nel 2012 Kofi Annan è stato nominato inviato di pace in Siria congiuntamente dalle Nazioni Unite e della Lega Araba.

Annan ha proposto un piano di pace non vincolante al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che esortava il regime di Assad a porre fine alla violenza contro i gruppi di opposizione, invitando entrambe i gruppi ad accettare una tregua in mezzo all’esacerbazione della violenza. Ma la violenza è continuata nonostante questo piano sia stato approvato da tutti i 15 membri del Consiglio, secondo il Comitato Centrale Mennonita (Mcc), uno dei più grandi enti non profit che forniscono aiuti umanitari in Siria.

Il conflitto all’interno della Siria è stato definito guerra civile dal Comitato Internazionale della Croce Rossa nel luglio 2012. Pochi mesi dopo, sono emerse le prime notizie secondo cui il regime di Assad aveva usato armi chimiche durante attacchi interni alla Siria.

Poco dopo, a dicembre, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Turchia e gli Stati del Golfo hanno condannato il regime di Assad e riconosciuto il partito di opposizione, la Coalizione Nazionale, come legittimo rappresentante del popolo siriano.

Poi, all’inizio del 2014, le Nazioni Unite hanno cercato di ospitare a Ginevra colloqui di pace, senza però ottenere alcun risultato. Nel corso dei colloqui di nove giorni, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani citato da Reuters, sono morte mille e 800 persone in Siria.

Nel giugno 2014, l’Isis ha annunciato l’istituzione del califfato mondiale, dopo aver rivendicato il proprio dominio sulla regione compresa tra Aleppo, in Siria, e Diyala, in Iraq. È stato allora che sono iniziati gli attacchi aerei degli Stati Uniti e dei suoi alleati arabi contro l’Isis.

In quello stesso periodo, anche la Russia ha iniziato i propri attacchi aerei in sostegno della lotta del regime di Assad contro l’Isis, e nel 2016, le forze di Assad, sostenute dai russi, hanno ripreso il controllo di Aleppo.

In seguito a questo, Russia, Iran e Turchia si sono incontrati in Kazakistan e hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui di pace, chiamato Processo di pace di Astana.

«Il processo di pace di Astana è iniziato nel gennaio 2017», ha dichiarato Wilder Alejandro Sanchez, un analista con sede a Washington esperto di questioni dell’Asia centrale, e in particolare del processo di pace di Astana. «Da allora, il governo kazako ha ospitato 13 cicli di negoziati, il più recente dei quali si è svolto tra il primo e il secondo agosto [2019].
Il 13esimo ciclo di colloqui è stato degno di nota perché, per la prima volta, Iraq e Libano erano presenti in qualità di osservatori. Il processo di pace di Astana si è svolto parallelamente ai colloqui di pace delle Nazioni Unite a Ginevra».

Ma Sanchez ha affermato di non essere convinto che il processo di pace di Astana riuscirà a convincere gli attori globali ad anteporre l’interesse e il benessere del popolo siriano ai propri interessi nazionali.

«In ogni caso il processo di pace di Astana è stato anche un modo per la Russia di mantenere una sorta di fronte unito con l’Iran, la Turchia e altri attori regionali».

Mentre le varie guerre per procura (proxy war) continuano, una Commissione costituzionale siriana composta da 150 membri si sta riunendo presso le Nazioni Unite per lavorare alla definizione della riforma della Costituzione siriana. Il comitato è composto da 50 rappresentanti del regime di Assad, 50 membri dei gruppi di opposizione e 50 rappresentanti della società civile.

La prima sessione plenaria di lavoro della Commissione costituzionale siriana ha avuto inizio il 30 ottobre a Ginevra.

Ma ancora una volta, Sanchez ha affermato di non nutrire molte speranze nel fatto che questo comitato possa portare a una soluzione del conflitto, in particolare dopo il Memorandum di Intesa siglato tra Turchia e Russia il 22 ottobre.
«Non credo che molte persone siano ottimiste riguardo a questo Comitato e a quello che può fare per i siriani. Poiché il regime di Assad è tornato saldamente a controllare il Paese, non penso che Damasco sia interessata ad accettare le richieste dei gruppi di opposizione, in particolare perché ha il sostegno della Russia».

D’altra parte Awwad è più fiducioso e ha dichiarato che i siriani «sopravvivranno anche questa volta e ricostruiranno la Siria in tutti i settori. […] Il processo di pace è in corso e i siriani stanno scegliendo il proprio futuro e il processo di riconciliazione. Tutti i siriani concordano sul fatto che le truppe straniere devono abbandonare la Siria ad ogni costo, e la Siria è determinata a conseguire questo risultato».

 

Articolo in inglese: Proxy War Deepens in Syria After US Troop Withdrawal, Peace Remains Elusive

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