Gli eventi che hanno portato all’epidemia di coronavirus in Cina

Quando le autorità cinesi avrebbero potuto dare l’allarme, attuare misure preventive, ed evitare così la perdita di numerose vite?

Di Penny Zhou

Il 20 gennaio è stato probabilmente uno dei giorni più significativi per lo sviluppo dell’epidemia di coronavirus in Cina. Prima di allora gli abitanti di Wuhan non avevano alcun timore del virus, per via delle informazioni rassicuranti diffuse dalle autorità.

Non indossavano mascherine e si recavano come di consueto negli ospedali, che però non mettevano ancora in quarantena i pazienti febbricitanti. Le autorità locali hanno persino organizzato un enorme banchetto dove circa 40 mila persone hanno cenato assieme.

Poco dopo, uno dei maggiori esperti di coronavirus in Cina, Zhong Nanshan, è apparso su un’emittente statale e ha confermato che il virus era effettivamente contagioso. È stato solo in quel momento che il Paese è precipitato nel panico. Le autorità hanno iniziato a varare misure estreme, ma era già troppo tardi per evitare la tragedia.

Mentre il mondo viene bombardato ogni giorno da nuovi e terribili aggiornamenti sullo stato dell’epidemia, Ntd Television vorrebbe riesaminare la serie di eventi che ha preceduto il 20 gennaio, per comprendere sé questa tragedia sanitaria sia stata un incidente che poteva accadere in qualunque Paese, o se invece l’occultamento dell’epidemia e la conseguente emergenza sanitaria siano imputabili, almeno in parte, all’apparato comunista che governa ancora oggi la Cina.

Quando le autorità cinesi avrebbero potuto dare l’allarme, attuare misure preventive, ed evitare così la perdita di numerose vite?

I primi segnali

Sembra che i primi segnali circa l’esistenza di una nuova forma di polmonite virale si siano manifestati in Cina già a partire da metà novembre del 2019.

Il dottor Wei, medico di un ambulatorio di Wuhan, ha dichiarato il 22 gennaio, durante un’intervista telefonica con Ntd: «è passato ormai tanto tempo. Abbiamo lavorato in pessime condizioni di sicurezza per quasi due mesi». Il dottore ha sottolineato che la sua clinica ha assistito a un forte aumento dei pazienti febbricitanti a partire dal mese di novembre.

Uno studio medico pubblicato di recente sembra confermare le affermazioni di Wei.

Commentando l’articolo pubblicato dal Lancet, l’esperto di malattie infettive Daniel Lucey ha dichiarato a Science Magazine che se i nuovi dati fossero accurati, le prime infezioni umane dovrebbero essere avvenute nel novembre 2019, se non prima.

Verso la fine di dicembre infatti stavano già ampiamente circolando nella comunità medica informazioni su una nuova misteriosa epidemia di polmonite virale in Cina. Alcuni medici hanno avvisato familiari e amici di tenersi alla larga dal mercato di frutti di mare di Huanan e di fare attenzione a un virus potenzialmente simile alla Sars.

Tra questi c’era anche il dottor Li Wenliang, che il 30 dicembre ha postato i risultati degli esami di laboratorio condotti su un paziente affetto da coronavirus in un gruppo Wechat (social media cinese) composto da circa 150 medici, scrivendo «sono stati confermati 7 casi di Sars legati al South China Fruit and Seafood Market, e sono stati isolati nel pronto soccorso del nostro ospedale. Per favore chiedete alle vostre famiglie di adottare le dovute precauzioni».

Successivamente diversi dottori hanno rivelato che il personale medico aveva iniziato a contrarre la malattia, un chiaro segno che il virus poteva diffondersi tra gli esseri umani.

Questo fatto avrebbe dovuto mettere in allerta gli esperti sanitari.

E in effetti le autorità sanitarie di Wuhan sono state allertate. Ma invece di aumentare le misure di sicurezza e informare i cittadini, le autorità competenti hanno diramato il 30 dicembre un documento che proibiva a tutti gli istituti medici ed ai singoli individui di diffondere qualsiasi informazioni riguardante la nuova malattia.

A mezzanotte dello stesso giorno, il dottor Li Wenliang è stato convocato dalla polizia che gli ha chiesto per quale motivo stesse diffondendo dicerie online. Qualche giorno dopo, è stato chiesto al Dr. Li di firmare un documento che recitava: «Vogliamo che collabori con la polizia e che ascolti il nostro suggerimento di farla finita con le azioni illegali. Puoi farlo?».

Il dottor Li ha quindi scritto: «Posso».

Alla fine il medico 34enne è morto a causa del Covid-19 il 7 febbraio 2020.

Foto scattata durante una veglia di lutto in onore del dottor Li Wenliang a Hong Kong, il 7 febbraio 2020. (Anthony Kwan/Getty Images)

L’annuncio pubblico

Il 31 dicembre, la commissione sanitaria di Wuhan ha finalmente pubblicato un annuncio riguardante l’epidemia sul suo sito web. Ha confermato 27 casi di infezione ma ha dichiarato che nulla indicava che la malattia fosse trasmissibile tra gli esseri umani.

Tuttavia, secondo un documento di ricerca scritto da funzionari cinesi che è stato pubblicato solo in seguito, le persone infette da coronavirus erano almeno 105 alla fine del 2019, e il virus aveva già causato la morte di almeno 15 persone.

Un articolo del media Caixin ha inoltre rivelato che un importante ospedale di Wuhan, lo Xiehe Hospital, era stato costretto a trasformare un intero piano della struttura in «spazio di quarantena per malattie contagiose» già nel mese di dicembre.

Nel frattempo, ignorando il potenziale pericolo, gli abitanti di Wuhan hanno continuato a recarsi nel luogo che era stato individuato come la fonte originale dell’epidemia. Un giornalista cinese ha infatti testimoniato che il 31 dicembre il mercato dei frutti di mare stava operando come di consueto. Nessuna delle persone con cui il giornalista ha parlato sapeva nulla della polmonite virale e nessuno indossava maschere.

Ma, mentre i comuni cittadini di Wuhan hanno continuato a vivere spensieratamente, quelli con migliori fonti di informazione avevano già iniziato ad adottare un approccio completamente diverso.

Secondo un documento interno, un’università affiliata all’esercito di Wuhan ha iniziato un isolamento de facto a partire dal 2 gennaio. Il documento richiedeva un «controllo rigoroso» per chiunque entrasse nel campus. I visitatori dovevano sottoporsi al controllo della febbre, e alle persone la cui temperatura corporea superava i 37,5 gradi non doveva essere consentito l’accesso.

Il governo di Hong Kong ha implementato il 4 gennaio un «serio livello di allerta» a fronte della crescita dell’epidemia, quasi 20 giorni prima che la città di Wuhan venisse isolata.

Il 6 gennaio, il centro per il controllo delle malattie di Shanghai ha acquisito la completa sequenza genetica del nuovo virus. E i ricercatori hanno scoperto una somiglianza dell’89 per cento tra il nuovo virus e il letale virus della Sars che ha causato una allerta pandemia nel 2003.

Le informazioni sono state prontamente inviate al Cdc nazionale cinese in un documento interno, e il centro ha raccomandato alle autorità cinesi di implementare misure preventive in tutti i luoghi pubblici.

L’occultamento delle informazioni

Tuttavia, da quel momento è iniziato un periodo estremamente tranquillo per il coronavirus. Dal 6 al 17 gennaio le autorità di Wuhan hanno infatti segnalato quasi zero nuovi casi di infezione.

La quiete ha rassicurato il popolo cinese; la misteriosa polmonite non sembrava essere una malattia contagiosa.

Ma in effetti sembra proprio che sia stata un’altra la ragione dietro la quiete. Proprio in quegli 11 giorni le autorità di Wuhan e della provincia dello Hubei hanno tenuto i loro più importanti incontri politici annuali. Oltre 2 mila ‘rappresentanti del popolo’ si sono riuniti per discutere dei «grandiosi risultati del 2019» e di come il 2020 sarebbe stato «un anno eccezionale e promettente».

Il virus? E’ stato a malapena menzionato.

Durante un’intervista con il media di Hong Kong Initium, un professore di sociologia all’Università di Stanford, Zhou Xueguang, ha dichiarato di non essere sorpreso dalla reazione del governo di Wuhan. Ha spiegato che minimizzare gli incidenti negativi, soprattutto durante i grandi eventi politici, è il meccanismo abituale del governo cinese: «Il problema è che la conseguenza di questa abitudine è stata disastrosa in questa occasione; qualcosa che neanche i funzionari si aspettavano».

Nel frattempo, la situazione reale stava peggiorando quotidianamente.

Secondo una richiesta di aiuto pubblicata sul social media cinese Weibo, il padre di una persona aveva ricevuto la conferma di essere affetto da una forma di polmonite virale, ma l’ospedale Xiehe di Wuhan si era rifiutato di ricoverare suo padre a causa della carenza di posti letto nell’ospedale.

Un altro utente ha scritto che tutta la sua famiglia era stata contagiata. Si sono recati all’ospedale Tongji di Wuhan e hanno visto che «c’erano così tanti pazienti che alcuni hanno dovuto sdraiarsi sul pavimento del corridoio». Anche suo padre è stato rispedito a casa in auto quarantena perché non c’erano abbastanza letti in ospedale.

Il post è stato successivamente cancellato. Così come tutti gli altri post dell’account dell’utente.

Questo è avvenuto nella settimana in cui le autorità di Wuhan non hanno segnalato neanche un solo nuovo caso confermato o sospetto.

Incentivare la diffusione

Tutto sembrava sotto controllo. Il 17 gennaio, l’ufficio del turismo di Wuhan ha addirittura emesso oltre 200 mila biglietti turistici gratuiti. È stato uno sforzo per invogliare la gente a visitare la città, in modo che potessero sperimentare «lo stile cinese e i caldi sentimenti di Wuhan».

Il regime cinese non solo stava reprimendo le ‘voci’ negative, ma ha anche lavorato duramente per impedire che le informazioni uscissero dalla Cina continentale.

Il 14 gennaio, un gruppo di giornalisti di Hong Kong hanno accompagnato alcuni esperti di Hong Kong invitati a condurre ricerche sulla nuova epidemia. Tuttavia, i giornalisti sono stati trattenuti dalla polizia cinese, che ha fotografato i loro documenti d’identità e ha chiesto loro di cancellare tutte le riprese effettuate all’interno degli ospedali.

Peraltro si stima che tra il 12 e il 16 gennaio oltre 3 milioni di passeggeri abbiano lasciato Wuhan in treno, per visitare altre città della Cina.

Mentre il 18 gennaio, le autorità di Baibuting, un popoloso quartiere di Wuhan, hanno tenuto un banchetto annuale per celebrare la festa del Capodanno lunare. In realtà, tre giorni prima dell’evento, il personale del comitato di quartiere, preoccupato per l’epidemia, aveva chiesto la cancellazione del banchetto. Ma i funzionari del quartiere hanno rifiutato di accogliere la loro richiesta.

Alla fine, oltre 40 mila famiglie hanno partecipato al banchetto.

I residenti di Wuhan che hanno seguito in buona fede la direttiva governativa di «non credere alle teorie del complotto» avevano la seguente visione del coronavirus:
Primo, non ci sono infezioni tra il personale medico; secondo, non ci sono prove che la malattia sia contagiosa; terzo, l’epidemia è prevenibile e controllabile.

Ma il 20 gennaio, per la prima volta in assoluto, un esperto cinese ha dichiarato in televisione che era stata accertata la trasmissibilità del virus da uomo a uomo. Da quel momento il numero delle persone infette è esploso. Tre giorni dopo, l’intera città di Wuhan è stata posta in isolamento, impattando di fatto la vita di oltre 50 milioni di persone.

 

Articolo in inglese: A Timeline of Events Leading Up to the Coronavirus Outbreak in China

Per saperne di più:

 
Articoli correlati