La persecuzione economica dei praticanti del Falun Gong

Il 5 maggio 2018, la signora Cai Lili, 69 anni, è spirata. Si è arresa dopo anni e anni di minacce e torture, sia fisiche che psicologiche, causate dalla spietata persecuzione che il Partito Comunista Cinese sta perpetrando, dal 1999, contro la pacifica disciplina di meditazione del Falun Gong.

La donna, nata a Tianjin, era dal 2015 in gravi condizioni di salute, e senza alcun tipo di sussidio: così l’avevano ridotta le autorità. Il figlio, per prendersi cura di lei, ha dovuto lasciare il lavoro, e così i due hanno passato gli ultimi tre anni in gravi difficoltà economiche e sociali, e con la costante pressione intimidatoria del Pcc, che ha causato la morte della signora Cai.

Secondo il sito d’informazione sulla persecuzione del Falun Gong Minghui.org, la signora Cai Lili aveva sofferto per molti anni di spondilosi cervicale e spondilosi lombare, che le rendevano difficile e doloroso il camminare, il piegarsi, l’abbassare la testa e il sollevare oggetti pesanti. Nel 1998 aveva conosciuto la pratica spirituale nota col nome di Falun Gong o Falun Dafa; con grande stupore, poco dopo aver iniziato a praticare gli esercizi, si era rimessa in salute rapidamente. Il Falun Gong è un’antica disciplina cinese di auto-miglioramento, completamente gratuita, che insegna a comportarsi secondo i principi di verità, compassione e tolleranza; è stata diffusa dallo stesso fondatore Li Hongzhi, e comprende una serie di cinque esercizi che rafforzano la salute del corpo e permettono di raggiungere calma e concentrazione attraverso la meditazione.

Tuttavia, sebbene questo movimento non avesse mai creato alcun problema al governo, quando poi nel 1999 il numero dei praticanti ha raggiunto la cifra di quasi cento milioni di persone (più del numero degli iscritti al Pcc), il regime cinese ha lanciato una durissima persecuzione.
L’ex leader del Pcc, Jiang Zemin, ha diffuso a tutti i più importanti quadri del partito le sue ‘indiscutibili’ «direttive per sradicare il Falun Gong». Le tre semplici ma efferate linee guida per eliminare i praticanti dal Paese erano: «rovinare la loro reputazione, distruggerli economicamente ed eliminare definitivamente i loro corpi».

A questi ordini del leader maximo seguirono servizi giornalistici della stampa statale che diffamavano la disciplina, e persino l’utilizzo, da parte del regime, di agenti segreti camuffati da utenti internet col compito di diffondere sui social false voci sui fini nascosti della disciplina e/o il suo legame con gli Stati Uniti per far crollare il regime comunista. I praticanti della Falun Dafa in Cina furono inoltre ridicolizzati e discriminati nelle università e sui luoghi di lavoro, con mobbing, minacce e licenziamenti. A tutto questo si aggiunse un’ondata senza precedenti di arresti, a cui seguirono torture e pene detentive senza processo per costringer le persone a rinunciare alla loro fede.

Da quel momento fino ad ora, la repressione non si è mai fermata, e ha anzi raggiunto livelli di malvagità impensabili e davvero sconcertanti. La direttiva di «eliminare i loro corpi» è stata infatti seguita alla lettera non solo per eliminare ‘il problema’, ma anche per soddisfare i fini lucrativi del regime: grazie alle indagini dell’avvocato dei diritti umani David Matas, è venuta alla luce, da diversi anni, la pratica del prelievo forzato di organi da praticanti vivi. Questo significa che, prima di morire, queste persone vengono usate come una vera e propria «banca di organi» per i trapianti. Vengono cioè tenute in detenzione finché un ricco paziente che necessita di un trapianto non manifesti il bisogno di un organo compatibile. Il ricco, ignaro di quel che accadrà nelle carceri del regime, si reca in uno degli innumerevoli ospedali cinesi che gli garantiscono un organo compatibile nel giro di una settimana: paga milioni di dollari e, poco prima dell’operazione, il prigioniero di coscienza subisce l’asportazione forzata dell’organo e poi viene ucciso. (Prelievi forzati degli organi).

Inoltre gli ordini di Jiang chiedevano esplicitamente di «non tenere traccia delle azioni, non chiedere autorizzazioni o permessi, agire rapidamente e senza l’intralcio della burocrazia o della legge […] eliminare il Falun Gong e i suoi praticanti sarebbe stata una gloria del Partito». Fin da subito la macchina della persecuzione ha colpito milioni di persone innocenti, che nei primi mesi hanno cercato in ogni modo di fare appello alla ragionevolezza del governo, cercando il dialogo e la possibilità di spiegare gli equivoci che avrebbero generato una così dura repressione da parte delle autorità. Tuttavia, l’unico risultato che ottennero tutti coloro che provarono a instaurare un dialogo col Pcc, fu di essere schedati come rivoltosi e per questo tenuti sotto stretta sorveglianza dalle forze dell’ordine, per poi essere colpiti e arrestati in vari modi.

Oltre alla perdita del posto di lavoro, le altre sottili intimidazioni che il Pcc usava per far desistere la popolazione a praticare la disciplina spirituale, includevano per esempio, il minacciare di non assumere i giovani in cerca di lavoro, o togliere la pensione alle persone anziane che stavano praticando. La signora Cai, che aveva sperimentato personalmente i benefici della pratica guarendo dai sui malanni, nonché la bontà della disciplina che le aveva fatto ritrovare speranza e serenità, rimase scioccata non appena i media di regime iniziarono a diffamare la pratica, con arresti a tappeto da parte degli agenti segreti del Pcc. Nel tentativo di trovare una soluzione, insieme a tantissimi altri praticanti, iniziò a cercare di spiegare a tutte le persone che potesse incontrare, che cosa fosse veramente il Falun Gong. Ma proprio per questo è stata presa di mira dalle autorità.

Il 6 ottobre del 2015, Cai Lili, che da molto tempo era pedinata dalla polizia del Pcc, è stata arrestata nel parco di Shangshui della città di Tianjin. Aveva in borsa dei volantini per spiegare e chiarire la verità sul Falun Gong. Un poliziotto in borghese l’ha trascinata dentro un’auto e l’ha portata alla stazione di polizia di Balitai, il tutto senza avere nessuno mandato di arresto o un documento ufficiale che giustificasse le sue azioni. Senza nessuna procedura legale, è stata chiusa in una piccola stanzetta e privata di acqua e cibo. È stata tenuta in reclusione in queste condizioni per un tempo abbastanza lungo ma imprecisato, dal momento che la signora era troppo debole e confusa a causa delle privazioni, per poter ricordare bene.

In seguito, un poliziotto col numero di divisa 300547, senza spiegazione alcuna le ha dato un foglio su cui era scritta una «confessione del crimine» prestampata [colpevole di aver praticato il Falun Gong e aver diffuso materiale inerente alla pratica, ndr], e l’ha costretta a firmare sotto minaccia (in seguito la signora Cai è riuscita a scoprire che il nome del poliziotto è Wang Zhanli). Subito dopo, le ha sequestrato le chiavi di casa, il cellulare, il portafoglio, la tessera dell’autobus, e un Mp3 che la signora aveva in borsa, ed è andato via sempre senza spiegarle cosa sarebbe successo. Successivamente la signora Cai ha saputo che le avevano confiscato anche la casa, rubato una dozzina di banconote da 100 yuan (circa 150 euro), e rubato il contratto dei suoi investimenti in banca, che ammontavano a circa 20 mila yuan (circa tremila euro).

Dopo alcuni giorni è stata portata nel centro di detenzione di Nankai. Lì, a causa della malnutrizione, l’impossibilità di lavarsi, la sporcizia dell’ambiente carcerario e il divieto tassativo di fare gli esercizi di meditazione (che tanto avevano giovato alla sua salute), la signora Cai ha ricominciato a stare male, peggiorando di giorno in giorno. Quando è arrivata al punto in cui non era quasi più in grado di muoversi, è stata portata all’ospedale, per fare delle analisi del sangue; le hanno estratto 30 campioni di sangue con siringhe da 5 ml. Solo dopo aver notato il suo pallore cadaverico, il centro di detenzione ha sospeso temporaneamente lo stato di arresto e l’ha rimandata casa.

Tuttavia, la via crucis della signora Cai non è finita lì. Oltre ai pedinamenti della polizia locale, e oltre alle visite minatorie della autorità locali, nel 2016 è stata convocata per un processo a suo carico, durante il quale, l’accusa (il governo del Pcc), ha presentato prove, materiali e testimonianze false, che la difesa (privata) non ha potuto né verificare né contestare. Il primo novembre del 2017, è stata condannata a due anni e 10 mesi di carcere, e a pagare una multa di 20 mila yuan (circa tremila euro). La signora Cai non ha accettato la condanna (in quanto non esiste una vera e propria legge che vieta la pratica di una religione o di una disciplina spirituale), e ha rifiutato di pagare la multa.
Viste le sue precarie condizioni di salute, non è stata riportata in detenzione, ma per ritorsione le autorità le hanno negato la pensione e l’hanno tenuta sotto costante sorveglianza. Suo figlio non ha avuto altra scelta che lasciare il lavoro per poter prendersi cura di lei. Il giorno seguente, alla Festa della Mamma di quest’anno, la signora Cai, dopo aver trascorso gli ultimi anni della sua vita nell’ingiustizia e nella sofferenza fisica e mentale  ̶  solo per aver deciso di credere ai principi di ‘Verità, Compassione e Tolleranza’  ̶  non ce l’ha fatta più ed è morta.

LA MACCHINA DELLA PERSECUZIONE NON SI È ANCORA FERMATA

La persecuzione economica contro i praticanti del Falun Gong ha creato e crea ancora enormi difficoltà a tutti i loro familiari, oltre che ai loro parenti più prossimi che non praticano. Il Pcc agisce di proposito in questo modo, nel tentativo di separare i praticanti dalle loro famiglie, e privarli del possibile supporto economico e morale dei parenti.

Un’altra praticante di Pechino, Zhao Zhisheng, è stata arrestata illegalmente a marzo 2018 (durante il periodo del Congresso Nazionale del Pcc), e da due mesi si trova nel centro detenzione di Chaoyang, senza aver avuto nessun processo legale. Non è stata la prima volta: già nel 2002 era stata arrestata e portata nel campo di lavoro forzato di Daxing a Pechino. Nel campo di lavoro [i noti laogai, campi di lavoro forzato per rieducare attraverso il lavoro, ndr] aveva dovuto lavorare venti ore al giorno, con una solo tazza di minestra. Offese, minacce, molestie, torture e privazione della libertà, erano all’ordine del giorno; questo per non aver commesso alcun crimine, ma al contrario per aver cercato di diventare una persona migliore praticando il Falun Gong.

Tuttavia, una volta uscita, ha dovuto penare ulteriormente dovendosi rivolgere a ogni possibile ufficio competente per riavere la sua pensione. Ma, con finte giustificazioni burocratiche, le è stato impedito di ricevere i suoi soldi, frutto della fatica di una vita intera. Il tutto nonostante avesse già scontato una pena comminatale da un tribunale di regime, per un crimine che non esiste nella Costituzione cinese [le direttive di Jiang Zemin «per sradicare il Falun Gong», sono gli ordini di un leader del Pcc e non sono sancite dalla Costituzione cinese, che almeno sulla carta garantisce la libertà di culto, ndr]. Il marito della signora Zhao ha sviluppato un cancro a causa della sofferenza e delle preoccupazioni per la persecuzione della moglie, e il figlio ha dovuto affrontare enormi difficoltà per trovare un lavoro, essendo figlio di una perseguitata.

Anche Zhao Zhisheng è una dei milioni di praticanti del Falun Gong in Cina che oggi sono costretti a nascondersi; è una madre buona e generosa, nonché una moglie fedele e premurosa.
Anche lei, per il solo fatto di aver scelto di avere fede nei principi di ‘Verità, Compassione e Tolleranza’, è stata colpita dal Pcc, che ha distrutto la sua vita e quella della sua famiglia.

 

 
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