Cina, sale la paura della seconda ondata tra l’incongruenza dei dati ufficiali

Di Eva Fu

Milioni di cittadini cinesi potrebbero presto essere sottoposti a un nuovo lockdown totale; la grande discrepanza tra i dati ufficiali e il reale aumento dei casi di Covid-19 nella Cina settentrionale indica, infatti, che si sta già verificando una seconda ondata del virus del Pcc.

Il regime cinese ha già dichiarato lo «stato di guerra» in almeno due città, compresa la capitale Pechino, dove le autorità hanno recentemente segnalato decine di pazienti febbricitanti, insistendo però che non si tratti di Covid-19, ma di semplici infezioni batteriche.

Nondimeno, le autorità nel nord-est hanno messo in quarantena circa 8 mila persone che avevano avuto contatti con i nuovi positivi, mentre sei funzionari locali sono stati licenziati per non essere riusciti a contenere l’epidemia.

Nel frattempo a Wuhan, a seguito di nuovi casi, le autorità hanno ordinato di eseguire test diagnostici su tutti gli 11 milioni di residenti. Il dato preoccupante è che la città ha dimesso il lockdown solo alcune settimane fa, affermando che il virus era stato contenuto con successo.

Mentre il regime cinese continua a respingere le critiche internazionali per la gestione della crisi e descrive il suo sistema socialista come modello di riferimento per il contenimento dell’epidemia, le recenti e caotiche scene registrate nei siti dove si effettuano i test diagnostici e il costante insabbiamento dell’epidemia non possono che accrescere i dubbi sui dati ufficiali che escono dalla Cina.

La signora Yang, una piccola imprenditrice della città nordorientale di Jilin, ha spiegato a Epoch Times: «Non riportano nulla, non lo sapete? Rivelare le vere cifre causerebbe il panico. Ora sappiamo quanto sia seria la cosa perché sta succedendo proprio vicino a noi».

Discrepanze

Da quando il virus si è diffuso per la prima volta in Cina, i numeri contrastanti segnalati dalle autorità cinesi hanno confuso i ricercatori internazionali e i cittadini cinesi. In effetti, diversi documenti governativi ottenuti da Epoch Times hanno rivelato che le autorità locali segnalano sistematicamente meno infezioni di quante ne rilevano.

Un agente di polizia paramilitare sorveglia una stazione della linea uno della metropolitana che passa davanti alla Sala Grande del Popolo, sede del prossimo Congresso Nazionale del Popolo (Npc) a Pechino, Cina 19 maggio 2020. (Thomas Peter/Reuters)
Un agente di polizia paramilitare sorveglia una stazione della metropolitana che passa sotto la Grande Sala del Popolo, sede del prossimo Congresso Nazionale del Popolo, Pechino, Cina 19 maggio 2020. (Thomas Peter/Reuters)

La scarsa attendibilità dei dati ufficiali si è manifestata nuovamente il 18 maggio, quando i funzionari sanitari della provincia dello Jilin hanno segnalato cinque nuovi casi, mentre la Commissione sanitaria nazionale del Paese ne ha segnalati solo due nella regione. Le autorità dello Jilin hanno poi ridimensionato i loro numeri in un aggiornamento, dicendo che gli altri tre erano emersi dopo la mezzanotte del 18 maggio, e così sono stati inseriti nel conteggio del giorno successivo.

Lo stesso giorno, Shanghai non ha registrato nuovi casi, contraddicendo il rapporto della Commissione Sanitaria Nazionale che indicava una nuova infezione nella municipalità. In questo caso il governo non ha dato alcuna spiegazione per l’incoerenza dei dati.

Quando a Wuhan sono stati trovate sei persone positive, dopo oltre un mese che le autorità non riportavano alcun nuovo caso, il governo ha licenziato rapidamente un funzionario del Partito locale. Di fatto, la mancanza di trasparenza delle autorità sull’epidemia ha reso difficile comprenderne la vera portata del contagio in Cina.

Ge Bidong, un opinionista politico californiano, ha dichiarato «Sembra come se il virus segua i loro ordini. C’è un divario così grande tra i loro dati e l’infezione, come anche nel numero dei morti rispetto al resto del mondo negli ultimi tre mesi. Come si fa a credergli?»

In un’intervista alla Cnn del 16 maggio, Zhong Nanshan, un esperto pneumologo cinese salito alla ribalta durante questa epidemia, ha messo in guardia dalle gravi sfide che attendono la popolazione: «La maggior parte dei … cinesi al momento sono ancora vulnerabili all’infezione da Covid-19, a causa della mancanza di immunità. Stiamo affrontando una grande sfida che in questo momento non è meglio dei paesi stranieri».

Il 13 maggio 2020 la polizia ha chiuso la stazione ferroviaria della città di Jilin, in Cina. (STRAFP tramite Getty Images)

Cina settentrionale

Nella Cina settentrionale, le autorità hanno recentemente segnalato una catena di contagi avviata da una donna delle pulizie di 45 anni, residente nella città di Shulan, un piccolo comune sotto l’amministrazione della città di Jilin. Attraverso i suoi spostamenti in città e le sue interazioni, la donna delle pulizie, che lavora presso l’ufficio di polizia locale, avrebbe diffuso rapidamente il virus, che si è poi propagato anche in altre città.

In seguito Shulan ha dichiarato lo «stato di guerra» e ha posto in isolamento le aree residenziali, permettendo a una sola persona per ogni famiglia di uscire una volta ogni due giorni per gli acquisti essenziali. Ogni uscita non deve durare più di due ore. Attualmente oltre 1.100 complessi residenziali, 1.200 villaggi e nove comunità di quartiere sono completamente isolati per prevenire la diffusione del contagi.

Un residente di un complesso residenziale posto in stato di isolamento, nel distretto Changyi di Jilin, ha riferito che quasi 100 poliziotti sono venuti ad apporre i sigilli su ogni porta di ciascun appartamento, per impedire alla gente di lasciare la propria casa.

In un’intervista, un assistente sociale che ha chiesto di rimanere anonimo ha spiegato che le misure d’isolamento pesano sulla gente del posto che sta lottando per sopravvivere: «Non si può andare da nessuna parte. Non c’è nessuno per strada. Non c’è anima viva intorno al mio condominio».

Il signor Li, proprietario di un supermercato nel quartiere Fengman della città di Jilin, una delle due aree designate «ad alto rischio» dalle autorità, oltre alla città di Shulan, ha posto delle barriere intorno all’ingresso per ridurre al minimo il contatto con i clienti. «Ditemi solo cosa volete, ve lo porterò [fuori, ndr]». Anche un dipendente di un supermercato di Shulan ha spiegato che ormai prende gli ordini della gente e porta la merce fuori dal negozio, affinché i clienti la ritirino.

Il signor Lü che lavora al First Hospital of China Medical University Shenyang nella vicina provincia dello Liaoning, ha spiegato a Epoch Times che «loro [il governo, ndr] dicono che ci sono uno o due casi… che non è grave, ma il modo in cui lo stanno gestendo è al contrario decisamente rigoroso».

Le paure hanno anche alimentato la discriminazione verso la gente di Shulan. La signora Zhang, che abita a Shulan, ha detto a Epoch Times che «Nessun taxi ti prende se sa che sei di Shulan. Non vogliono avere contatti con la gente di Shulan».

Durante un’intervista con l’emittente televisiva statale Cctv del 19 maggio, Qiu Haibo, un esperto della Commissione sanitaria nazionale, ha specificato che i pazienti nei focolai nel nord-est della Cina sembrano essere stati portatori per periodi più lunghi rispetto ai casi di Wuhan, e anche che stanno impiegando più tempo per guarire.

I discutibili test di massa

I residenti sottoposti a test di massa a Wuhan si sono lamentati delle procedure approssimative che potrebbero rendere inutile il test e anzi creare nuovi rischi per la sicurezza.

In un recente video girato all’interno del complesso residenziale Shengshi Dongfang, diverse persone affermano che i propri tamponi salivari sono stati gettati alla rinfusa, senza etichetta, nella stessa scatola insieme a decine di altri tamponi. Secondo i residenti, gli operatori sanitari erano visibilmente mal-equipaggiati, visto che si sono presentati con circa 600 kit diagnostici per circa 6 mila residenti.

Nel video in questione si può udire una donna che grida: «Cosa pensate di stare facendo qui? Non si capisce nemmeno a chi appartienga il campione, quindi a che serve farlo?»

Un operatore sanitario preleva un campione salivare da un impiegato della fabbrica di monitor per computer Aoc di Wuhan, Hubei, il 15 maggio 2020. (STRAFP tramite Getty Images)

Il signor Li, che vive in un altro complesso residenziali a Wuhan, dove il test è stato eseguito edificio per edificio, accusa le autorità di aver tratto profitto dall’operazione, poiché i test sono costati circa 260 yuan (33 euro) per persona.

Il signor Wang, un altro residente di Wuhan, ha riferito che tutta la sua famiglia si è rifiutata di fare il test: «Ci trattano come cavie». Ogni volta che gli agenti locali gli hanno fatto pressione per eseguire il test, lui li ha interrogati sulla validità del test e ha detto: «Se non è preciso, non lo farò».

 

Lo sapevi che siamo indipendenti?

Epoch Times è indipendente da qualsiasi influenza da parte di società, governi o partiti politici. Il nostro unico obiettivo è di fornire ai nostri lettori informazioni accurate e di essere responsabili nei confronti del pubblico.

Articolo in inglese: Fears Mount Over 2nd Outbreak Amid Inconsistencies in Chinese Data

 
Articoli correlati