La Nuova Via della Seta e i pericolosi investimenti cinesi in Italia

Il governo italiano appare spaccato sull’ipotetica adesione alla Nuova Via della Seta di Pechino: crescenti preoccupazioni sono state espresse sia dall’interno del Belpaese che dall’Unione Europea e gli Stati Uniti.

L’intenzione dell’Italia di aderire all’iniziativa che la Cina ha programmato per accrescere la propria influenza geopolitica, è stata annunciata pubblicamente per la prima volta il 6 marzo da Michele Geraci, sottosegretario allo Sviluppo Economico, in un’intervista con il Financial Times.
Geraci ha dichiarato che le trattative sono in corso e che l’Italia potrebbe firmare ufficialmente un memorandum d’intesa con la Cina in occasione della visita di Xi Jinping prevista per fine marzo.

Le affermazioni di Geraci sono state confermate due giorni dopo, quando il premier Giuseppe Conte ha dichiarato che forse firmerà un accordo sulla Nuova Via della Seta durante la visita di Xi Jinping. Secondo Reuters, l’arrivo di Xi in Italia è previsto per il 22 marzo e sembra che il leader cinese si fermerà nella penisola per tre giorni.

L’Italia, per via della sua posizione geografica, può svolgere un ruolo cruciale nella Nuova Via della Seta. Lo scopo di questa ambiziosa iniziativa, annunciata per la prima volta da Pechino nel 2013, è quello di costruire delle rotte commerciali ‘Pechino-centriche’ (marittime e terrestri) finanziando enormi progetti infrastrutturali nel sud-est asiatico, in Africa, Europa e America Latina.

Le reti dei trasporti italiane, che includono ferrovie e porti, sono considerate importanti da Pechino per completare il corridoio marittimo previsto dalla Nuova Via della Seta, che dovrebbe collegare l’Europa meridionale con i porti dell’Africa Orientale, del sud-est asiatico e infine con la Cina.

Tuttavia, l’iniziativa di Pechino è sovente criticata per aver ‘oppresso’ i Paesi in via di sviluppo con enormi debiti, impossibili da ripagare. Questa ‘trappola del debito’ è già scattata nello Sri Lanka e alle Maldive dopo l’avviamento dei progetti relativi alla Nuova Via della Seta.

Non sorprende dunque che i funzionari statunitensi non abbiano tardato a manifestare le proprie preoccupazioni. Il 9 marzo il Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti ha dichiarato tramite il proprio account Twitter: «L’Italia è una delle principali economie mondiali e un’ottima meta per gli investimenti. Appoggiare la Nuova Via della Seta conferirà legittimità all’approccio predatorio della Cina nell’ambito degli investimenti e non porterà alcun beneficio alla popolazione italiana».

Qualora firmasse, l’Italia sarebbe il primo Paese del G7 ad aderire alla Nuova Via della Seta nonché il secondo grande Paese dell’Europa occidentale dopo il Portogallo. Il Gruppo dei Sette (G7) è composto dalle sette economie più avanzate al mondo: Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Inghilterra e Stati Uniti.

Il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale statunitense, Garret Marquis, ha scritto anche un altro tweet il 9 marzo: «Il governo italiano non ha alcun bisogno di legittimare il vanaglorioso progetto infrastrutturale della Cina».

All’interno del governo italiano non mancano le voci critiche nei confronti di un’eventuale adesione alla Nuova Via della Seta. Il sottosegretario del Ministero degli Affari Esteri, Guglielmo Picchi, ha risposto al messaggio del Consiglio per la Sicurezza Nazionale: «Condivido le preoccupazioni, non per compiacere i nostri alleati ma perché è necessaria maggiore prudenza».

Anche fuori dalle istituzioni sono state manifestate forti preoccupazioni: Luigi Merlo, presidente di Federlogistica Conftrasporto, ha dichiarato durante un’intervista con Il Giornale: «Il pericolo è di confondere la necessità di aumentare lo scambio commerciale con la crescente posizione egemonica della Cina».
Merlo ha poi aggiunto di temere che i porti, le autostrade e altri progetti infrastrutturali finiscano presto sotto il controllo cinese «lasciando in definitiva le leve di comando a Stati terzi».

La piattaforma mediatica europea Euractiv, citando una fonte anonima, ha dichiarato che il Ministero degli Affari Esteri italiano è stato molto sorpreso che lo Sviluppo Economico abbia preso l’iniziativa di dichiarare di voler firmare il Memorandum d’intesa, poiché è competenza degli Esteri negoziare gli accordi internazionali.

Informazioni trapelate sul Memoriale di intesa

Euractiv, una piattaforma mediatica con sede a Londra, ha pubblicato un articolo l’8 marzo, in cui ha sostenuto di essere in possesso di una copia esclusiva del Memoriale di intesa.

Secondo le informazione trapelate, Cina e Italia si impegnerebbero a «promuovere le sinergie e rafforzare la comunicazione e il coordinamento» e a migliorare il «dialogo politico» sugli «standard tecnici e normativi».
Pare che la Cina voglia anche investire sul porto di Trieste; secondo Euractiv quello di Trieste è infatti uno dei più grandi porti del Mediterraneo, ed è dotato di una ferrovia che lo collega alle città dell’Europa centrale e settentrionale.

Il memoriale prevede inoltre una collaborazione più stretta tra un’ancora ignota azienda cinese e l’azienda statale italiana Leonardo, che opera nell’ambito aerospaziale, della difesa e della sicurezza. Leonardo produce jet militari, elicotteri e munizioni, ed è partner di lunga data dell’esercito italiano.

La società elettrica pubblica della Cina, State Grid Corporation of China (Sgcc), vorrebbe inoltre rafforzare la collaborazione con la società italiana di servizi Terna.

Secondo il quotidiano di Stato cinese Global Times, nel 2014 la Sgcc ha già speso 2,1 miliardi di euro per acquistare il 35 percento delle azioni della società elettrica italiana Cdp Reti, che a suo volta possiede il 29,85 percento delle azioni di Terna.

Euractiv ha inoltre sottolineato che le partnership previste dal presunto memoriale sono state proposte tutte dalla controparte cinese.

Michele Geraci

La stampa italiana non ha tardato a indagare sul passato del sottosegretario al Ministero dello Sviluppo Economico Michele Geraci per via dei suoi ben noti rapporti con la Cina.

Il Foglio, in un editoriale pubblicato il 7 marzo, ha scritto che Geraci ha iniziato a vivere in Cina nel 2008. Tra il 2009 e il 2018 è stato professore associato di finanza alla New York University di Shanghai. Dal 2012 al 2018, è stato nominato anche professore associato presso la Nottingham University Business School (Unnc) di Ningbo, una città nella provincia cinese dello Zhejiang. Infine dal 2016 al 2018 ha insegnato finanza presso la Zhejiang University di Huangzhou, capitale dello Zhejiang.

Secondo il profilo accademico di Geraci pubblicato sul sito web della Unnc, il professore è «attualmente in congedo» per via della sua posizione di sottosegretario in Italia.
Geraci ha inoltre tenuto lezioni in molte università sparse in tutta la Cina.

Oltre a essere attivo nei circoli accademici cinesi, il sottosegretario allo Sviluppo Economico è apparso come opinionista nella principale televisione di Stato cinese, la Cctv, a cui ha offerto le sue analisi su questioni legate all’economia; ha inoltre lavorato come editorialista per il quotidiano statale China Daily e per Caixin, una rivista finanziaria, secondo quanto riportato sul sito della Unnc.

L’editoriale pubblicato dal Foglio ha richiamato alla memoria diversi episodi riguardanti la Cina, in cui Geraci ha svolto un ruolo piuttosto importante. A novembre 2018, mentre l’Unione Europea stava finalizzando un programma per monitorare gli investimenti stranieri che rappresentano un rischio per la sicurezza nazionale, Geraci ha, secondo Reuters, contestato pubblicamente la disposizione che richiede ai Paesi europei di condividere le informazioni sugli investimenti stranieri con la Commissione Europea, qualora il Consiglio europeo lo richieda.

Ad ogni modo il sistema di monitoraggio, pensato principalmente per proteggere l’Ue dagli investimenti cinesi, è stato approvato a febbraio. Con l’implementazione di questo ‘programma’ i governi nazionali continueranno a essere liberi di decidere se bloccare o meno gli investimenti stranieri, ma la Commissione Europea potrà richiedere informazioni ed esprimere dei pareri consultivi.

Inoltre a febbraio, mentre il gigante cinese Huawei era sotto l’attenzione dei riflettori internazionali, Geraci ha dichiarato in un intervista con Bloomberg che a suo dire la partecipazione di Huawei alla costruzione dell’infrastruttura italiana per il 5G non rappresenta un problema, poiché l’azienda è solo una delle tante imprese di telecomunicazioni di cui l’Italia può disporre.

Investimenti cinesi

Sebbene resti da vedere se l’Italia firmerà o meno il memoriale d’intesa sulla Nuova Via della Seta, le relazioni economiche con la Cina hanno avuto un’impennata dopo il 2004, quando i due Paesi hanno siglato un comunicato congiunto per annunciare una partnership strategica, a cui ha fatto seguito una visita in Italia dell’allora premier Wen Jiabao.

A giugno del 2014, quando Renzi ha visitato Pechino in veste di presidente del Consiglio, Italia e Cina hanno firmato un piano d’azione triennale (2014-2016) per stringere la collaborazione in materia di agricoltura, aviazione e medicina.

L’ultimo piano d’azione è stato firmato a maggio 2017 (per il triennio 2017-2020), nel quale i due Paesi hanno ribadito l’importanza di un’ interazione tra la Nuova Via della Seta e il sistema dei trasporti italiano, in particolare con i porti dell’Adriatico e del Tirreno, come Trieste e Venezia.

Sembra che gli investimenti cinesi in Italia siano aumentati drasticamente dal 2014, stando ai dati di uno studio pubblicato a dicembre 2017 dalla think tank europea Network on China, un consorzio di istituiti di ricerca sparsi in diversi Paesi europei.
Dal 2016 oltre 260 aziende cinesi hanno investito in circa 450 imprese italiane. Inoltre gli investimenti diretti provenienti dalla Cina sono aumentati vertiginosamente: dai 26 milioni del 2010 ai mille e cento milioni del 2016.
Nel 2015 la China National Tire & Rubber Company, controllata dall’azienda statale ChemChina, ha speso 7 miliardi di euro per acquistare il 16,89 percento della Pirelli, il celebre produttore di pneumatici milanese.
Infine nel 2016 Apm Terminals, una società con sede in Olanda, ha venduto a un azienda cinese rispettivamente il 40 percento e il 9,9 percento delle azioni di due terminal presso il porto di Vado Ligure. L’acquisto è stato operato dalla Cosco Shipping Ports, una società controllata dalla azienda statale cinese Ocean Shipping e dalla Qingdao Port International Development, a sua volta controllata dall’ente statale Qingdao Port Group.

 

Articolo in inglese: Italy’s Intention to Join China’s ‘Belt and Road’ Sparks Concerns

 
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