Quando le tasse diminuiscono, gli introiti fiscali aumentano

Un paradosso felice, quello che vede i contribuenti pagare meno imposte e i governi incassare di più

La Flat Tax ai tempi di Robin Hood? È evidente che non sarebbe stata vista di buon occhio. Ma il leggendario ‘eroe’ di Sherwood si sbagliava: prendere dai ricchi non è la soluzione per arricchire i poveri, né tantomeno per far crescere un Paese. Numerosi studi hanno concluso infatti, e in diversi casi si è potuto già constatare all’atto pratico, che gli introiti per lo Stato spesso aumentano quando vengono abbassate le tasse, e non il contrario.

Potrebbe sembrare un paradosso ma i motivi per cui lo Stato ‘si arricchisce’ chiedendo meno soldi ai contribuenti sono in realtà semplici: imposte più alte implicano più evasione fiscale e una minore presenza di imprese di successo, che, afflitte da un carico fiscale elevato, faticano a sopravvivere; la conseguenza delle imposte elevate è quindi che in queste condizioni le imprese versano meno (perché fatturano meno), e quindi il gettito fiscale dello Stato sarà portato a diminuire.
Al contrario, quando la tassazione si abbassa, l’evasione inevitabilmente diminuisce, le imprese non sono soffocate dalle imposte e potranno fatturare di più, facendo aumentare il gettito fiscale dello Stato.

In Italia si è tornato a parlare di Flat Tax, o tassa piatta, da quando il ministro degli Interni Matteo Salvini, forte del risultato della Lega alle europee, ha preso virtualmente in mano il futuro del Paese, annunciando un piano fiscale ‘shock’ da 30 miliardi di euro entro l’anno, con riduzione delle imposte e Flat Tax.
La Flat Tax è in breve un sistema fiscale semplificato e non progressivo che prevede un’unica aliquota fissa. Questo dovrebbe portare a una maggiore ‘fedeltà fiscale’ dei contribuenti.
Tuttavia, l’articolo 53 della Costituzione e le sue interpretazioni difendono il principio di progressività, secondo cui maggiore è la base imponibile, più alta dev’essere l’aliquota.

Per questo in passato sono state mosse accuse di possibile incostituzionalità alla Flat Tax. Nella ‘tassa piatta’ proposta dalla Lega, di conseguenza, si è reso necessario rispettare comunque il principio di progressività, utilizzando il criterio di progressività per deduzione, ovvero applicando una deduzione fissa su base familiare o personale; inoltre si potrà scegliere se aderire alla Flat Tax o restare con la vecchia Irpef.

Chi è contrario ai tagli alle imposte e alla Flat Tax argomenta che queste misure andrebbero solo a beneficio dei più ricchi, e porterebbero invece minori entrate per lo Stato (aumento del deficit), costringendo quindi lo Stato a tagliare la spesa sociale, il cui aumento invece, secondo i critici della Flat Tax, è necessario per potenziare la crescita, assieme all’aumento delle imposte.

Ma come sottolinea l’economista Daniel Lacalle in un articolo pubblicato sull’Epoch Times americano, i tagli alle imposte, per poter funzionare in termini di crescita e prosperità, e per poter portare posti di lavoro e stipendi più alti, devono essere accompagnati proprio da una riduzione della spesa governativa che deve essere in linea con la crescita degli introiti; altrimenti, aumentando la spesa governativa, il deficit non diminuirà nonostante siano state tagliate le imposte.

Quindi il problema per Lacalle, è che l’aumento del deficit lamentato dai critici della Flat Tax, non ha nulla a che fare con i tagli alle imposte, ma con l’aumento della spesa governativa unita al taglio delle imposte.

Secondo le analisi di Lacalle infatti, i disavanzi e gli alti rapporti deficit/Pil nelle economie del G-20 negli ultimi 15 anni sono dovuti nell’80 per cento dei casi a spese pubbliche molto alte e ai piani di «stimolo» dei governi, nonché agli aumenti delle imposte.
Inoltre l’economista, in risposta a chi sostiene che i ricchi siano troppo ricchi, ribatte che «il settore pubblico non può esistere senza un settore privato fiorente. Non è ammissibile che le imposte rallentino la crescita e la creazione di posti di lavoro, solo perché i governi decidono di voler spendere di più».

Il primo esempio dell’effetto positivo dei tagli delle imposte sulla crescita sono gli Stati Uniti; subito dopo la riforma del fisco del 2017 voluta dal presidente Donald Trump, nel primo trimestre del 2018 il gettito fiscale del Paese era salito a 350 miliardi e 200 milioni, rappresentando un aumento del 5,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2017.

Ad ogni modo, non solo negli Stati Uniti ma in più di 200 casi in 21 Paesi è stato dimostrato che i tagli alle imposte uniti a una riduzione della spesa sono molto più efficaci dell’aumento della spesa governativa per portare crescita e prosperità.

La Russia ad esempio, scrive il professor Juan Manuel Lopez-Zafra del Cunef di Madrid, ha introdotto una flat tax del 13 per cento nel 2001: il gettito fiscale è salito del 25 per cento nel 2002, di un ulteriore 24 per cento nel 2003 e poi di un altro 15 per cento nel 2004. In tre anni, il gettito è aumentato dell’80 per cento.

In Europa invece, nel 2012, l’Ungheria ha implementato una flat tax del 16 per cento. Il gettito è salito del 7,6 per cento nonostante il Pil fosse sceso dell’1,6 per cento. Nella sua relazione del 2016, l’Oecd ha mostrato come il motivo principale della ripresa ungherese fosse stato il suo sistema tributario.
Mentre la Spagna ha finalmente deciso di tagliare le imposte nel 2015 e nel 2016, e il gettito fiscale è cresciuto del 4,3 per cento, superiore al Pil nominale, e l’aumento è accelerato nel 2017. Tuttavia, i governi che si sono succeduti hanno usato queste entrate per aumentare la spesa, quindi il deficit è rimasto.

 
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