Pompei, paesaggio vivente tra passato e presente

Di Lorraine Ferrier

A primo sguardo il sito archeologico di Pompei sembra essere rimasto congelato al momento immediatamente successivo all’eruzione del Vesuvio. Ma in realtà il tempo non smette mai di scorrere.

Durante l’esibizione ‘Pompeii Archive: Photographs by William Wylie’ presso il Museo Fralin dell’Università del Virginia, gli intensi scatti del celebre fotografo americano William Wylie hanno mostrato l’antica città di Pompei come un paesaggio vivente piuttosto che come una reliquia storica. È uno scenario in bilico tra passato e presente, decadente e preservato, fatto di assenza e di presenza.

William Wylie presso il foro di Pompei nel 2017, con la sua macchina da presa Deardorff 8×10 pollici. Questa macchina fotografica è simile a quelle usate da fotografi del 19esimo secolo come Giorgio Sommer. Il negativo di grande formato che produce è dotato di grande chiarezza e finezza. (Grace Hale)

Le fotografie di Wylie rimarranno in esposizione fino al 9 giugno 2019, insieme a una selezione di fotografie scattate nel 19esimo secolo da Giorgio Sommer (1834-1914). Sommer aveva documentato gli scavi del sito archeologico di Pompei verso la metà del 19esimo secolo, ed è proprio il lavoro di Sommer che ha ispirato Wylie a fotografare Pompei.

Il fotografo William Wylie sul Vesuvio nel 2015. (William Wylie)

Le fotografie e i cortometraggi di Wylie sono stati esposte in lungo e in largo negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Alcune delle sue opere sono entrate a far parte delle collezioni permanenti del Metropolitan Museum of Art, della National Gallery of Art, del Smithsonian American Art Museum e molti altri ancora.

È stato premiato con il Guggenheim Fellowship e ha pubblicato cinque libri sui suoi lavori, il più recente è proprio il ‘Pompei Archive’, pubblicato nel 2018 dalla Yale University Press.

Wylie vive a Charlottesville, in Virginia, e ha gentilmente trovato il tempo per condividere il suo processo creativo con Epoch Times, e come ha visto Pompei attraverso le lenti della macchina fotografica e attraverso il tempo. Ed essenzialmente cosa rappresenta per lui Pompei.

Cosa l’ha ispirata a fotografare Pompei?

Per oltre trent’anni la mia fotografia si è focalizzata su come la storia e la cultura si manifesti nel paesaggio. Pompei suscita da lungo tempo grande interesse per via delle sue particolari circostanze storiche: essenzialmente si tratta di una città e di una cultura molto antica, che è stata ‘congelata’ e preservata, si fa per dire, da un evento catastrofico.

Questa situazione ha creato qualcosa di molto simile a una fotografia, in cui la città è ferma nel tempo. Amo questo concetto.

Ho poi scoperto le fotografie che Giorgio Sommer ha scattato nel 19esimo secolo, e ho sentito il bisogno di recarmi personalmente sul luogo per vedere quello che potevo fare in qualità di artista.

‘Entrata della casa del balcone, Pompei’ circa 1860-90, by Giorgio Sommer. Stampe all’albume. (Courtesy of William Wylie)

In che modo le fotografie di Giorgio Sommer hanno influenzato il suo approccio nel fotografare Pompei?

Tanto per cominciare, sono stato intrigato dal modo in cui Sommer sembra aver appiattito lo spazio nelle sue stampe all’albume, trasformando lo spazio tridimensionale in una rappresentazione simile a un collage su due dimensioni.
I materiali del sito – colonne, muri, porte, e cosi via – naturalmente si prestano bene a questo [gioco], ma sembra come se lui abbia intenzionalmente enfatizzato l’idea archeologica di livelli e stratificazione, nelle sue fotografie.

All’inizio stavo pensando di realizzare una sorta di remake fotografico, visitando esattamente gli stessi siti, dopo 150 anni, per scattare nuove fotografie. Ma presto mi sono accorto che c’era un lavoro molto più interessante da fare rispetto alla semplice ricerca dei cambiamenti.

Alla fine il progetto ha continuato ad avere l’opera di Sommer come punto di riferimento, ma il sito di Pompei è diventato il vero soggetto del mio lavoro.

Come mai ha deciso di scattare in bianco e nero?

Lavoro principalmente in bianco e nero. Amo la resa grafica delle tonalità e della texture, e prediligo anche lo ‘spazio’ che crea tra il soggetto e l’osservatore. È uno strato molto sottile di astrazione che può aiutare a identificare la fotografia con una rappresentazione, un oggetto d’arte.

“Stanza 9, Casa dei Ceii (I.6.15), Pompei,” 2015, by William Wylie. (William Wylie)
‘Guardando ad est, Anfiteatro (II.6), Pompei’ 2015, by William Wylie. (William Wylie)

Quali sono state le principali sfide nel fotografare l’architettura iconica di Pompei?

Tutte le architetture, eccetto l’anfiteatro, sono storie singole, e quasi tutte seguono un piano predeterminato. Una sfida è stata come riuscire a scattare nuove fotografie interessanti.

Ci ho lavorato per un periodo di oltre cinque anni, e uno dei punti cruciali è stato che ogni volta che arrivavo, dopo alcuni giorni esaurivo completamente la mia ‘sensibilità iconica’, e potevo quindi iniziare a vedere le cose da zero.

‘Anfiteatro (II.6), Pompei’ 2013, by William Wylie. (William Wylie)

Potrebbe per favore dirci qualcosa su alcuni dei suoi scatti?

Si guardi la fotografia del 2015 “Stanza G, la casa dei Cupidi dorati (VI.16.7)”: questa casa era una tra le più sontuose della città vecchia, apparteneva alla famiglia dei Poppei. E il suo nome è dovuto ai Cupidi alati dipinti nei suoi molti affreschi.

“Stanza G, Casa dei Cupidi d’orati (VI.16.7), Pompei’, 2015, by William Wylie. (William Wylie)

A volte, con la giusta luce, l’opulenza dell’antica Pompei tornava in vita.

Il bellissimo mosaico floreale del pavimento e i ricchi affreschi sui muri della stanza sono stati protetti da un tetto nuovo. L’oscurità generata dall’inclinazione della luce pomeridiana creava un senso di mistero e di esperienze vissute. L’affresco rappresenta una trattativa commerciale di qualche genere. È simile a un ricordo oscuro. Qualsiasi cosa stesse accadendo, con l’intonaco fatiscente e lo spazio vuoto della stanza contemporanea, non sembra che debba finire bene.

La fotografia del 2013 ‘Santuario di Apollo (VII.7.32)’ è una vecchia idea, ma in fotografia non si può sfuggire all’importanza del tempismo, essere nel posto giusto al momento giusto.

“Santuario di Apollo (VIII.7.32), Pompei’, 2013, by William Wylie. Archival pigment print. 37 pollici per 45. (William Wylie)

Conoscevo le fotografie scattate nel 19esimo secolo da Giogio Sommer nel santuario. È probabile che sia stato nello stesso identico punto quando ho scattato questa fotografia perché ci sono alcune versioni della sua opera che sono molto simili. Tuttavia, la statua di Apollo non era presente nelle fotografie di Sommer. È stato solo in seguito che i frammenti della statua originale in bronzo sono stati assemblati e si è deciso di posizionarla su quel piedistallo.

Ero circondato dalle rovine del mondo antico e mi stavo guardando intorno nel tentativo di ricostruire almeno una parte di quello che è andato perso; contemporaneamente avevo in mente una precisa immagine del luogo risalente al 19esimo secolo. Poi ho notato l’intensità della luce e quella semplice ombra sulla base della colonna, il che mi ha bloccato nel momento presente, come poche esperienze fotografiche hanno fatto.

Sono state cose come questa che hanno spinto le basi concettuali del progetto verso il riconoscimento dell’attualità di Pompei. Non è una città del passato, ma del presente, simile a un archivio.

La foto ‘Basilica (VIII.1)’ del 2013 sfrutta la tecnica di appiattimento dello spazio che ho osservato nei lavori di Sommer, con una composizione stratificata che mostra il Vesuvio, la Basilica di Pompei, e lo specchio d’acqua creato dalla pozzanghera che aveva ‘invaso’ il sito il giorno in cui ho scattato la fotografia.

‘Basilica, (VIII.1) Pompei’, 2013, by William Wylie. (William Wylie)

Il Vesuvio è una presenza che incombe sempre sulla città, un promemoria costante per i visitatori del perché esistano tali rovine.

In questa fotografia la montagna è schiacciata dalla piattezza della scena, che è accentuata dalle colonne incastonate nel muro come in un collage, e ulteriormente rafforzata dall’immagine riflessa nella pozzanghera della Basilica, che raddoppia gli elementi in primo piano (ma non il vulcano) sul piano riflesso della fotografia.

Ero anche molto consapevole del tombino del 20esimo secolo in primo piano: un ulteriore aspetto che rende il sito un luogo contemporaneo, che continua a cambiare ed evolversi secondo le necessità.

‘Muri (edifici di Pompei), Pompei’, 2013, by William Wylie. (William Wylie)

Che impressione le ha lasciato Pompei a livello personale?

Un’impressione straordinaria che mi ha lasciato Pompei è che non si tratta del posto ‘congelato’ presente nella nostra immaginazione, ma di un sito che continua a stare al passo con il tempo; quella è una manifestazione dell’entropia. Parlo di questo aspetto nell’introduzione del mio libro pubblicato dalla Yale, Pompei continua sia a essere scoperta che a cadere in rovina. E questo accade perché è esposta. L’uso umano, l’inquinamento e i fenomeni naturali continuano a lasciare le proprie tracce su questo sito.

L’intervista è stata rivista per brevità e chiarezza.

 

Articolo in inglese: Pompeii Time

Per saperne di più:

 
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