Scandalo all’Onu, l’organizzazione comunica i nomi dei dissidenti al Pcc

Di Alex Newman

I funzionari umanitari dell’Onu hanno comunicato al regime comunista di Pechino i nomi dei dissidenti cinesi che si apprestavano a testimoniare gli abusi del Partito Comunista Cinese difronte alle Nazioni Unite di Ginevra. Il fatto è stato ora dimostrato – nonostante le precedenti smentite dell’Onu – da una serie di email trapelate dall’interno dell’organizzazione.

Di fatto, i documenti trapelati mostrano che la pratica di trasmettere i nomi dei dissidenti cinesi al regime era considerata una «pratica abituale» dalle parti coinvolte. E l’informatore ha dichiarato all’edizione americana di Epoch Times che tale prassi è rimasta in vigore sino ad oggi, nonostante le Nazioni Unite lo abbiano negato per anni.

Le autorità della Cina comunista hanno poi usato i nomi ricevuti dall’Onu per impedire ai dissidenti di lasciare la Cina. Inoltre, almeno un dissidente identificato dall’Onu e arrestato dal Pcc prima che potesse partire per Ginevra, Cao Shunli, è morto durante la detenzione.

Quando un dissidente che avrebbe messo in imbarazzo Pechino difronte alle Nazioni Unite era già all’estero, invece, il Pcc optava per le minacce o persino il rapimento e la tortura dei suoi familiari. Questo è quanto dichiarato dall’insider dell’Onu, Emma Reilly, che è stata la prima a farsi avanti per denunciare lo scandalo.

I nomi consegnati dall’Onu includevano attivisti cinesi preoccupati per il Tibet, Hong Kong e per la minoranza islamica uigura, tutti nel mirino del Pcc per vari motivi.

Nel febbraio del 2020, Epoch Times ha documentato lo scandalo e le ritorsioni subite dalla Reilly dopo aver tentato di denunciare e fermare questa pratica. Nel frattempo, il caso della Reilly all’Onu è ancora in corso: rimane una dipendente delle Nazioni Unite ma è sotto «indagine».

Intervistata da Epoch Times, la Reilly ha descritto la prassi come «criminale» e ha anche sostenuto che ha reso l’Onu «complice di un genocidio».

Dal canto suo, l’Onu ha negato per anni che i suoi funzionari stessero fornendo i nomi dei dissidenti al Pcc. Ma grazie alle e-mail recentemente trapelate, è ora chiaro che l’Onu ha ingannato gli Stati membri e la stampa riguardo questo scandalo.

Una delle email esplosive in questione è stata inviata il 7 settembre 2012 da un diplomatico della missione del Pcc presso l’Onu di Ginevra, che chiedeva informazioni sui dissidenti cinesi che avrebbero testimoniato davanti al Consiglio dei diritti umani (Cdu) delle Nazioni Unite.

«Seguendo la solita prassi, potreste gentilmente aiutarmi a verificare se le persone della lista allegata stanno richiedendo l’accreditamento alla 21esima sessione del Cdu?», ha chiesto il diplomatico del Pcc in una e-mail inviata a un responsabile delle Nazioni Unite per le organizzazioni non governative. Per poi aggiungere: «La mia delegazione ha qualche preoccupazione di sicurezza su queste persone».

Il funzionario dell’Onu, il cui nome è stato cancellato dall’e-mail trapelata, ha risposto confermando che due dei dissidenti sulla lista del Pcc erano in effetti accreditati ed era prevista la loro partecipazione.

«Come da vostra richiesta, vi informiamo che Dolkun Isa e He Geng sono stati accreditati dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito per la 21esima sessione del Consiglio dei Diritti Umani», ha confermato il funzionario delle Nazioni Unite al rappresentante del regime, senza alcuna apparente preoccupazione per la sicurezza dei dissidenti o delle loro famiglie ancora in Cina.

Isa è il presidente del Congresso Mondiale degli Uiguri, che si batte per conto della popolazione uigura della regione dello Xinjiang, nella Cina occidentale, che è brutalmente perseguitata dal Pcc.

Numerose fonti ufficiali in tutto il mondo affermano che il regime tiene più di un milione di uiguri in campi di ‘rieducazione’. Gli ex detenuti che hanno parlato con Epoch Times hanno raccontato di essere stati violentati, torturati, sottoposti a lavaggio del cervello e maltrattati barbaramente.

Isa è anche vicepresidente dell’Organizzazione delle Nazioni e dei Popoli Non Rappresentati (Unpo), che si propone come una voce in favore delle nazioni e dei gruppi di persone prive della rappresentanza di uno Stato-nazione.

L’anno dopo quella e-mail, su richiesta della delegazione del regime, la sicurezza dell’Onu ha tentato di allontanare Isa dalla sala del Consiglio dei Diritti Umani. Tuttavia, Reilly – e solo Reilly – è intervenuta e ha impedito la sua cacciata.

L’altro dissidente nominato dall’Onu nella sua e-mail alla missione del Pcc, Geng He, è la moglie dell’imprigionato avvocato cinese per i diritti umani Gao Zhisheng, un cristiano che ha scritto un libro sulle gravi torture a cui è stato sottoposto dal Pcc per il suo lavoro e per le sue convinzioni.
Una delle ragioni della brutale tortura di Gao era proprio il fatto che sua moglie stava parlando all’Onu, cosa rivelata in anticipo al Pcc dai funzionari dell’Onu, in quella email.

Un’altra email trapelata, questa del 2013, mostra lo stesso diplomatico del Pcc che cerca di confermare le identità dei dissidenti cinesi attesi al Consiglio dei diritti umani per denunciare gli abusi del Pcc. «La missione cinese ha avuto un’ottima cooperazione con lei e la sua sezione nelle sessioni precedenti», ha scritto il diplomatico del Pcc al funzionario delle Nazioni Unite nell’e-mail ottenuta da Epoch Times e altri media. «Lo apprezziamo molto».

«Questa volta, ho bisogno che lei mi faccia di nuovo un favore – ha continuato il diplomatico del Pcc – Alcuni secessionisti contro il governo cinese stanno cercando di partecipare alla sessione del Cdu sotto le mentite spoglie di altre Ong. Potrebbero rappresentare una minaccia per le Nazioni Unite e la delegazione cinese. Potreste controllare e informarmi se le persone che elenco qui sotto hanno ottenuto l’accreditamento per la 22a sessione del Consiglio dei diritti umani? Se avete qualche informazione, vi prego di contattarmi via e-mail o al [numero cancellato, ndr]».

Tra i nomi della lista c’era anche questa volta Dolkun Isa.

Secondo Isa, gli agenti del Pcc si sono presentati a casa sua all’estero per convincerla a smettere di parlare. Gli agenti del Pcc hanno anche arrestato la sua famiglia in Cina, compresa sua madre, che è morta in un campo di concentramento cinese nel 2018. Anche suo fratello maggiore è stato arrestato. Mentre suo fratello minore è scomparso dal 2016. E i media del Pcc hanno riferito che anche il padre di Isa è morto, anche se Isa non sa né quando né dove.

L’edizione americana di Epoch Times ha tentato di contattare il diplomatico del Pcc al numero di cellulare svizzero presente nell’e-mail, ma non ha ottenuto alcuna risposta.

Ad ogni modo, i funzionari delle Nazioni Unite per i diritti umani hanno risposto all’e-mail della missione del Pcc con i nomi di quattro attivisti che avrebbero dovuto partecipare al Consiglio per i diritti umani.

Epoch Times sta evitando di citare i nomi degli attivisti non ancora di dominio pubblico per tutelare la loro sicurezza e privacy.

Dal canto suo, la Reilly è apparsa furiosa e inorridita allo stesso tempo durante un’intervista con Epoch Times in videoconferenza da Ginevra: «Questa è una pratica orribile, ma se l’Onu ha intenzione di farlo, almeno devono dichiararlo pubblicamente, in modo che le persone sappiano il pericolo che corrono. Si tratta di standard basilari di decenza e di umanità: non mettere segretamente in pericolo queste persone. È troppo da chiedere?».

Le e-mail rivelano che sin dal principio la Reilly si è opposta alla comunicazione dei nomi dei dissidenti al Pcc. E che sosteneva invece la necessita di informare le persone prese di mira.

Tuttavia, il capo del ramo del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, Eric Tistounet, ha sostenuto che la lista dei nomi fosse di dominio pubblico e che le richieste del Pcc non potevano quindi essere respinte.

Di fatto, Tistounet ha suggerito di agire il più rapidamente possibile per evitare di «esacerbare la sfiducia cinese», come mostrano le e-mail. A tal proposito, la Reilly si è chiesta retoricamente da «quando [non esacerbare la sfiducia cinese, ndt] è diventato parte delle considerazioni da fare?».

La notizia delle e-mail che confermano che l’Onu consegnava i nomi dei dissidenti cinesi al loro carnefice, è stata trattata come un grande scoop dalla stampa turca. Mentre in Europa e negli Stati Uniti, lo scandalo è stato a malapena menzionato dalla stampa.

Nelle sue dichiarazioni a Epoch Times, la Reilly ha esortato i giornalisti di tutto il mondo ad esaminare i documenti, le trascrizioni dei casi giudiziari interni all’Onu e altre prove, per verificare chi stesse dicendo la verità, e poi raccontare questa verità in modo che la gente del mondo possa vedere cosa sta accadendo.

La donna ha anche sottolineato l’esistenza di un problema sistemico dell’Onu: «Il problema dell’Onu è che non ci sono adulti nella stanza e non c’è una supervisione esterna», ha dichiarato, citando altri esempi di informatori che sono stati perseguitati per aver cercato di fare la cosa giusta. «A meno che gli Stati membri non agiscano, questo continuerà».

La Reilly ha anche espresso profonda preoccupazione per la stretta relazione tra gli agenti del Pcc e gli alti funzionari del sistema dei diritti umani dell’Onu incaricati di difendere i diritti umani nel mondo.

Per anni, gli alti funzionari dell’Onu hanno tentato di ingannare gli Stati membri delle Nazioni Unite, la stampa e l’opinione pubblica sullo scandalo della condivisione dei nominativi, ha dichiarato la Reilly.

Tra il 2013 e il 2017, l’Onu ha ripetutamente sostenuto che questa pratica non fosse in corso. Molto più tardi, nel gennaio del 2021, un portavoce delle Nazioni Unite ha dichiarato all’agenzia Anadolu che la pratica era stata interrotta «dal 2015».

Tuttavia, in un comunicato stampa del 2 febbraio 2017, volto a placare le crescenti critiche, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr) ha ammesso che l’organizzazione stava effettivamente confermando ai governi le identità degli individui accreditati per partecipare agli eventi sui diritti umani.

«Le autorità cinesi, e altri, chiedono regolarmente all’Ufficio dei diritti umani delle Nazioni Unite, diversi giorni o settimane prima delle riunioni del Consiglio dei diritti umani, se particolari delegati [di organizzazioni non governative, ndr] parteciperanno alla prossima sessione – ha dichiarato l’Ohchr delle Nazioni Unite – L’Ufficio non conferma mai queste informazioni finché il processo di accreditamento non è formalmente in corso, e finché non è sicuro che non ci siano rischi evidenti per la sicurezza».

Dal canto suo, la Reilly ha dichiarato di essere scioccata dal linguaggio usato nel comunicato, e ha aggiunto che «gli unici controlli di sicurezza che vengono fatti sono quelli fatti dai diplomatici cinesi». Di fatto, le trascrizioni del suo caso mostrano che la Reilly ha sfidato l’Onu a presentare una qualsiasi prova dei suoi presunti controlli di «sicurezza» effettuati prima di consegnare i nomi. Ma nessuna prova è stata fornita. «Si trattava solo di sapere se queste persone avrebbero causato problemi ai diplomatici cinesi all’Onu – ha precisato – Non aveva nulla a che fare con la sicurezza di nessuno».

Questa è una grave violazione delle regole dell’Onu, ha aggiunto la Reilly, osservato che se i governi vogliono sapere chi partecipa, dovrebbero chiederlo all’assemblea plenaria, di fronte agli altri Stati membri dell’Onu.

Nonostante il crescente scandalo che circonda la vicenda e le ritorsioni dell’Onu contro l’informatore che l’ha denunciata, la Reilly ha dichiarato a Epoch Times che la pratica di consegnare i nomi dei dissidenti al Pcc continua ancora oggi: «Ora è diventata la mia missione personale e la mia responsabilità impedire questa complicità delle Nazioni Unite nel genocidio».

I documenti ottenuti da Epoch Times rivelano che alcuni dei funzionari di più alto rango all’interno del sistema delle Nazioni Unite sono stati coinvolti in uno sforzo per mettere a tacere, screditare e vendicarsi contro la Reilly per i suoi sforzi.

L’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani non ha risposto alle richieste di commento sulle e-mail trapelate o più in generale sullo scandalo dei nominativi.

All’inizio del 2020, l’Ohchr delle Nazioni Unite ha rifiutato di rilasciare commenti a Epoch Times, citando una causa in corso. Tuttavia, la Reilly ha confermato a Epoch Times questa settimana di aver dato loro il pieno permesso di commentare il caso ai media.

Anche i vari portavoce del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, hanno rifiutato di commentare la vicenda.

 

Articolo in inglese: Leaked Emails Confirm UN Gave Names of Dissidents to CCP

 
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