Che Paese è la Cina?

La Cina che molti conoscono come il Paese dalla cultura e delle tradizioni millenarie e, più recentemente, come il Paese dalle enormi ricchezze con cui bisogna assolutamente fare affari, è ormai da quasi settant’anni dominata dal Partito Comunista Cinese, in un regime dove la libertà politica, di parola, di stampa e di religione sono assenti.

Prima della proclamazione ufficiale della Repubblica Popolare Cinese nel 1949, a dispetto delle sue pompose autoesaltazioni, il Partito Comunista Cinese degli anni ’30 e ‘40 non era altro che uno sparuto gruppo di rivoltosi, che è riuscito ad affermarsi e a conquistare il potere grazie ai finanziamenti, agli armamenti e agli strateghi inviati dalla ‘sorella maggiore’ Russia, che già aveva consolidato il suo potente regime e voleva espandere la propria presenza in Asia.

Prima della sua famosa Lunga Marcia, Mao, per sfuggire al Kuomintang (il partito nazionalista di cui aveva fatto parte all’inizio e che poi aveva tradito) si era rifugiato nelle grotte della contea di Ninggang dove condivideva gli ‘usi e costumi’ delle bande fuorilegge locali, ovvero quelli del saccheggio, dello sfruttamento e del terrore nelle aree circostanti (nei sui diari descrive il piacere perverso che provava nel torturare le persone e piegarle alla sua volontà). Sfruttando sia l’indebolimento di Chiang Kai-shek e del Kuomintang che era impegnato a combattere l’invasione del Giappone, che le difficoltà politiche che avrebbero portato alla guerra di Corea, il Pcc nel 1949 ha preso il potere e da questa data in poi si è verificato un susseguirsi di campagne politiche che avevano lo scopo di rafforzare sempre più il sistema monopartitico e il controllo sul pensiero della popolazione.

Alcune di queste campagne sono state, nel 1952, la «campagna dei 3-anti» e poi  «dei 5-anti», volta a togliere i beni e il potere ai capitalisti; nel 1955 «la campagna per scovare i controrivoluzionari nascosti», e l’avvio della «nazionalizzazione» cioè in concreto l’esproprio di ogni proprietà privata, da quella del piccolo contadino a quelle dell‘industriale; nel 1956 «la campagna dei Cento fiori», volta a scovare gli intellettuali ancora esistenti non allineati con il pensiero del Partito; nel 1957 «la campagna contro gli elementi di destra»; nel 1958 e fino al 1962, il Grande balzo in avanti, ovvero l’utopistico progetto di Mao volto a portare in pochi anni la Cina, che fino ad allora era un Paese prevalentemente agricolo, alla stregua delle grandi potenze industriali degli Stati Uniti e della Gran Bretagna (la comprensione alquanto limitata delle condizioni del territorio, oltre che un’incompetente, spietata e cieca politica nei confronti della popolazione, hanno portato alla morte di 30-40 milioni di cinesi nel contesto di questa sola campagna); nel 1959, ancora, «la campagna per catturare gli opportunisti di destra»; nel 1966 -76 la Rivoluzione Culturale, che ha fatto scempio delle opere e dei monumenti legati alla tradizione culturale, storica e religiosa del Paese (durante questa campagna, le Guardie Rosse di Mao picchiavano a morte chi non era d’accordo o era anche solo sospettato di non essere abbastanza fedele alla linea di Mao e del Pcc); nel 1989 la grande repressione del movimento studentesco in piazza Tienanmen che chiedeva democrazia; e nel 1999 la repressione del Falun Gong e l’inasprimento delle limitazioni alla libertà religiosa.

Praticanti del Falun Gong vengono arrestati in piazza Tiananmen dopo il 20 luglio 1999, per aver chiesto pacificamente al governo di fermare l’ingiusta persecuzione e rispettare il diritto alla libertà religiosa sancito dalla costituzione cinese. La repressione del Falun Gong dura da quasi 20 anni, tuttavia nessun media o individuo è libero di esprimere il proprio dissenso verso la disumana campagna di persecuzione lanciata dall’ex segretario del Partito Comunista Cinese, Jiang Zemin. (Minghui)

Lo Stato in Cina controlla ogni attività sociale, economica e privata, e di contro la democrazia, la libera espressione, la contestazione, la critica, la manifestazione del dissenso o il semplice suggerimento di opinioni differenti sono visti come un enorme «pericolo  per la stabilità sociale» (sociale, dicono le autorità, ma in realtà il pericolo è per chi sta al governo del regime) e sono repressi senza pietà come è accaduto nel 1989 a piazza Tienanmen, dove decine di migliaia di  studenti e lavoratori  sono stati massacrati di botte e hanno perso il diritto allo studio o il posto di lavoro per aver espresso il loro desiderio di democrazia. Ancora oggi, visto che anche internet è controllato dal governo e censurato in tutti i temi sensibili, sul Google cinese, digitando ‘piazza Tienanmen 1989’ non viene fuori nessun risultato, e al contrario si viene immediatamente inseriti nella lista delle persone che verranno monitorate con più attenzione.

La Cina è un Paese dove non si può usare Facebook perché ancora troppo difficilmente controllabile, dove non c’è WhatsApp ma il rivale cinese Wechat, che scarica tutti i dati di ogni singolo utente nel database del governo. È inoltre un Paese dove gli scrittori che hanno il coraggio di pubblicare libri che criticano il Partito, vengono fatti sparire per poi ricomparire dopo mesi in processi pubblici in cui (a causa delle torture subite durante la detenzione nascosta) si scusano e si dichiarano «pentiti per aver pensato male del generoso Partito che li ha sempre trattati così bene».
È un Paese dove l’attenzione per la qualità  dei prodotti in commercio è messa al posto più basso delle scala dei valori, rispetto al prezzo basso e concorrenziale e all’esigenza di conquistarsi il mercato nel più breve lasso di tempo possibile: un atteggiamento che ha generato prodotti quali le vernici tossiche, i gamberetti di gomma, le bevande energetiche fatte con scarti di lavorazione industriale e i prodotti agricoli Ogm coltivati in terreni altamente inquinati dagli sversamenti delle industrie chimiche, che non hanno nemmeno un programma di smaltimento dei rifiuti speciali.

Dal 1976 al 1994, nonostante l’apertura al mondo del periodo di «riforme e aperture» economiche volute da Deng Xiao Ping, che hanno portato solamente cambiamenti all’orientamento economico e benefici materiali, non ci sono stati molti progressi o cambiamenti per quanto riguarda le condizioni di libertà di pensiero all’interno del territorio e l’atteggiamento di conquista nei confronti delle altre nazioni.

Ancora oggi gli avvocati dei diritti umani che cercano di difendere i lavoratori dagli abusi di potere della autorità o i cittadini incarcerati per via della loro fede religiosa, vengono minacciati, diffamati e in molto casi arrestati loro stessi.

I blogger indipendenti che osano criticare le scelte del governo o denunciare casi di corruzione dei funzionari vedono i loro siti bloccati e censurati e le loro vite messe in pericolo.

I cristiani cattolici che non riconoscono l‘autorità del Partito come superiore a quella del Papa vengono perseguitati: da numerosi anni un gran numero di vescovi che hanno osato parlare contro il regime sono in carcere sotto tortura.

Le numerose etnie differenti che resistono all’indottrinamento ateo del Pcc sono trattate con ostilità e violenza: i casi più noti al mondo sono i tibetani e gli uiguri.

I tibetani che non vogliono rinunciare alla loro religione buddista e alla loro lingua subiscono soprusi da molti anni anche se la stampa sembra si sia stancata di parlarne. Le città tibetane sono monitorate con un sistema di videosorveglianza h24 che riprende ogni metro delle strade, così che alla popolazione locale venga impedito di riunirsi in gruppi più numerosi di tre persone o parlare la loro lingua tradizionale. I monaci che dalla rivoluzione culturale degli anni ‘60 sono stati scacciati dai loro monasteri, li hanno visti trasformarsi in musei statali: lucrose mete turistiche che fanno entrare ingenti somme di denaro alle casse della Stato, ma non favoriscono certo l’ambiente adatto alla meditazione a chi ha scelto di ritirarsi dal mondo seguendo una tradizione ascetica millenaria. False scuole di arti marziali, finti reperti storici e discutibili ‘antichi testi’ pullulano in questi luoghi, dove ormai è impossibile distinguere il vero dall’artefatto, lì dove il governo del Pcc ha messo mano.

Jigme Gyatso (alias Golog Jigme), monaco tibetano, sostenitore dell’insegnamento della lingua tibetana e cineasta, parla davanti alla Commissione Esecutiva sulla Cina durante un audizione denominata ‘L’uso pervasivo della tortura in Cina’ all’interno del Congresso americano, il 14 aprile 2016. Jigme è stato torturato dal personale cinese di ‘pubblica sicurezza’ nel 2008, nel 2009 e nel 2012. (Gary Feuerberg/Epoch Times)

Anche la comunità uigura che vive per lo più nella regione dello Xinjiang nel nord-ovest della Cina (proprio sopra il Tibet) subisce la stessa repressione della propria cultura e religione. Gli uiguri che hanno origini vicine a quelle dei popoli che vivono nelle vicine Mongolia, Kazakistan, e Kirghizistan professano la religione islamica e hanno una loro lingua e cultura tradizionale millenaria, molto differenti dall’etnia principale Han di cui fanno parte la maggior parte dei cinesi. Per gli uiguri il Pcc ha fornito un app speciale da installare obbligantemente per legge su ogni cellulare in modo che ogni azione, comunicazione, o movimento possa essere monitorato del governo.

Inoltre il Pcc da molti anni porta avanti, per tutti i propri i cittadini, i programmi ‘Città sicura’ e ‘Cielo Azzurro’ che prevedono alla loro conclusione l’installazione di un sistema di videosorveglianza con telecamere ad intelligenza artificiale per il riconoscimento facciale (fornite e sviluppate da Huawei) tale da ricoprire interamente il vastissimo territorio cinese. Le autorità sostengono che servano a prevenire i crimini, ma nelle aree dove il sistema già funziona perfettamente i cittadini stessi, in vari blog , si sono spesso lamentati del fatto che il numero di arresti dei veri criminali non sia aumentato di molto e siano invece aumentati i fenomeni di repressione del dissenso, per quelle categorie di persone invise al Pcc. Non a caso molti osservatori internazionali hanno definito il sistema capillare di video sorveglianza che ora ha ricoperto tutte le principali città della Cina come la realizzazione dell’incubo orwelliano del Grande Fratello. A detta delle autorità di Pechino, il raggiungimento dell’obietto di coprire tutto il territorio, comprese le campagne, non è molto lontano dal realizzarsi.

Telecamere di sicurezza installate all’ingresso della Moschea di Id Kah nella città di Kashgar, regione autonoma dello Xinjiang, Cina. Immagine scattata il 4 gennaio 2019. (Ben Blanchard/Reuters)

Infine il governo sta lanciando una Carta sociale del cittadino a punti, tramite la quale ogni singolo cittadino riceverà un punteggio in base alle proprie azioni o all‘uso che fa dei propri profili social: più si e allineati con il Pcc, più si accumulano punti; più gli si va contro, più si perdono punti e insieme con essi alcuni diritti come la possibilità di viaggiare, di ottenere permessi, documenti anagrafici, passaporto eccetera. Se per esempio si parcheggia male la bicicletta o si ha voglia di andare in una chiesa che non è tra quelle approvate dal regime, i punti si abbasseranno e probabilmente non si potrà comprare il biglietto del treno per andare a trovare un parente in un’altra città, o, al contrario, se si inneggia al Partito e si insegna ai propri figli o a scuola a disprezzare la democrazia o si fanno arrestare i propri vicini perché praticano il Falun Gong, si acquisteranno punti e si avranno sempre più benefici.

Sembra paradossale che esista una tale carta quando, sebbene in Cina si sbandierino ad ogni istante i principi del buon governo, della grandiosità e lungimiranza del Partito Comunista Cinese, la corruzione dilaga in modo irreparabile ormai in ogni angolo delle amministrazione pubbliche, delle imprese statali, delle attività economiche generali; dalle più semplici azioni del singolo cittadino, come richiedere un documento al municipio locale, fino alle enormi transazioni finanziere delle grandi aziende, senza una mazzetta o un  ‘aggancio politico’ con il Pcc, tutto si muove lentamente e farraginosamente senza garanzie di successo, a meno che non si ‘unga’ profumatamente chi di dovere.

Se poi si vuol parlare dei diritti umani sarebbe difficile farlo, in parte perché gli avvocati che se ne occupano non hanno vita lunga e in parte perché chi è stato vittima di ingiustizia (per non aver ottemperato ai doveri e agli obblighi previsti dal Pcc) dopo essere stato messo a tacere e arrestato, ha poche strade: o la prigione o i campi di lavoro di forzato/centri di ‘rieducazione’, dove si lavora gratis per lo Stato senza neanche aver subito un vero e proprio processo che attesti la reale colpevolezza e si subiscono ogni genere di torture fisiche e psicologiche; a volte si viene tenuti in vita finché gli organi non risultano utili ad un trapianto: è il fenomeno del prelievo forzati di organi da persone viventi. I prigionieri di coscienza in Cina (cristiani cattolici, tibetani, praticanti del Falun Gong, uiguri e avvocati dei diritti umani) vengono usati come banca vivente di organi per i trapianti: queste persone vengono tenute in carcere sotto stretta sorveglianza finché a qualcuno non servano i loro organi, che verranno prelevati con la forza, uccidendo la vittima. La differenza tra la Cina ed altri Paesi come l’India, il Brasile e l’Africa, dove è possibile si verifichino casi simili, è che in questi Paesi, a condurre queste pratiche abominevoli sono le organizzazioni criminali, mentre in Cina è lo Stato stesso che effettua i trapianti (mediante gli ospedali militari e statali) e guadagna miliardi.

L’avvocato dei diritti umani David Matas, coautore di un rapporto investigativo sul prelievo forzato di organi dai prigionieri di coscienza in Cina, tiene in mano una copia del rapporto durante una audizione del Parlamento canadese il 29 maggio 2007 (Epoch Times)

Quando si parla di queste atrocità, spesso si pensa che l’incubo o il pericolo riguardi solo i cinesi o le nazioni confinanti, ma analizzando le azioni compiute dal Pcc all’estero, il quadro che si delinea non è piacevole.

Come è stato per l’Urss comunista quando era all’apice della sua potenza, anche la Cina aspira ad espandere il suo impero e ad esportare il suo sistema politico verso i Paesi che la circondano. I Paesi asiatici che sono vicini alla Cina sono come i Paesi dell’Est Europa nei primi anni del Novecento per la Russia: i grandi sistemi centralizzati che vogliono accresce il loro potere e la loro egemonia hanno bisogno di sempre più territori, sempre più risorse, sempre più tecnologa avanzata, e questo ‘giustifica’ il loro atteggiamento predatorio nei confronti dei vicini e dei più deboli.

Già all’interno del territorio cinese, le condizioni imposte alle aziende estere che vogliono investire in Cina, sono alquanto insolite ed ingiuste: in cambio della concessione del suolo e della mano d’opera, bisogna condividere il proprio know-how e la propria tecnologia. È stato così per i treni ad alta velocità Shinkansen, inventati e costruiti in Giappone, e poi esportati in Cina, in un mercato che avrebbe aperto la possibilità di miliardi di guadagni, vista la vastità del territorio. Gli investitori giapponesi hanno pianto amaramente la loro scelta, quando si sono resi conto che i cinesi hanno acquisito i segreti delle loro invenzioni e hanno iniziato a costruire i propri treni escludendoli gradualmente dal mercato e mandando all’aria i loro probabili futuri guadagni miliardari.

Sono stati inoltre sconfitti i colossi Apple e Amazon che, dopo anni di battaglie per conservare la propria indipendenza, nel 2017 hanno consentito la censura del Pcc in Cina sulle loro piattaforme. Inoltre all’inizio del 2018 Apple, che nel 2016 aveva resistito alle pressioni dell’Fbi che chiedeva di ottenere i dati di accesso di un utente sospettato di terrorismo, ha invece ceduto interamente il cloud di tutti i miliardi di cittadini cinesi al regime di Pechino: l’icloud degli utenti cinesi sono infatti ora su server cinesi che sono gestiti per lo più dell’intelligence comunista.

Tutto questo va tenuto in conto, quando si fanno affari con la Cina che possono mettere a rischio la sicurezza nazionale.

 

 
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