Resistere alla Cina comunista, un pacifico appello che ha fatto la storia il 25 aprile 1999

Di Eva Fu

I giorni passati a Pechino sono sempre stati un po’ polverosi e grigi nella memoria di Zhang Yijie. E quel 25 aprile non è stato diverso.

Zhang, che era a capo di una divisione del Ministero del Commercio Estero e della Cooperazione Economica, era appena tornata a casa da un viaggio d’affari di un mese in Germania. Era pomeriggio e non c’era tempo da perdere. Posando i bagagli, invece di pensare a pranzare, è andata direttamente a prendere il telefono: era ansiosa di parlare con il gruppo di amici con cui studiava gli insegnamenti del Falun Gong e praticava gli esercizi meditativi ogni giorno, ma nessuno le rispondeva.

Finché il direttore Shi Guangsheng non ha chiamato suo marito, che lavorava anche lui al Ministero. Subito lui è corso in un’altra stanza, chiudendosi la porta alle spalle.

Tutto questo ha fatto sentire la Zhang a disagio: in punta di piedi fuori dalla porta, ha udito che un gruppo di praticanti del Falun Gong era andato a Zhongnanhai, il complesso della massima leadership del Partito Comunista Cinese (Pcc). Il direttore ha ordinato a suo marito di recarsi alla manifestazione e di dire a tutto il personale del Ministero del Commercio estero presente all’evento, di andarsene immediatamente.

Quel 25 aprile 1999, circa 10.000 praticanti da tutto il Paese si sono riuniti per lo più lungo i muri rossi che racchiudono il complesso governativo di Via Fuyou, per appellarsi al loro diritto di praticare liberamente il Falun Gong, noto anche come Falun Dafa.

Introdotta per la prima volta al pubblico nel 1992, la pratica spirituale si era diffusa con il passaparola in tutto il Paese, portando, nel 1999, a un numero di praticanti tra i 70 e i 100 milioni. Ogni mattina, nei parchi di tutta la Cina, era possibile vedere i praticanti eseguire i lenti esercizi meditativi della pratica. Eppure, negli ultimi anni, i pacifici meditatori avevano iniziato a sentire sempre più la pressione da parte delle autorità: i libri della pratica erano stati banditi dalla distribuzione, i programmi di proprietà statale diffondevano propaganda diffamatoria sulla disciplina e l’ufficio di pubblica sicurezza aveva ordinato un’indagine approfondita sulla pratica.

Per giustificare una persecuzione che avrebbe lanciato a luglio dello stesso anno e che a tutt’oggi in corso, il regime cinese descrisse l’evento pacifico del 25 aprile come una protesta provocatoria.

Ma Zhang, che subito dopo la telefonata saltò sulla sua bicicletta e si precipitò verso Zhongnanhai, non vide nulla di minaccioso nel comportamento dei praticanti. Con orgoglio, lei e molti altri che erano lì ricordano le lunghe e diritte file di praticanti allineati ordinatamente lungo la strada. Molti leggevano libri o si sedevano per terra a meditare. Alcuni, con in mano sacchetti di plastica, hanno fatto il giro per raccogliere la spazzatura dei manifestanti e i mozziconi di sigaretta gettati a terra dai poliziotti.

Praticanti del Falun Gong si sono riuniti intorno a Zhongnanhai per fare appello silenziosamente e pacificamente per un trattamento equo il 25 aprile 1999. (Gentile concessione di Minghui.org)

In un’intervista a Epoch Times Zhang ora rifugiata negli Usa, racconta: «Dove la vedi una manifestazione come questa? I percorsi pedonali e la strada principale erano tutti sgombri. Non ci furono affatto urla, e nemmeno un singolo pezzo di carta per terra».

Shi Caidong, che all’epoca stava lavorando a un master presso l’Accademia delle scienze cinese statale, era uno dei tre delegati che quella mattina si erano incontrati con il premier Zhu Rongji per spiegare le loro richieste.

Dopo averli ascoltati, Zhu aveva ribadito il suo sostegno alla loro libertà di credo e aveva fatto in modo che quattro funzionari si incontrassero con loro, tra cui il suo vice segretario capo e il direttore dell’ufficio statale per le petizioni. I tre delegati hanno espresso tre richieste principali: rilasciare i diversi praticanti della vicina città di Tianjin che erano stati picchiati e imprigionati due giorni prima, consentire la pubblicazione dei libri del Falun Gong e ripristinare un ambiente in cui poter fare gli esercizi in pubblico senza paura.

I funzionari hanno accettato alcune copie del libro principale degli insegnamenti della pratica, lo Zhuan Falun, e hanno promesso di riferire la situazione ai vertici del Pcc. Quando la sera si è sparsa la voce che i praticanti di Tianjin erano stati liberati, le masse si sono gradualmente disperse.

«Se il cosiddetto assedio fosse stato vero, Zhu Rongji sarebbe apparso così composto una volta uscito?» ha chiesto Shi, confutando la caratterizzazione dell’evento da parte dei media statali.

Secondo Kong Weijing, un altro delegato, le tensioni sono cresciute nel pomeriggio quando è apparsa la polizia antisommossa che trasportava fucili, ma nessuno dei manifestanti si è mosso.

La Zhang è rimasta fino al tramonto e se n’è andata in silenzio, dopo che la maggior parte dei firmatari si erano ritirati.

In seguito, alcuni praticanti con conoscenze agli alti livelli, le hanno detto che il regime originariamente si era preparato a usare la violenza sui manifestanti quella sera. Zhang attribuisce il merito del fatto che sia stato evitato un massacro simile a quello degli studenti di Piazza Tiananmen, alla straordinaria tranquillità della folla: «Non sono riusciti a trovare alcuna scusa per una repressione».

Attenersi a ciò che è giusto

Il secondo giorno dopo l’appello, a varie aziende in tutta la nazione sono stati inviati ordini ufficiali che avvisavano i cittadini comuni di quanto era accaduto. Era la prima volta che Luan Shuang, una direttrice delle risorse umane in un’impresa di trasporti nella città di Shenzhen, aveva sentito parlare del Falun Gong.

Anni prima, Luan allora ancora al college, era rimasta sconvolta quando aveva appreso di come il regime cinese avesse ucciso giovani disarmati in piazza Tienanmen. Con la brutale uccisione ancora fresca nella sua memoria, è rimasta colpita dal coraggio dei praticanti del Falun Gong nel farsi avanti.

Come con altri movimenti politici, Luan come tutti gli altri, ha dovuto presentare promesse scritte ai propri superiori, prendendo le distanze dall’incidente e dichiarando sbagliato organizzare una protesta o una parata a Pechino: «Non andrebbe fatto. Non sarei andata anche se mi avessero dato un bonus per questo: non sarebbe come mettere fine alla tua carriera?», ha ricordato di aver pensato in quel momento.

La praticante del Falun Gong Luan Shuang a New York il 19 aprile 2021 (Chung I Ho / Epoch Times)

Determinata a scoprire perché la gente corresse un tale rischio, ha chiesto un libro del Falun Gong a un collega che era un praticante. Dopo averlo letto una volta, ha deciso di provare gli esercizi.

Dopodiché ha visto i valori enfatizzati nel libro come un raggio di luce nella sua vita «confusa»: «Ora so che posso usare lo standard di ‘Verità, Compassione e Tolleranza’ per valutare tutto», ha affermato, riferendosi ai principi fondamentali della pratica. «Quindi, finché qualcosa è giusto, lo sosterrò fino alla fine».

Ritorsione

Nonostante la posizione conciliante tenuta dai funzionari il 25 aprile, il regime già considerava la popolarità della pratica una minaccia e tre mesi dopo ha iniziato una campagna persecutoria in tutto lo Stato, con l’obiettivo di eliminare il Falun Gong. Secondo le stime del Falun Dafa Information Center, negli anni successivi diversi milioni di praticanti sono stati imprigionati, molestati e derubati per aver persistito nella loro fede, e un numero imprecisato sono stati uccisi con vari metodi di tortura, o finiti vittime del prelievo forzato di organi.

Dopo aver incontrato il premier durante l’appello, Shi è stato preso di mira dal comitato del Partito sul suo posto di lavoro, che ha iniziato a monitorare le sue attività. Le forze dell’ordine hanno setacciato i file sul suo passato la notte stessa, anche se non hanno trovato nulla di illegale.

Shi Caidong, praticante del Falun Gong a Flushing, New York, il 18 aprile 2021 (Chung I Ho / Epoch Times)

Zhang, la funzionaria del commercio estero, ha pagato un prezzo più caro. In sette anni, ha subito sette arresti e ha trascorso 28 mesi in un campo di lavoro, dove è stata picchiata, privata del cibo e del sonno, alimentata forzatamente: il periodo più lungo è stato di 42 giorni senza sosta. Quando l’estenuante sessione di tortura è terminata, i suoi capelli erano diventati bianchi e i suoi denti si erano allentati: «Il fatto che sia sopravvissuta è la prova della meraviglia della Falun Dafa», ha esclamato. Tuttavia questo era in netto contrasto con la sua vita prima della persecuzione, quando ricopriva un redditizio incarico governativo e aveva una famiglia perfetta, con una figlia e un figlio entrambi in procinto di andare al college: «Molte persone potrebbero lavorare tutta la loro vita senza raggiungere il punto in cui mi trovavo. A quel tempo, se avessi accettato di smettere di praticare, non avrei perso nulla».

Luan che era ancora agli inizi della pratica, dovette affrontare allo stesso modo una scelta straziante. A 34 anni viveva la storia del successo dei colletti bianchi, godendosi una vita che molti della sua età non si sognerebbero. Si era recentemente trasferita in una villa sul mare di 1310 metri quadri, pronta a godersi i frutti del suo duro lavoro. Avrebbe potuto anche fare gli esercizi del Falun Gong in segreto, a casa sua, senza che nessuno lo sapesse. Oppure poteva decidere di parlare e rischiare tutto.

Luan Shang, 20 anni, alla Jilin University di Changchun, Jilin, Cina. (Gentile concessione di Luan Shuang)

Luan ha scelto la seconda opzione. Nel 2001, la direttrice delle risorse umane si è recata in piazza Tienanmen per protestare contro la persecuzione, proprio il luogo in cui due anni prima aveva ammesso che «non sarebbe andata nemmeno se le avessero dato un bonus» per protestare.

Di conseguenza, una volta arrestata, Luan è stata gettata in vari centri di detenzione e ha subito tre mesi di torture. Dormiva su coperte che sospettava non fossero mai state lavate perché emanavano un forte odore. Anche se non è stata picchiata, ha lavorato per diverse ore senza interruzioni, realizzando luci natalizie, al punto che a fine turno non riusciva a raddrizzare le dita.

Alla fine è riuscita a uscirne per lo più intatta, ma altri non sono stati così fortunati. Un detenuto le aveva raccontato che un altro praticante del Falun Gong, un insegnante di lingue straniere della stessa città di Luan, era finito per diventare pazzo.

Nondimeno è stata espulsa dal Partito Comunista a cui prima era iscritta, cosa che ha portato al taglio dei suoi privilegi economici e politici che derivavano dalla sua iscrizione. La sua compagnia ha organizzato una «riunione di denuncia» per annunciare davanti a diversi suoi colleghi la decisione. Durante l’incontro, Luan è stata costretta a sopportare un flusso infinito di critiche sulla sua fede, da parte dei vertici dell’azienda, ma lei ha mantenuto un sorriso luminoso: «Questo partito malvagio non può tollerare le brave persone. Anche se non mi espellono, dovrei farlo comunque», ricordò di essersi detta in quel momento. Anche se poi la compagnia non l’ha licenziata, le sono stati assegnati solo i lavori più umili. Alla fine ha presentato le sue dimissioni.

Nessun rimpianto

Ora al sicuro negli Stati Uniti, nei loro racconti delle proteste in Cina, i praticanti mostrano un’aria di serenità nonostante le loro passate sofferenze: sono convinti di aver fatto la scelta giusta.

«La fede nella verità, quando è elevata da un livello emotivo a uno razionale, trascende ogni sofferenza», ha commentato Zhang, che si è rifugiata in Thailandia nel 2006.

Zhang Yijie (C) è raffigurata con grandi occhiali ombreggiati, quando era segretaria di Chen Muhua, che in seguito divenne vice presidente della Rpc. (NTD Television)

Zhang vede la sua vita come «leggendaria». «Quali che siano le prove e le circostanze, le ho viste tutte e passate tutte».

Il 18 aprile, gli intervistati in questo articolo si sono riuniti assieme a circa 1.000 altri praticanti a New York per una parata e un raduno per commemorare la storica pacifica dimostrazione di resistenza e per «dire no» alla continua repressione della loro fede da parte del Pcc: «Se tutti fossero come quelli all’appello del 25 aprile, la società cinese starebbe meglio», ha spiegato Luan, sorridendo come 20 anni fa. «Grazie a quel 25 aprile […] sono finalmente diventata una di quelle brave persone che difendono la giustizia, cosa che desideravo essere sin da quando ero giovane».

 

Articolo in inglese: Standing Up to Communist China: A Peaceful Appeal That Made History



 
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