Perché il comunismo è un male per la società

Di Trevor Loudon

Il comunismo non va visto come una semplice idea o schieramento politico, poiché prima di tutto – eticamente parlando – è un’ideologia perversa e votata al male.

Per quali ragioni? Potrebbe benissimo essere, ad esempio, per gli 85-100 milioni di morti causati dai regimi marxisti-leninisti, o per la sua propaganda di massa che ha strumentalizzato centinaia di milioni di bambini nell’ex blocco sovietico, in Cina, a Cuba, in Corea del Nord e in Vietnam; oppure ancora, potrebbe esserlo per l’endemica corruzione dilagante in ogni Paese comunista, o per il conflitto razziale deliberatamente seminato dagli attivisti comunisti in tutto il mondo.
Per chi conosce l’indottrinamento socialista pseudo-scientifico, derivato dalle false teorie genetiche di Lysenko dell’era Stalin, sino all’ingannevole ‘fluidità di genere’, probabilmente potrebbe essere anche per questi motivi.

Tuttavia, quanto appena detto, pur essendo già di per sé spaventoso oltre ogni misura, rappresenta solo una parte dei sintomi, e non la vera causa, del male intrinseco al comunismo.

La vera ragione per cui il comunismo è davvero il male più grande di sempre è in realtà semplice: il comunismo è il più grande nemico mai inventato della responsabilità individuale di ogni persona.
Il comunismo, infatti, mira ad annullare qualsiasi realizzazione personale: una volta che si riesce a vedere questo chiaramente, si riusciranno a comprendere anche gli scopi che stanno dietro a tutte le politiche guidate da questa ideologia, che all’apparenza potrebbero sembrare inspiegabili.

Ogni politica comunista, dal salario minimo all’assistenza sanitaria, fino al controllo degli affitti, è maliziosamente pensata per minimizzare e contrastare il cruciale fattore della responsabilità personale.
Al contrario, gli individui che si assumono la responsabilità personale, diventano leader, ispirando gli altri a porsi a loro volta al comando della propria vita.
Gli individui che si assumono le responsabilità delle proprie azioni, sono i soli responsabili del proprio comportamento, il che si traduce anche in delle migliori relazioni con gli altri.

Gli effetti positivi di una maggiore responsabilità personale sono evidenti: ogni grandiosa invenzione, ogni meravigliosa opera d’arte, ogni innovazione nel campo medico, ogni autostrada, ogni nuova attività che crei ricchezza, e ogni grande risultato sportivo si è potuto materializzare grazie a individui con personalità innovative e con spirito imprenditoriale.

Inoltre, anche le persone che hanno combattuto con successo alcolismo o tossicodipendenza, devono essersi assunte, a un certo punto della propria vita, la responsabilità personale per le loro condizioni.

Il fattore della responsabilità è evidente poi in quegli individui che grazie a una loro azienda prospera, possono fornire ad altri i mezzi di sostentamento; oppure in un atleta che si allena senza sosta per vincere il campionato, o ancora in quegli studenti che superano ogni aspettativa per poter ottenere una borsa di studio.
Queste sono le persone che guidano la società verso conquiste sempre più grandi, migliorando la qualità generale della vita.

La responsabilità personale è la manifestazione ultima del libero arbitrio: senza libertà, non può esistere alcuna ‘responsabilità personale’, e senza responsabilità personale, non può esistere alcun progresso individuale e quindi sociale.

Il grado di libertà esistente in una data società è un potenziale indicatore della presenza di maggiore responsabilità personale e, allo stesso tempo, del progresso raggiungibile da quella data società. Ma nessuno può essere costretto a diventare responsabile per se stesso: è una scelta esclusiva dell’individuo.

La libertà crea quindi le condizioni per il progresso; la responsabilità personale è il motore che trasforma il potenziale in realtà. Quella di una maggiore responsabilità personale è la strada verso ricchezza in abbondanza, verso scelte migliori e verso una vita più significativa e produttiva.

Qual è il contrario della responsabilità personale?

Evitare le responsabilità personali porta invece a povertà, asservimento e all’esatto opposto del bene: il male.

Le persone che scelgono direttamente il male, se esistono, sono davvero poche. Ma molti, rifiutando di prendersi le responsabilità per loro vite, vengono trascinati verso una serie di compromessi ed evasioni, finendo alla fine in una trappola dalla quale è quasi impossibile scappare.
Le persone più deboli potrebbero un giorno diventare criminali; in una società comunista organizzata potrebbero diventare perfino dei ‘mostri’.

Con bassi livelli di responsabilità personale, la caduta verso il male e verso il degrado è inesorabile.
Il motto centrale del comunismo è: «Da ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni». Quale peggiore attacco alla responsabilità personale potrebbe esistere?

La responsabilità, implica controllo. E non si può essere ritenuti responsabili per quello che non si controlla. Guidare un veicolo, pagare un mutuo, o mettere da parte risparmi per il proprio futuro, sono tutti esempi di presa del controllo delle proprie vite.

Ma se le persone vengono obbligate con la forza a dare i frutti del proprio lavoro ad altri che non hanno saputo produrre, saranno di conseguenza meno incentivate a produrre.
Al contrario, se alle persone viene riconosciuto semplicemente un ‘diritto’ ad avere i frutti del lavoro degli altri, come influirà questo sulla responsabilità personale?

Si metta a confronto un individuo che di sua iniziativa fa della carità, con la ridistribuzione della ricchezza imposta dallo Stato: la vera carità fatta personalmente e in privato, ha il potere di aiutare entrambe le parti; una persona più abbiente può interagire con qualcuno meno fortunato a beneficio di entrambi, e il meno fortunato potrebbe trarre ispirazione da un gesto benevolente.
Anche l’esperienza e la saggezza acquisita da una persona può essere condivisa a beneficio di un’altra; questa è un’espressione della naturale benevolenza dell’essere umano, che emerge all’interno di un contesto libero da pressioni, e il fatto che emerga è una buona cosa per tutti.

La ridistribuzione forzata della ricchezza da parte del socialismo porta invece corruzione e degrado. In tale sistema, chi fornisce la ricchezza diventa schiavo di forze che sfuggono al suo controllo, e naturalmente, trova faticoso lavorare per degli sconosciuti: non ha alcuna relazione personale con i suoi beneficiari e, nel vedere la sua stessa ricchezza messa a disposizione di altri, si sente spogliato delle sue capacità. Viene privato di tutte quelle sensazioni di gratitudine e di gioia derivanti dal donare di propria spontanea volontà, e per questo perde quell’incentivo a sforzarsi per dare agli altri, e questo accresce potenzialmente il suo senso di amarezza e di risentimento.

Il ‘beneficiario’ allo stesso modo non acquisisce né nuove capacità né nuove idee dal suo ‘benefattore’. Inoltre, non prova alcun senso di orgoglio né di realizzazione nell’assumersi responsabilità nei confronti della propria vita e della propria famiglia; quindi, può sviluppare un senso di amarezza e andare all’estremo pensando che tutto gli sia dovuto, il tutto per mascherare quella profonda sensazione di disprezzo verso sé stessi che può emergere se si dipende dagli altri.

L’intermediario diventa quindi il burocrate che trascorre il suo tempo a derubare e a perseguitare le persone dalle quali è infastidito, i ricchi, per poi dare a quelle persone dalle quali cerca di ottenere consenso e voti.

La ridistribuzione della ricchezza promossa dal comunismo è quindi un ciclo caratterizzato dal disprezzo, che favorisce la corruzione e che genera sentimenti negativi come odio, invidia e risentimento; è disumanizzante e deleterio per l’animo dell’essere umano. Questo costituisce una porta d’accesso al male, nel vero senso del termine, e su larga scala.

Un tempo, negli Stati Uniti, il fatto che l’essere dipendenti dal governo avesse un’influenza corrosiva sulla società era talmente ben compreso dalla popolazione, che persino Franklin D. Roosevelt si sentì in dovere di parlarne nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 1935: «Le lezioni della storia, confermate dalle testimonianze immediatamente prima di me, dimostrano in modo definitivo che dipendere continuamente da degli aiuti induce una disintegrazione spirituale, fondamentalmente distruttiva per la compattezza nazionale».

«Dare sollievo in questo modo è come somministrare un narcotico, che in modo subdolo distrugge lo spirito umano. È ostile ai dettami di una politica solida. È una violazione alle tradizioni dell’America. Il lavoro, per quelle persone normodotate ma indigenti, deve essere trovato. Il governo federale può e deve abbandonare questo business dei sussidi».

Quindi, in cosa consiste la malvagità del comunismo? Nel fatto che comunismo, socialismo e tutte le filosofie collettiviste disprezzano l’individuo, che è il più minuto ma più importante elemento per l’umanità. In realtà, l’individuo stesso è l’umanità.

In una società libera, dove ognuno è percepito come l’unico responsabile della propria vita, dove ogni vita è sacra, dei crimini come quelli perpetrati dal comunismo nel 20esimo secolo, o i gravi abusi dei diritti umani, portati incredibilmente avanti ancora oggi nei Paesi comunisti [si veda la persecuzione del Falun Gong in Cina, ndr] sarebbero inammissibili.

Infatti, quando gli individui vengono percepiti come schiavi dello Stato, a disposizione per essere sfruttati o coccolati in base ai capricci della burocrazia, si dà libero accesso alla strada che porta al terrore di massa e al degrado.

Il comunismo non è mai morto, perché?

Per concludere, perché il comunismo non è mai morto? Il comunismo, non è principalmente una forza politica, ma la manifestazione di una debolezza psicologica e spirituale nella natura umana, che fermenta nell’invidia.

Il desiderio di ‘comunismo’, ovvero della necessità di essere protetti dalle proprie mancanze, vive nel lato debole, o se vogliamo oscuro, di ogni individuo. Questo ‘lato oscuro’ della natura umana è antico quanto l’umanità stessa, ed è per questo che quelli che credevano di aver assistito alla fine del comunismo con la caduta del muro di Berlino, si sono purtroppo sbagliati.

Per queste ragioni, il comunismo non ha mai fallito, e continua ad avere pericolosamente successo. Oggi infatti è al comando di diverse grandi nazioni, come Cina, Cuba, Vietnam e Corea del Nord, e ha una enorme influenza in Russia, in gran parte dell’America Latina, in Africa, e anche in una considerevole parte dell’Europa.

E questa insidiosa bestia è riuscita persino a guadagnare terreno nel governo federale degli Stati Uniti, nella cultura popolare e nei campus universitari statunitensi.
L’obiettivo dichiarato del comunismo, ovvero la ridistribuzione della ricchezza, è stato pianificato semplicemente per sedurre e poi indurre i deboli a sacrificare la loro libertà per il beneficio di pochi.

In realtà, l’obiettivo del comunismo è quello di estendere il suo dominio a livello globale, che si tradurrebbe nella più grande e completa tirannia di tutti i tempi.
Il comunismo, a quel punto, non si manifesterà solamente attraverso i mezzi utilizzati dai dittatori assassini della vecchia Unione Sovietica, ma a quelli si aggiungerà una tecnologia di sorveglianza altamente efficiente, rendendo impossibile qualsiasi forma di fuga.

Se anche quest’ultima iterazione del comunismo dovesse avere successo, sarà solamente perché un numero troppo grande di persone sarebbero state disposte a rinunciare al fattore della responsabilità personale, in cambio di un illusorio senso di sicurezza.

Il migliore e unico vero antidoto al comunismo, è l’individuo pienamente responsabile per se stesso: la responsabilità personale.

 

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