Iran, nuove sanzioni dagli Usa e l’economia trema

In Iran le cose non vanno molto bene ultimamente: la valuta è crollata, gran parte delle imprese e dei capitali stranieri si sono volatilizzati, molte delle imprese locali stanno andando in bancarotta, e gli iraniani comuni hanno difficoltà a mettere il pane in tavola. E, come se non bastasse, sembra che le cose siano destinate a peggiorare.

Il 5 novembre gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni sul settore delle spedizioni marittime, su quello cantieristico, e sulle transazioni con diverse banche, inclusa la Banca Centrale. Oltre 600, tra individui e aziende, incorreranno in sanzioni finanziarie. E, soprattutto, le sanzioni colpiranno il settore energetico, fatto particolarmente importante dal momento che gran parte dei ricavati delle esportazioni iraniane derivano dal petrolio.

La Casa Bianca ha annunciato il 2 novembre: «Questo sarà il regime di sanzioni più pesante mai imposto all’Iran». Mentre il presidente Donald Trump ha dichiarato: «Gli Stati Uniti hanno lanciato una campagna di pressione economica per negare al regime i fondi di cui necessita per portare avanti la sua sanguinosa agenda».

Trump ha redarguito il regime islamico per il sostegno offerto ai terroristi, per aver fabbricato e diffuso missili balistici, per aver mentito sullo sviluppo delle armi nucleari, e per una serie di altre infrazioni.

Si ricordi che l’8 maggio Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo sul nucleare iraniano e ordinato la reintroduzione di pesanti sanzioni. Di fatto gli Usa avevano imposto sanzioni su settori come quello automobilistico, quello dell’oro e di altri metalli, già dal 6 agosto.

‘Petrolio’

Trump intende portare a zero le esportazioni di petrolio dell’Iran, una prospettiva spaventosa per il regime.

Inizialmente questo obbiettivo doveva essere raggiunto entro il 4 novembre, ma è risultato sempre più chiaro che il mercato non può fare completamente a meno del greggio iraniano, o almeno non cosi rapidamente.

Ad ogni modo, le esportazioni di greggio iraniano sono diminuite di un terzo: dal picco di 2,5 milioni di barili al giorno toccato ad aprile, sino agli 1,6 milioni di ottobre.

Il segratario di Stato americano Mike Pompeo ha annunciato il 2 novembre che otto importatori hanno assicurato che smetteranno presto di acquistare il petrolio iraniano. Non ha fatto i loro nomi, ma li ha chiamati «giurisdizioni», termine che potrebbe includere anche Taiwan, che gli Stati Uniti non riconoscono ufficialmente come una nazione.
In ogni caso, Cina, India, Corea del Sud, Turchia, Italia, Emirati Arabi Uniti e Giappone sono i principali importatori di petrolio iraniano, mentre Taiwan acquista solo occasionalmente delle partite di greggio iraniano.

Il ministro dell’energia della Turchia ha dichiarato ai giornalisti che il suo Paese ha ricevuto il lasciapassare per continuare ad acquistare petrolio iraniano, cosi come l’Iraq, a patto che non paghi l’Iran con dollari americani, secondo quanto dichiarato da tre funzionari iracheni.

Pare inoltre che, secondo le dichiarazioni di una fonte esperta in materia che ha parlato in condizione di anonimato, anche la Corea del Sud e l’India siano sulla lista annunciata da Pompeo, anche se secondo la legge Usa possono essere concesse deroghe fino a 180 giorni.

Per quanto tempo potrà mantenerlo basso?

Trump sta usando le maniere forti per affrontare la questione del petrolio iraniano. Negli scorsi mesi, l’Arabia Saudita, rivale dell’Iran, si è offerta di colmare il buco che lascerebbe l’Iran nel mercato petrolifero con i suoi 2 milioni di barili al giorno di capacità produttiva inutilizzata. Attualmente i sauditi, cosi come gli Emirati Arabi Uniti, si sono già impossessati della fetta di mercato persa dall’Iran, nonostante le lamentele dell’Iran presso l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec).

L’ultima volta che erano state imposte le sanzioni, sotto il presidente Barack Obama nel 2012, l’Iran aveva perso circa tre quinti delle proprie esportazioni di petrolio. Ma, quella volta, tutti e venti i Paesi importatori di greggio iraniano hanno ricevuto esenzioni, rispetto agli otto di Trump.

L’Unione europea ha tentato di mantenere in vita l’Accordo sul nucleare iraniano, e cercato di aggirare le sanzioni degli Usa, ma nonostante gli sforzi dei politici, le aziende potrebbero aver paura di inimicarsi gli Stati Uniti ricorrendo agli inganni.

Il presidente Donald Trump parla alla stampa sul prato sud della Casa Bianca a Washington il 2 novembre 2018. (Holly Kellum/NTD)

Contemporaneamente Trump sta cercando di far scendere il prezzo del petrolio, spingendo l’Opec a immetterne di più sul mercato. Inoltre dal mese scorso sta immettendo sul mercato 1,3 milioni di barili a settimana provenienti dalle riserve strategiche degli Usa, dove il Paese tiene stipati circa 650 milioni di barili per eventuali emergenze. La cosa sta funzionando piuttosto bene, infatti il prezzo del petrolio è calato nelle ultime settimane. Il petrolio Brent è sceso dagli 86 dollari per barile del 3 ottobre ai meno di 73 dollari del primo novembre.

Phil Flynn, analista del Price Futures Group, ha scritto in una relazione del 2 novembre: «Il piano di Trump di far crollare prima il prezzo del petrolio e poi fare alcune concessioni sull’acquisto del petrolio iraniano sembra assolutamente geniale in vista delle elezioni di metà mandato. In questo modo anche se l’Iran vendesse un po’ più di petrolio i ricavi sarebbero comunque sostanzialmente inferiori».

L’abbassamento del prezzo non solo colpisce l’Iran, ma dà un ulteriore spinta alla crescita dell’economia americana, un altro fiore all’occhiello di Trump.

Resta da vedere per quanto tempo Trump potrà tenere il prezzo del petrolio cosi basso. Potrebbe aver guadagnato qualche ‘credito fedeltà’ presso i sauditi, per via della sua contenuta risposta al recente omicidio del giornalista saudita-americano presso l’ambasciata saudita in Turchia. Ma la volontà politica dell’Opec di andare contro l’Iran è controbilanciata dalla sua necessità di ricavare dal petrolio. Inoltre le aziende americane di petrolio di scisto inizierebbero a perdere dei profitti se il prezzo del petrolio rimanesse cosi basso, ha dichiarato Flynn.

Considerando un altro aspetto della questione, pare che in diverse occasioni, dopo l’insediamento di Trump, l’ex segretario di Stato John Kerry, architetto dell’Accordo sul nucleare iraniano, abbia incontrato il ministro degli esteri iraniano, Mohammad Zarif, e gli abbia consigliato di «attendere» le mosse del governo Trump. E, sembra che il regime si stia effettivamente limitando a questo, gettando cosi la propria gente ‘sotto un treno’ in questo processo.

Sentire la pressione

«I prezzi stanno salendo ogni giorno… non posso immaginare cosa accadrà dopo il 13 Aban [4 novembre, ndr]. Ho paura, sono preoccupato, sono disperato» ha dichiarato l’insegnante di scuola elementare Pejman Sarafnejad, 43enne e padre di tre bambini a Tehran.

«Non riesco nemmeno a comprare il riso per sfamare i miei figli o a pagare l’affitto».

Dopo il primo giro di sanzioni ad agosto, i prezzi del pane, dell’olio per cucinare, e di altri alimenti di base sono aumentati.

Il prezzo del riso, uno dei cibi principali della dieta iraniana, è più che triplicato rispetto all’anno scorso a causa del crollo della valuta iraniana, il Rial.
Il proprietario di un negozio di alimentari di Tehran ha dichiarato: «Sono molto nervoso perché c’è già carenza di alcuni prodotti sul mercato, e il rial ha perso molto del suo valore. Cosa succederà dopo l’imposizione delle nuove sanzioni?».

Secondo la stampa iraniana circa il 70 per cento delle piccole fabbriche, imprese e botteghe, hanno già chiuso i battenti negli scorsi mesi a causa della mancanza di materie prime e di una valuta forte.
«Ho dovuto chiudere la mia impresa» ha dichiarato un imprenditore di Tehran che ha preferito rimanere anonimo. «Le aziende europee che l’anno scorso facevano a gara per siglare un contratto con me adesso non rispondono alle mie chiamate».

Le sanzioni Usa non prendono di mira i prodotti di prima necessità come cibo e medicinali, ma il crollo del rial sta rendendo le merci straniere difficilmente acquistabili per gli iraniani medi.

Il rial ha perso circa un quarto del suo valore rispetto al dollaro da quando Trump è stato eletto, in base al tasso di cambio ufficiale, che attualmente si aggira intorno ai 42 mila rial per dollaro.

Tuttavia le imprese private, o i singoli individui, non possono acquistare i dollari al tasso ufficiale, secondo Farsi.Net, e dipendono dal mercato secondario negli uffici di cambio, o dal mercato nero, dove il 4 novembre un dollaro veniva venduto per 130 mila e 500 rial, secondo Rialconverter.com, un sito che monitora le agenzie di cambio di Tehran.

Tuttavia il regime ha ‘coraggiosamente’ dichiarato di non essere preoccupato per le nuove sanzioni, e il 4 novembre ha organizzato manifestazioni durante le quali la gente ha incendiato bandiere americane e fotografie di Trump, cantando ‘morte all’America’.

Manifestanti iraniani bruciano la bandiera degli Stati Uniti in occasione dell’anniversario dell’occupazione dell’ambasciata americana, a Teheran, Iran, 4 novembre 2018. (Tasnim News Agency/Handout via Reuters)

Alcuni esperti iraniani hanno esortato il regime ha immettere sul mercato parte dei dollari che tiene stipati per alleviare la pressione monetaria. Ma ogni dollaro che il regime vende ai suoi cittadini è un dollaro che poi non potrà usare per pagare i suoi gruppi terroristici all’estero. E per adesso sembra che il regime abbia fatto la propria scelta.

Il vero volto

Il regime iraniano ha origine da un cocktail di influenze sovietiche e di dottrine di Sayyid Qutb (padre fondatore dei fratelli mussulmani), che ha unito il socialismo con l’Islam per creare l’esplosivo mix ideologico che si cela dietro molte delle teocrazie totalitarie del mondo mussulmano.

Zuhdi Jasser, presidente dell’American Islamic Forum for Democracy, ha dichiarato in una precedente intervista con Epoch Times, che l’Islam socialista di Qutb ha dato vita all’idea di ‘islamismo’ che ha plasmato il concetto di legge islamica, sharia, ed esortato alla ‘jihad offensiva’, che ha poi alimentato molti movimenti terroristi.

L’Iran ha un governo eletto, ma il vero potere è nelle mani della Guida suprema, l’Ayatollah Khamenei, di una cerchia di ayatollah alle sue dipendenze, e del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, un organo militare ai comandi di Khamenei.

Lo stesso Khamenei controlla l’organizzazione Setad, un fondo speculativo de facto che possiede 95 miliardi di dollari in azioni. Secondo un indagine di Reuters, Setad «ha interessi in quasi tutti i settori dell’economia iraniana, come quelli della finanza, del petrolio, delle telecomunicazioni, della produzione delle pillole per il controllo delle nascite, e persino negli allevamenti di struzzi».

«I suoi profitti non vengono tassati, sono disonesti, e vengono usati per finanziare segretamente il Corpo delle guardie della rivoluzione islamica», ha dichiarato il segretario di Stato Mike Pompeo durante un discorso tenuto il 22 luglio.
Pompeo ha fatto il nome di diversi alti funzionari iraniani, e fornito dettagli sulla loro corruzione. Ha inoltre elencato una pletora di modi con cui il regime conduce la sua «missione di esportazione della rivoluzione [islamica]» all’estero, tra cui il finanziamento e il sostegno materiale dato ai terroristi e alle milizie, come Hezbollah, Hamas, i combattenti Shia in Iraq, e gli Houthis nello Yemen.

L’Iran ha negato di aver offerto sostegno agli Houthis, ma i sauditi hanno raccolto prove che indicano il contrario, tra cui i resti di un missile iraniano lanciato su Riyadh, che secondo i sauditi sarebbe stato sparato dagli Houthis.

Un pessimo accordo

Si riteneva che l’atteggiamento belligerante dell’Iran dovesse scemare in seguito all’Accordo sul nucleare iraniano, chiamato ufficialmente ‘Piano d’azione congiunto globale’.

L’accordo è stato siglato nel 2015 dall’amministrazione Obama insieme a Russia, Cina, Regno Unito, Francia, e Germania. E, posticipava al 2026 la possibilità di costruire armi nucleari da parte dell’Iran in cambio di un attenuamento delle sanzioni.

Obama lo ha promosso come «l’opzione migliore», dipingendo l’immagine di un Iran interessato a «rientrare nella comunità internazionale».

Ma l’Iran è andato proprio nella direzione opposta, annunciando lo scorso anno di voler aumentare la propria spesa militare del 150 per cento nei prossimi cinque anni.

Il bilancio iraniano del 2018 ha aumentato del 40 per cento i finanziamenti al Corpo delle guardie della rivoluzione islamica, ridotto di 5 miliardi finanziamenti e sussidi per la popolazione, e ha aumentato le tasse dell’11 per cento, ha scritto Heshmat Alavi, un attivista iraniano che collabora con Forbes. Ha definito l’Iran un Paese in cui i governanti considerano più importante avere missili balistici piuttosto che far mangiare la propria gente.

Il bastone e la carota

Sebbene l’Iran sostenga il contrario, il governo Trump afferma che il suo obbiettivo è cambiare il comportamento dell’Iran, non il suo regime.

Il presidente Usa ha dichiarato il 2 novembre: «Gli Stati Uniti sono disponibili per trovare un nuovo, più comprensivo accordo con l’Iran che blocchi definitivamente il suo sentiero verso il nucleare, che includa l’intera gamma delle sue attività deviate, e che sia utile per la popolazione iraniana».

Con un approccio simile a quello adottato da Trump con la Corea del Nord, il governo promette l’attenuamento delle sanzioni, il pieno ristabilimento delle relazioni diplomatiche e commerciali con gli Stati Uniti, e la cooperazione economica «quando vedremo che il regime iraniano intende seriamente cambiare il proprio comportamento malvagio», ha dichiarato un funzionario del Dipartimento di Stato Usa a Epoch Times il 3 novembre.

«Gli Stati Uniti si augurano che il regime iraniano rifletta seriamente sulle conseguenze che il suo comportamento sta causando al suo Paese, e specialmente al popolo iraniano, e che scelgano la strada giusta».

Articolo inglese: With Sanctions Snapping In, Trump’s Iran Gambit Switches to Overdrive

 
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