Il coronavirus si propaga nelle carceri cinesi, ma le guardie devono mantenere il silenzio

Di Nicole Hao

Diverse prigioni cinesi hanno confermato casi di coronavirus tra i detenuti e il personale carcerario. Al contempo, dai documenti governativi ottenuti da Epoch Times, si evince che le autorità di una città nello Shandong hanno implementato rigorose misure per costringere il personale carcerario a mantenere il silenzio sul dilagare dell’epidemia nelle prigioni locali.

Il documento interno

Il documento in questione, che riguarda la quarantena delle guardie carcerarie, è stato stilato il 16 febbraio dal dipartimento di polizia del distretto di Shizhong, che fa parte dell’Ufficio di pubblica sicurezza della città di Jining.

Secondo il documento, due prigioni della città avrebbero segnalato la propagazione del coronavirus tra i detenuti e il personale carcerario. Come conseguenza le guardie non contaminate sono state messe in quarantena all’hotel Phoenix Xiyuan di Shizhong.

Il Dipartimento di polizia di Shizhong ha dispiegato 50 poliziotti per isolare l’Hotel, installare telecamere di sorveglianza all’esterno e all’interno dell’edificio, come anche in tutte le camere dell’albergo, e per assicurarsi che nessuno lasci l’hotel.

Le guardie carcerarie cinesi indossano la stessa uniforme della polizia, perciò secondo il documento trapelato è stato richiesto loro di indossare abiti ordinari per evitare «la fuga di foto o video [delle guardie] che potrebbero danneggiare l’immagine della Polizia armata del popolo».

Inoltre, tutto il personale messo in quarantena ha l’obbligo di firmare una lettera d’impegno, con la quale si promette di mantenere il silenzio sull’epidemia e di comunicare ad altri solo ciò che il governo locale ha già annunciato pubblicamente. Ma non finisce qui, i firmatari sono tenuti anche a controllarsi a vicenda e denunciare alle autorità qualsiasi collega diffonda informazioni che si discostano dalle direttive del governo.

Non è chiaro quante siano le persone contagiate o quelle messe in quarantena, ma dal sito ufficiale dell’Hotel Phoenix si evince che la struttura è dotata di 214 camere e di una sala da pranzo da 800 posti.

Il carcere di Rencheng

Il 18 febbraio un informatore ha contattato l’edizione cinese di Epoch Times affermando che il virus si è diffuso anche nella prigione di Rencheng, situata a Jining: «La prigione non ha una gestione adeguata. L’ambiente all’interno è carente. Almeno un centinaio tra prigionieri e guardie carcerarie sono stati infettati. […] I funzionari provinciali sono già qui [per verificare la situazione]».

Alcuni giorni dopo, il 21 febbraio, il direttore della Commissione provinciale per la salute dello Shandong, ha ammesso durante una conferenza stampa che «Al 20 febbraio, [il personale medico] ha effettuato 2 mila e 77 test nella prigione di Rencheng, diagnosticando 207 casi di coronavirus. Sette di loro sono guardie carcerarie, mentre 200 sono prigionieri».

Il direttore della Commissione ha anche affermato che la prima persona risultata infetta era una guardia, che è risultata positiva ai test il 13 febbraio.

Lo stesso giorno, il governo centrale ha annunciato che Xie Weijun, direttore dell’Ufficio per la gestione delle carceri dello Shandong; Li Baoshan, direttore della prigione di Rencheng; e altri sei funzionari del sistema di gestione carceraria provinciale, sono stati licenziati.

 

L’entrata principale della prigione di Rencheng a Jining, nello Shandong, Cina. (ScreenshotRencheng Prison Website)

Altre prigioni a Jining

Il 16 febbraio è trapelato su Twitter un documento ufficiale riservato alle autorità della contea di Yutai e Jining. Per l’esattezza il documento è stato redatto da una ‘squadra speciale’ che è stata istituita nel governo della contea per combattere l’epidemia.

Il documento richiedeva che tutti i detenuti della prigione di Huxi fossero trasferiti in «una destinazione segreta» a causa del coronavirus; non specifica il numero dei detenuti o delle guardie carcerarie infettate, ma afferma che per il trasferimento sono stati predisposti 12 autobus da 45 posti.

Nel frattempo sono emersi segnali che anche la prigione di Luxi, sotto la giurisdizione di Jining, sia stata contagiata dall’epidemia.

Il 19 febbraio un quartiere residenziale nel distretto Taibaihu di Jining ha pubblicato il seguente avviso: «Tutti i residenti che lavorano nella prigione di Luxi, in quella di Rencheng o nella centrale elettrica di Liyan, sono pregati di contattare l’Ufficio di gestione residenziale il prima possibile. Se qualche residente è entrato in contatto con il personale del carcere di Rencheng, è pregato di mettersi in auto-quarantena e riferirlo all’ufficio di gestione residenziale. Se hai la febbre o altri sintomi devi indossare una mascherina, tenerti a distanza dagli altri e recarti il prima possibile nella clinica più vicina».

Questa foto di repertorio mostra i letti di una ‘stanza provvisoria’ all’interno del Centro di detenzione n.1 di Pechino, Cina, il 25 ottobre 2012. (Ed JonesAFP tramite Getty Images)

Altre prigioni cinesi

Il 21 febbraio, il governo provinciale dello Zhejiang ha annunciato che nella prigione di Shilifeng era stato diagnosticato il coronavirus a 34 detenuti.

Nel frattempo, secondo un documento governativo ottenuto dall’edizione cinese di Epoch Times, le autorità della città di Jingmen, nella provincia dello Hubei, avrebbero contato il 14 febbraio almeno 40 casi di infezione tra le guardie e i detenuti della prigione Shayang. Per la precisione Sheyang è un nome generico che viene usato per designare dieci carceri dislocate nella prefettura di Jingmen.

He Ping, direttore nazionale per la gestione delle carceri, ha dichiarato il 21 febbraio che fino al giorno prima nella prigione femminile di Wuhan sono state verificate 230 infezioni. Inoltre ha confermato il dilagare dell’epidemia nella prigione di Shayang, affermando che «sono stati diagnosticati 41 casi nella prigione di Hanjin», una delle strutture dell’apparato Shayang.

Dopo i resoconti di queste carceri, il 22 febbraio le province dello Sichuan e dell’Heilongjiang hanno annunciato che avrebbero implementato la «gestione in tempo di guerra» delle proprie carceri.

Lo stesso giorno, alcuni alti funzionari del Partito comunista cinese hanno visitato personalmente la famigerata prigione di Yancheng, tra loro Guo Shengkun, segretario del Partito della Commissione politica e legale a livello nazionale, un’agenzia che supervisiona l’apparato di sicurezza del Paese, comprese le forze dell’ordine, i tribunali e le prigioni; il ministro della giustizia cinese Fu Zhenghua; e il vice ministro della Pubblica sicurezza Meng Qingfeng.

La prigione di Yancheng che fa capo direttamente al Ministero della giustizia, si trova nella provincia dell’Hebei a circa 32 chilometri da Pechino, ed è il luogo in cui sono reclusi diversi funzionari corrotti di alto profilo, come Gu Kailai, moglie dell’alto funzionario caduto in disgrazia Bo Xilai, che nel 2011 è stata condannata per l’omicidio di Neil Heywood, un uomo d’affari britannico.

Secondo la stampa di regime, mentre parlava con i funzionari della prigione di Yancheng, Guo avrebbe ordinato che tutte le prigioni in Cina siano gestite rigorosamente «come in tempo di guerra».

 

Articolo in inglese: Coronavirus Spreads in Chinese Prisons; Guards Required to Stay Silent

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