La rivolta di Parigi, il movimento dei gilet gialli macchiato dalla violenza

Da un mese a questa parte ormai, le strade del centro di Parigi sono di frequente pervase dal sibilo dei gas lacrimogeni, e dal rumore dei camion della polizia antisommossa, chiamata a contenere le migliaia di manifestanti francesi in rivolta. Come noto infatti, una parte della popolazione sta manifestando la propria insofferenza nei confronti del governo, attraverso il cosiddetto movimento dei gilet gialli, che nell’ultima settimana, prima del mea culpa di Macron alla nazione, ha assunto connotati sempre più violenti.

Il giorno dell’Immacolata Concezione, un cordone di sicurezza ha circondato il palazzo presidenziale dell’Eliseo, la destinazione più ambita dai manifestanti; e la polizia ha disseminato furgoni e barriere metalliche rinforzate in tutto il quartiere.
Contemporaneamente, ci sono state manifestazioni anche in altre zone della Francia. Un totale di circa 89 mila agenti delle forze dell’ordine sono stati dispiegati nell’intera nazione, tra militari, polizia locale, e polizia speciale, per contenere i circa 125 mila manifestanti caratterizzati dai giubbetti gialli.

In effetti, la scorsa settimana il ministro degli Interni francese Cristophe Castaner ha impartito ordini molto diversi, rispetto alle precedenti tre settimane. La polizia è stata autorizzata a ricorrere al contatto fisico se necessario, adoperando manganelli, flash ball e altre armi non letali.
Oltre 1200 persone sono state arrestate l’8 dicembre prima che la protesta iniziasse, nel tentativo di mitigare il più possibile le violenze. La polizia ha inoltre confiscato qualsiasi oggetto utilizzabile per autodifesa, come caschi, occhiali protettivi, e ricariche di soluzioni saline per gli occhi.

La folla vestita di giallo era composta prevalentemente da maschi; una parte di questi è scesa in piazza per mostrare il proprio sdegno verso la politica economica di Parigi (il centro del governo, dell’economia e della cultura della Francia). Altri, erano semplicemente teppisti, che una volta raggiunti i quartieri più ricchi della città, hanno distrutto e bruciato beni pubblici e privati.

La polizia e i manifestanti si sono inoltre scontrati nelle città meridionali di Marsiglia e Tolosa.

Dal canto suo, il governo ha tentato di impedire che si ripetessero eventi simili a quelli del primo dicembre, quando i disordini hanno provocato il danneggiamento dell’Arco di Trionfo, ferito 130 persone e infangato l’immagine del Paese in tutto il mondo. Ma, sebbene le proteste di sabato siano iniziate in maniera tranquilla, nel tardo pomeriggio sono state arrestate almeno 551 persone, e ne sono state ferite 60, secondo la polizia e gli ospedali di Parigi.

Alcuni degli eleganti negozi lungo il viale degli Champs-Élysées hanno barricato le proprie vetrine come se attendessero l’arrivo di un uragano. Ma la tempesta ha colpito lo stesso, e questa volta proprio durante il periodo dello shopping natalizio: i ‘manifestanti’ hanno staccato le tavole di legno che proteggevano le vetrine e hanno lanciato fumogeni e altri oggetti mentre venivano ripetutamente respinti dai gas lacrimogeni e dagli idranti della polizia.

Tutte le principali attrazioni turistiche, inclusa la torre Eiffel e il museo del Louvre, sono rimaste chiuse per l’intera giornata, temendo il genere di danni occorsi all’Arco di Trionfo. Anche le stazioni della metropolitana nel centro della città sono rimaste chiuse e l’ambasciata americana ha consigliato ai propri cittadini di evitare tutte le aree coinvolte nelle proteste.

In mezzo alla confusione, il president Emmanuel Macron era rimasto invisibile e silenzioso, come del resto aveva fatto fino a quel momento per tutte le quattro settimane trascorse dall’inizio della protesta. Iniziata contro il rincaro delle tasse sulla benzina, la contestazione si è presto trasformata in una ribellione contro l’eccessiva tassazione, il declino del tenore di vita, e contro la presunta incapacità del governo di gestire i problemi delle regioni francesi e più in generale delle persone comuni.

Myriam Diaz, una delle manifestanti, ha dichiarato: «Siamo qui per comunicare [a Marcron] il nostro malcontento. Non sono venuta per fare danni, ho quattro bambini quindi cercherò di tenermi al sicuro per loro, poiché sono molto preoccupati. Ma sono voluta venire per dire ‘Basta!’, ne abbiamo abbastanza, devono farla finita».
Dominic Blaise, un ingegnere aeronautico di 57 anni che vive in periferia, è venuto alla manifestazione con suo figlio, e ha dichiarato: «Personalmente non sto tanto male perché ho un buono stipendio, che mi permette di vivere tranquillamente. Sono qui per sostenere mio figlio, che si trova in condizioni difficili, penso che tutti i genitori dovrebbero fare lo stesso per sostenere i propri figli, perché le prossime generazioni dovranno affrontare grosse difficoltà». Per lui è stato il terzo fine settimana di protesta a Parigi.

Le correnti socio-economiche dietro le proteste

In attesa di capire quale sarà la risposta del movimento alle nuove soluzioni proposte da Macron  ̶  tra le varie, il salario minimo in rialzo di 100 euro e gli straordinari detassati  ̶  le precedenti decisioni del presidente francese, tra cui quella di aumentare le tasse sul carburante di circa 7 centesimi al litro, erano andate a colpire un nervo scoperto della classe lavoratrice, scatenando quindi quella reazione cosi forte alla quale tutto il mondo ha assistito.

A causa dei prezzi esorbitanti delle abitazioni, in particolare a Parigi, negli ultimi anni la classe media ha dovuto lasciare le città per trasferirsi in piccole villette con giardino, dovendo di conseguenza percorrere lunghe distanze per andare al lavoro. Per questo la qualità della vita del lavoratore medio è diventata strettamente legata al carburante e al suo prezzo.

Eric Verhaeghen, scrittore, imprenditore e giornalista politico, ha dichiarato che sebbene gli stipendi siano lievemente aumentati, le tasse sono aumentate ancora di più, quindi alle persone sembra di essere diventate più povere.
Le persone hanno la sensazione che lo Stato stia «confiscando i frutti del loro lavoro per ridistribuirli in un modo che però non trovano soddisfacente», ha dichiarato Verhaeghe. Inoltre si oppongono alla visione di Macron che intende trasformare la Francia in una «nazione start-up».

Per Macron questa espressione non significa solo incoraggiare le imprese start-up nel Paese, ma anche trasformare la Francia in «una nazione che pensa e agisce come una start-up», come ha dichiarato poco dopo la sua elezione a giugno del 2017.

Per Verhaeghen, «la vecchia nazione francese sta dicendo: “il nostro futuro, il nostro destino, non è diventare una nazione start-up… questo non è il nostro sogno”», il loro sogno è piuttosto che «l’amata vecchia Francia diventi più moderna e si adatti [ai tempi], ma preservi i suoi valori chiave. Non vogliono che una moderna élite trasformi il Paese».

Il generale in pensione Christian Piquemal, che ha partecipato alle protesta di sabato anche lui vestito di giallo, ha manifestato sentimenti affini: «La Francia è stata un faro per il mondo intero, era un Paese con voti eterni, ma oggi è in totale decadenza. Dobbiamo ritrovare noi stessi in quanto persone che condividono gli stessi valori».

Secondo Verhaegen, il cuore del movimento è libertario: vorrebbero meno governo e più libertà, un po’ come il celebre Boston Tea Party. Ha inoltre dichiarato che sebbene tra i manifestanti ci siano dei teppisti, non rappresentano affatto l’essenza del movimento.

Il pubblico ministero di Parigi, Remy Heitz, ha reso noto il 2 dicembre che tra le 378 persone arrestate il primo dicembre, molti erano uomini tra i 30 e i 40 anni provenienti dalle aree regionali, perfettamente integrati nella società e venuti per opporsi alle politiche del governo.
«La base del movimento dei gilet gialli sono le persone comuni… persone comuni che sono disperate», ha concluso Verhaegen.

 

Articolo in inglese: Riot in Paris: Yellow Vests’ Demands Marred by Violence

 
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