Il «socialismo democratico» condurrà al comunismo?

«Qual è la differenza tra il socialismo democratico e il comunismo? Di solito solo la distanza di tempo, che va dai cinque ai dieci anni!»

In quest’ultimo periodo in cui sono molto popolari Bernie Sanders e Alexandra Ocasio-Cortez, esponenti del Partito Democratico americano che si definiscono esplicitamente «socialisti democratici», questa domanda ricorre spesso. Sembra infatti che molti giovani pensino che il socialismo democratico porti con sé tutte le libertà e il benessere economico di cui si gode oggi in Occidente, e, in più, molte cose gratis. I giovani indottrinati (dai movimenti di sinistra) sono indotti a credere che gli unici cambiamenti che il socialismo potrebbe portare nelle loro vite, siano l’università gratuita, l’assistenza sanitaria gratuita, case popolari, pensione garantita e programmi generosi di sussidi pubblici. A questo riguardo, la Svezia, la Germania e la Norvegia sono esempi di nazioni con una forte previdenza sociale che fungono da modelli da imitare.

Al contrario, i sostenitori dello small government (un governo più snello con poche spese, poche tasse e più liberalismo) risponderanno a queste idee in modo piccato, affermando che la quantità di tasse e regolamentazioni per mantenere un tipo di sistema socialista soffocherà l’innovazione e l’imprenditorialità, strangolerà la crescita e la creazione di posti di lavoro e condurrà la maggior parte della popolazione in povertà, come i fatti attuali in Venezuela stanno mostrando.

Il termine «socialismo democratico» è spesso usato in maniera intercambiabile con «socialismo». I puristi, però, con condiscendenza, spiegano che il più qualificato termine «democratico» distingue il socialismo democratico dal tipo di socialismo tirannico marxista-leninista comunemente noto come comunismo.

Alcuni esponenti della sinistra, specialmente quelli fra le organizzazioni marxiste più grandi d’America, conosciuti come Socialisti Democratici d’America (Democratic Socialists of America, Dsa), diranno che sotto il loro controllo non si arriverà mai al socialismo tirannico, sostengono che rimarranno sempre «democratici» e che la maggior parte delle decisioni verranno prese col voto; promettono che introdurranno una diffusa «democrazia nei luoghi di lavoro», assicurano infine che «non porteranno mai gli Stati Uniti a diventare come la Bulgaria, l’Ungheria, l’ex Unione Sovietica, l’ex Repubblica Democratica Tedesca (dell’est), o Cuba, il Venezuela, la Repubblica Popolare Cinese e la Corea del Nord».

Ma, come spesso si dice, «tutte le nazioni con la parola ‘democratica’ nel nome, non lo sono affatto».

Molti giovani socialisti democratici probabilmente credono sinceramente di star lavorando per la libertà, la prosperità e per una società equa, dove la proprietà è divisa tra pubblico, privato e cooperative. Ammettono la necessità di aumentare le tasse e la legislazione normativa (come la proposta della Ocasio-Cortez di tassare i miliardari con un’aliquota al 70 per cento); tuttavia, a dispetto delle ripetute lezioni della storia, i giovani socialisti non credono che aumentare le tasse e le normative danneggerà l’economia e porterà un enorme numero di persone alla più abietta povertà.

I radicali più duri (e onesti) diranno invece: «Sì, c’è bisogno di più tasse e normative. Sicuramente questo getterà le aziende fuori dal mercato, lo sappiamo», e sembra non se ne facciano affatto un problema; per esempio in un articolo delle pubblicazioni dei democratici di sinistra Democratic Left dell’edizione di primavera del 2007, il membro della commissione politica nazionale di Detroit David Green, ha scritto molto candidamente degli obbiettivi della sua organizzazione: «Quello che distingue i socialisti dagli altri progressisti è la teoria del plusvalore. Secondo Marx il segreto del plusvalore è che i lavoratori creano più valore di quello che ricevono nel salario. Il capitalista si appropria del surplus grazie alla proprietà dei mezzi di produzione, al suo diritto di acquisire la manodopera come merce, al controllo di ogni processo di produzione, e alla proprietà del prodotto finale. Il surplus è la misura dello sfruttamento della manodopera del capitale. Il nostro obbiettivo come socialisti è di abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione».

Si nota che Green non vuole solo abolire «le grandi aziende». Non fa nessuna distinzione tra grandi e piccole, e sostiene esplicitamente la proprietà pubblica di tutti «i mezzi di produzione»: in altre parole il comunismo. Come Karl Marx ha chiaramente scritto nel noto Manifesto del Partito Comunista: «I comunisti possono riassumere la loro teoria nella frase: abolizione della proprietà privata».

Il 27 febbraio 2017 Reuters ha riportato che Green ha partecipato alla convention di primavera del Partito Democratico del Michigan, che non sembrava affatto preoccupato che un socialista di così alto livello fosse tra loro. Durante la convention Green ha detto: «Abbiamo bisogno di un partito che si apra alle forze progressiste, per questo motivo dobbiamo eleggere dei leader progressisti dentro il partito».

Ora, secondo i membri del Partito Democratico d’America (Dsa) e i loro compagni, abolire la proprietà privata verrà fatto «democraticamente». Ci sarà, secondo loro, una votazione nel Congresso per portare via ai loro legittimi proprietari le aziende e le corporazioni multinazionali, le travi dei mulini, le  stazioni ai benzinai e i negozi ai proprietari (così come tutto quanto sia di proprietà privata). Non sarà la furia distruttrice delle folle proletarie ad «espropriare» le aziende o le fattorie private. Tutto sarà fatto in maniera civile. All’inizio andrà tutto molto lentamente, piano piano si pagheranno sempre più tasse e si dovranno seguire sempre più leggi, regolamentazioni, normative e alla fine ci si troverà in una situazione in cui sarà sempre più difficile e oneroso assumere o licenziare un lavoratore. Perciò le piccole aziende, prima di fallire saranno probabilmente costrette a vendersi alle compagnie più grandi, che saranno le uniche in grado di pagare abbastanza contabili e avvocati o di comprare abbastanza funzionari, per tenere il governo a debita distanza.

A un certo punto il bilanciamento tra il socialismo e il comunismo potrebbe arrivare ad un equilibrio temporaneo in cui le grandi aziende coesistono con il «potente Stato»; la Cina degli ultimi trenta anni ne è un esempio tangibile.

In seguito, secondo la teoria della «rivoluzione» che Marx ha elaborato nelle sue opere, i lavoratori («i proletari») prenderanno il controllo dei «mezzi di produzione», e, dopo un periodo di transizione, il governo magicamente scomparirà e si creerà una società senza classi, basata sulla proprietà in comune della ricchezza distribuita «ad ognuno secondo le sua capacità e ad ognuno secondo il suo bisogno».

Sfortunatamente, nessun socialista ha mai spiegato in un modo convincente perché i capi rivoluzionari dopo aver ottenuto il controllo del potere e di tutte le ricchezze, dovrebbero ridarli volontariamente e spontaneamente alle «masse».

In proposito, lo storico e statista britannico Lord Acton, sembra aver capito molto meglio di Marx la natura umana, in un suo famoso detto che dice: «Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe senza alcun dubbio»; una conclusione decisamente più sensata delle irrealizzabili e fantasiose teorie del socialismo e del comunismo di Marx.

Il detto di Acton è giusto sia quando la ricchezza e il potere sono controllati «democraticamente», sia quando lo sono con la più evidente forza bruta, ma gli ingenui giovani marxisti credono che il socialismo democratico porterà al semplice socialismo e alla fine alla realizzazione di una società benevolente, senza classi e senza capi, un’utopia appunto, il cui vero nome è comunismo(socialismo tirannico marxista-leninista).

È importante sottolineare però, che i rivoluzionari più maturi e sofisticati sanno che «il socialismo democratico» e il successivo «socialismo» integrale porteranno alla centralizzazione della ricchezza e del potere in poche mani, cioè proprio quelle dei rivoluzionari. Questo è dove finisce inevitabilmente il sogno del comunismo.

Ci sono tante strade verso la tirannia, e «il socialismo democratico» è la strada più discreta e ingannevole verso il comunismo.

 

Trevor Loudon è autore, regista e oratore pubblico della Nuova Zelanda. Per oltre 30 anni, ha condotto ricerche sui movimenti marxisti, sui radicali di sinistra e sui movimenti terroristi, così come sulla loro influenza segreta nella politica ufficiale.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di The Epoch Times.

Articolo in inglese  Will ‘Democratic Socialism’ Lead to Communism?

Per saperne di più:

 
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