Perché il Movimento 5 Stelle è crollato alle elezioni europee?

Di Marco D'Ippolito

I risultati di quest’ultima tornata elettorale hanno lasciato di stucco gran parte degli analisti e degli stessi politici, incluso Salvini. Al netto, la Lega ha guadagnato quasi tre milioni e mezzo di voti rispetto al 2018, mentre il Movimento 5 Stelle ne ha persi oltre 6 milioni. È cambiata poco la situazione del Pd, che sebbene abbia guadagnato quasi 4 punti percentuali ha, in realtà, perso circa 80 mila voti. Anche Forza Italia ha subito un colpo durissimo, perdendo 2,3 milioni di voti dalle ultime politiche. L’unico partito, oltre alla Lega, ad essere cresciuto in termini di voti assoluti è Fratelli D’Italia di Giorgia Meloni, che ha guadagnato oltre 300 mila voti.

Ad ogni modo, nella mattinata del 27 maggio Salvini ha sottolineato che «la lealtà della Lega al governo e al contratto non è mai stata in dubbio, lo ribadisco oggi dopo la vittoria», e ha aggiunto che non chiederà nuovi ministri. Certo è che il premier Conte non potrà non tenere in considerazione il risultato di quest’ultimo voto in futuro.

Un momento di riflessione

In molti stanno riflettendo sulle ragioni che hanno allontanato una così grande porzione dell’elettorato dall’M5s nel giro di un solo anno, a partire dal vicepremier Di Maio che durante una conferenza stampa tenutasi al Mise nel pomeriggio del 27 maggio ha sottolineato come sia necessaria «umiltà per apprendere dal voto che hanno espresso i cittadini».

Aldilà delle efficaci strategie di marketing messe in campo dalla Lega sui social media, che hanno sicuramente sortito un certo impatto, ci sono altre ragioni dietro al risultato del 26 maggio, che ha visto molti elettori del M5S passare dal Movimento all’astensionismo e, in parte minore, alla Lega e ad altri partiti.

In materia di immigrazione, i due partiti al governo hanno agito in maniera piuttosto compatta nell’ultimo anno, ma è verosimile che Salvini, in qualità di ministro degli Interni, sia stato premiato dagli elettori per la diminuzione degli sbarchi e dei morti in mare nel 2019.
Anche le diverse idee in materia di politiche economiche hanno verosimilmente contribuito a fare la differenza. Salvini insiste da lungo tempo sulla necessita di diminuire le tasse, in particolare sulle imprese e introdurre la cosiddetta flax tax, per consentire all’economia italiana di ripartire. Anche il Movimento ne ha parlato, ma alla fine ha preferito concentrare i propri sforzi sull’istituzione del reddito di cittadinanza, una misura semi-assistenzialistica, fortemente costosa, e i cui risultati andranno osservati, ma che al momento, a pochi mesi dalla sua entrata in vigore, non sembra aver generato molto entusiasmo. Inoltre il M5S ha incentrato la campagna elettorale delle europee sull’istituzione del salario minimo europeo.

A dividere il governo c’è stata poi la questione della Tav e delle grandi opere, e più recentemente la vicenda del sottosegretario Siri.

Politica estera

Probabilmente tra le principali ragioni che hanno spinto gli elettori a prendere le distanze dal Movimento va anche annoverata la controversa politica estera. Dalla tensione dei rapporti con la Francia di Macron (e l’appoggio ai gilet gialli) fino alla dubbia posizione assunta dall’M5s in merito alla questione venezuelana e all’intesa siglata con il regime comunista cinese.

Il 23 marzo infatti è stato proprio Luigi Di Maio a firmare il Memorandum d’Intesa sulla Nuova Via della Seta, nonostante i tentativi di dissuasione da parte di Confcommercio, Conftrasporto, dell’Ue e di Washington, che hanno ripetutamente sottolineato come un tale accordo alla fine non porterà nessun beneficio all’Italia. Salvini, dal canto suo, ha decisamente mantenuto un atteggiamento più prudente dei 5 stelle, pur non avendo trovato il coraggio di opporsi pubblicamente alla firma del Memorandum.

La cosa più peculiare è che Xi Jinping, segretario del Partito Comunista Cinese, nonché leader maximo del regime, sia stato accolto con il massimo dell’entusiasmo e degli ossequi dal vicepremier Di Maio e dal presidente della Repubblica: un’accoglienza di gran lunga più sfarzosa e curata rispetto a quella riservata, ad esempio, ad Obama nel 2014.

Il problema è che la Cina non è un Paese ‘normale’: dal 1949 il potere politico e militare è interamente nelle mani del Partito Comunista Cinese, che da allora ha costantemente represso la popolazione, ha sistematicamente e deliberatamente tentato di distruggere la millenaria cultura cinese e ha causato la morte innaturale di oltre 60 milioni di persone, ben più del Terzo Reich controllato da Hitler.

Ancora oggi il regime comunista, sebbene la costituzione della Repubblica Popolare Cinese garantisca (in teoria) la libertà di credo, di espressione e di associazione, continua a perseguitare milioni di cittadini innocenti. Da quasi vent’anni il Partito Comunista Cinese sta conducendo una violenta campagna di persecuzione contro le persone che praticano il Falun Gong, una pacifica disciplina spirituale basata sui principi universali di verità, compassione e tolleranza, che alla fine degli anni ’90 era praticata da oltre 70 milioni di cinesi.

A fronte di tutto questo, l’atteggiamento dell’M5s potrebbe essere apparso decisamente controverso agli occhi degli elettori più attenti: rigido e intransigente nei confronti di funzionari come Siri, che fino a prova contraria non hanno commesso alcun reato (è accusato di aver accettato una tangente, ma non c’è stato ancora il processo), e al tempo stesso docile e accondiscendente nei confronti del sanguinario regime comunista cinese e della sua Nuova Via della Seta, un’iniziativa che ormai anche secondo l’Unione Europea è considerata parte di un più ampio disegno egemonico, che include anche lo sviluppo della rete 5G.

Il 7 febbraio era stata pubblicata sulla Stampa un’indiscrezione che affermava che «fonti qualificate della Difesa e della Farnesina chiudono ‘definitivamente’ all’ipotesi di affidare ai due colossi cinesi delle tlc [Huawei e Zte, ndr] lo sviluppo delle infrastrutture su cui viaggerà la tecnologia 5G». Tuttavia, poche ore dopo è arrivata la smentita del Mise, il ministero presieduto da Di Maio, secondo cui «la sicurezza nazionale è una priorità e nel caso in cui si dovessero riscontrare criticità – al momento non emerse – il Mise valuterà l’opportunità di adottare le iniziative di competenza».
Ma ad oggi, sebbene un numero sempre crescente di Paesi e aziende in tutto il mondo stiano chiudendo le porte a Huawei, il Mise non ha ancora annunciato misure a tutela della sicurezza nazionale italiana.

Un’altra questione, che pur non avendo un impatto diretto sulla vita degli italiani, ha avuto una notevole influenza sull’opinione pubblica è quella venezuelana: l’Italia è stata infatti uno degli unici Paesi in Europa, assieme alla Grecia di Tsipras (che dopo i risultati delle elezioni europee ha annunciato le proprie dimissioni) a non aver riconosciuto il presidente del Parlamento venezuelano, Juan Guaidò, come legittimo presidente ad interim. La scelta dell’Italia ha così indirettamente legittimato il dittatore socialista Maduro, che ha persino ringraziato pubblicamente il Belpaese per il sostegno offerto al suo governo. In questa occasione, Salvini ha mantenuto una posizione decisamente più chiara, denunciando a più riprese Maduro, che ha definito «un fuorilegge, un presidente abusivo».

La comunità venezuelana in Italia, da Cosenza fino a Roma e Milano, è scesa in piazza per sensibilizzare l’opinione pubblica e chiedere al Parlamento italiano di prendere le distanze da Maduro e riconoscere Juan Guaidò come legittimo presidente. Tuttavia, ad oggi il Parlamento italiano continua a essere uno dei pochi in Europa a non essersi espresso, in nome del principio di ‘non ingerenza’ invocato dal Movimento 5 Stelle.

Una serie di scelte dei 5 Stelle ha dunque lasciato perplessi gli elettori più informati, come anche gli alleati storici del nostro Paese, e ha spinto oltre 6 milioni di italiani a non rinnovare la fiducia che avevano accordato al Movimento nel 2018.

Ad ogni modo fa sperare in un cambiamento positivo il fatto che all’indomani delle elezioni il vicepremier Luigi Di Maio abbia dichiarato: «Ringrazio anche chi non ci ha votato, perché dal loro comportamento noi impariamo e prendiamo una bella lezione».

 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times.

 

 
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