Capitalismo comunista – I

In Cina, nel momento in cui il sistema economico capitalista si è fuso con il comunismo si è creata un’unica struttura politica ed economica che non corrisponde né al socialismo né al capitalismo democratico. Io l’ho chiamato Capitalismo del Partito Comunista. Questo sistema viene utilizzato per rafforzare il regime autoritario, essenza del modello cinese.

In passato, l’obiettivo del Partito Comunista Cinese (Pcc) era sradicare il capitalismo: la Cina maoista eliminò completamente la proprietà privata, mentre alla popolazione veniva sottratta la maggior parte dei beni; a quel tempo, al di fuori dei privilegi politici, la classe dirigente del Pcc e la ‘seconda generazione rossa’ non possedevano né ereditavano alcuna attività o proprietà dai propri familiari.

All’inizio dell’era di Deng Xiaoping, il regime rosso e il sistema economico capitalista si unificarono. Il Pcc non ha solamente consentito lo sviluppo del capitalismo: i suoi capi sono perfino diventati i più ricchi e potenti capitalisti cinesi.

Non è una novità il fatto che i Paesi socialisti ritornino, presto o tardi, a essere capitalisti. Nel 1988 a Vienna, in Austria, è stato tenuto un seminario di discussione per riformare il socialismo. Un economista proveniente dall’Ungheria comunista intervenne durante il meeting scioccando i partecipanti: disse che il socialismo non era molto più che una transizione da capitalismo a capitalismo; secondo il suo parere, il socialismo avrebbe avuto vita breve e i Paesi che si erano trasformati da capitalisti a socialisti presto sarebbero ritornati a essere capitalisti. Un anno più tardi, questa opinione fu confermata dalla disintegrazione del blocco comunista dell’Unione Sovietica e dell’Europa dell’Est.
Ma questo significa che il capitalismo clientelare è l’unica via per riformare i Paesi socialisti? Il modello cinese è l’unico possibile? Dopo anni di ricerche sulla transizione dal socialismo, ho scoperto che ci sono almeno tre percorsi per ritornare dal socialismo al capitalismo, e sicuramente, quello che ha scelto la Cina è il peggiore.

PERCORSI DI TRANSIZIONE DAL SOCIALISMO AL CAPITALISMO

Quando un Paese comunista diceva addio al modello socialista stalinista, doveva intraprendere una via di transizione istituzionale. Questa transizione fa riferimento al sistema economico di liberalizzazione o alla ristrutturazione economica, che include il rimpiazzo della proprietà pubblica con la privatizzazione, la sostituzione di un’economia pianificata con una orientata al mercato e un passaggio politico in termini di democratizzazione.

Dal 1989 a oggi i regimi comunisti di tutto il mondo, a eccezione della Corea del Nord, hanno incominciato a cambiare (in alcuni questa trasformazione è completata). Esaminando questi percorsi, possiamo notare che la trasformazione economica è relativamente semplice da attuare, mentre quella politica si rivela molto difficile. Negli anni ’80 la Cina è stata pioniera della trasformazione economica, ma in campo sociale e politico è ancora oggi arretrata a causa della sua opposizione alla democrazia.

In tutti i Paesi comunisti, una volta che la transizione è iniziata, la leadership rossa prova a impossessarsi della nazione sfruttando il proprio potere. Questo scenario non è comunque una situazione inevitabile. Per ora, in generale, sono tre i modelli di trasformazione economica e politica visti attuare da ex paesi socialisti.

MODELLO CENTROEUROPEO

Il primo modello è il centroeuropeo, che include Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Il cambiamento politico in questi Paesi è stato dominato dalla classe degli intellettuali che si opponevano ai regimi. In questi Stati il coinvolgimento della dirigenza comunista nelle economie è stato eliminato. La principale linea degli intellettuali non si basava sul dividere il potere o sul riconciliarsi con chiunque della classe dirigente rossa. Per loro era centrale sradicare quanto più possibile i rimasugli della cultura del partito comunista.

Agli occhi dei popoli dell’Europa centrale, i regimi comunisti erano solo dei burattini dell’Unione Sovietica che era ormai ora di mettere da parte. Di conseguenza, le leadership rosse di questi Paesi non avevano la libertà e il potere di fare quello che avrebbero voluto durante la trasformazione, dovevano affrontare un’enorme pressione sociale. Non potevano manipolare il parlamento o fare fortune attraverso la privatizzazione, e quindi non hanno tratto molti vantaggi da queste ‘rivoluzioni’. Lo status socio economico di circa un terzo dei membri delle leadership rosse cadde, e circa la metà di questi optò per un pensionamento anticipato.

Molti studiosi statunitensi si sono riferiti a questo modello di transizione chiamandolo: «creazione di un capitalismo senza i capitalisti». Con questa affermazione sottile, intendevano dire ‘senza i capitalisti rossi’. I vecchi capitalisti erano già stati eliminati durante l’era comunista. Se molti nuovi ricchi sono emersi in poco tempo dopo la ristrutturazione, molti di loro dovevano provenire obbligatoriamente dalla classe rossa dirigente. In sintesi, il modello dell’Europa centrale è stato un ricostruire il capitalismo senza la classe dirigente rossa, un processo di trasformazione che si configura come stabile poiché non lascia al comunismo l’opportunità di un ritorno.

MODELLO RUSSO

Il secondo è il modello russo, in questo l’ex dirigenza rossa diventa democratica, è compartecipe dei benefici della transizione e intasca notevoli profitti. Allo stesso tempo, il popolo viene reso parte del processo di privatizzazione e acquisisce un proprio potere d’acquisto.

È la tipica strada del ‘cambiare tutto affinché nulla cambi’. Se lo si confronta con il modello centroeuropeo, il modello russo è un ‘capitalismo dei compagni’ in cui la nuova dirigenza consiste soprattutto di ex quadri.
È inoltre un tipo di capitalismo clientelare: diversamente dal modello cinese, i membri della nuova élite transitati dal vecchio regime, non sono più membri del partito comunista, e il sistema democratico può essere facilmente manipolato dalla vecchia élite, sebbene non possa essere completamente ribaltato. In questo modo il nuovo sistema porta con sé profonde tracce del vecchio.

IL MODELLO CINESE

Il terzo è il modello cinese. Le sue caratteristiche principali riguardano il fatto che il Pcc ha abbandonato il sistema economico socialista istituito nei primi trent’anni durante l’era di Mao Zedong. Stessa cosa per la proprietà globale statale e l’economia pianificata.
Quello cinese è  un modello che si serve del capitalismo del Partito Comunista per rinforzare il sistema autoritario istituito da Mao.

I dirigenti rossi (e i rispettivi clan) tutelavano i propri privilegi grazie al potere politico e, con ogni probabilità, erano fra i soggetti più ricchi in Cina. Si tratta di famiglie che hanno accumulato enormi ricchezze, nella fase in cui il Paese era in preda all’incontrollata e dilagante corruzione che ha introdotto il processo di privatizzazione.

La corruzione politica porta inevitabilmente all’iniquità sociale. Quando ricchezza e opportunità sono unicamente controllate dalla classe dirigente, la numerosa classe inferiore accumula inevitabilmente risentimento nei confronti dei propri leader, dei funzionari e dei ricchi in generale.

Il dottor Cheng Xiaonong è uno studioso di politiche e economia cinese che vive a New York. Si è laureato alla Renmin University, dove ha conseguito un Master universitario, e alla Princeton University, dove ha conseguito il dottorato in sociologia. In Cina, Cheng era ricercatore politico e assistente dell’ex leader del Partito Zhao Ziyang, quando questi era premier. Cheng è stato visiting scholar all’Università di Gottingen e Princeton e ha contribuito come editore capo al giornale ‘Modern China Studies’. I suoi commenti e articoli appaiono regolarmente nei media cinesi.

Articolo in inglese: Capitalism With Chinese Characteristics: From Socialism to Capitalism

 

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