Ascesa e declino del giornalista-simbolo del comunismo cinese

Fan Changjiang, giornalista del quotidiano Ta Kung Pao diffuso durante la Repubblica di Cina (1912-1949), era un fedele e orgoglioso comunista. Questo giornalista dichiarava con orgoglio: «Nei quotidiani e nei libri pubblicati legalmente sotto il governo nazionalista, io sono stato il primo a chiamare [i comunisti, ndr] ‘Armata rossa’, non ‘banditi’. E a dichiarare che l’Armata rossa era in marcia verso nord per combattere i giapponesi, e che non stavano fuggendo come vigliacchi». Fan Changjiang parlava della Lunga Marcia, la grande ritirata militare del Partito Comunista Cinese dalle sue basi nella Cina meridionale. Il Pcc prima di salire al potere nel 1949, negli anni ’20 e ’30 era un’organizzazione clandestina eversiva in lotta con il governo nazionalista cinese.

Fan Changjiang è un personaggio che oggi gran parte dei cinesi non ricorda. Ma il suo successo come giornalista comunista di primo piano gli permise di stringere rapporti con i leader del Pcc, compreso Mao Zedong. La sua caduta in disgrazia rispecchia la sorte di innumerevoli intellettuali cinesi e rivoluzionari della prima ora, che dopo aver dedicato la propria vita alla causa comunista, sono diventati a loro volta vittime delle violente campagne persecutorie del Pcc.

Lavorando per il Ta Kung Pao, Fan era diventato celebre per i suoi servizi sulle basi comuniste stanziate nella provincia dello Shaanxi, nella Cina Nord-occidentale, dove il Pcc si era stabilito dopo la ritirata al termine della Lunga Marcia. Una fuga che Fan dipingeva come un eroico viaggio verso nord, dove i comunisti erano diretti per affrontare gli invasori giapponesi.

Nel 1931 i militari giapponesi presero il controllo della Manciuria, un territorio ricco di risorse nel Nord-est della Cina, e fondarono uno Stato coloniale chiamato Manchukuo; a quel punto Chiang Kai-shek, leader della Repubblica di Cina, evitò lo scontro aperto e si limitò a rinforzare l’esercito cinese in vista di un eventuale conflitto totale contro il Giappone. Il Partito criticò aspramente la strategia di Chiang, e propose la creazione di un «fronte unito» tra comunisti e nazionalisti per combattere i giapponesi. Ma l’obiettivo reale era evitare che il Pcc venisse annientato dall’esercito nazionalista. I comunisti propagandisti come Fan Changjiang, per assicurarsi il sostegno delle masse diffondevano slogan del tipo: «i cinesi non dovrebbero uccidere i cinesi».

Fan Changjiang era molto utile al Partito Comunista, poiché il Ta Kung Pao era un quotidiano accreditato a livello nazionale, noto per l’indipendenza e per l’imparzialità dei suoi articoli. Fan e altri giornalisti di estrema sinistra magnificavano sistematicamente il Pcc e al contempo gettavano fango sul governo nazionalista, scontrandosi in questo modo su quello che Zhou Enlai, braccio destro di Mao, definiva il fronte della propagandaPrima di suicidarsi, durante la rivoluzione culturale Fan ricordò: «Al tempo ero libero di scrivere praticamente tutto quello che volevo […] Qualunque cosa scrivessi, il Ta Kung Pao l’avrebbe pubblicata rispettando il mio pezzo».

In circa settanta resoconti di viaggio, Fan registrò vividamente le difficoltà di chi viveva nel Nord-ovest, criticando le politiche del leader nazionalista Chiang Kai-shek, glorificando l’Armata rossa e dipingendola come dei rivoluzionari in stile Robin Hood. Una volta Fan scrisse: «Liu [Zhidan, ufficiale dell’armata comunista, ndr]  è stato toccato dalla sofferenza dei contadini locali, e poiché si è nutrito dell’ideologia comunista è riuscito a trasformare strategicamente le attività di banditismo in un movimento sociale».

Il direttore del Ta Kung Pao, tranne l’occasione in cui gli aveva fatto abbassare i toni di una cronaca, nei tre anni in cui Fan promuoveva l’ideologia comunista e le azioni del Pcc, non aveva mai modificato una sola parola.

AL SERVIZIO DEL PARTITO COMUNISTA CINESE

Gli articoli di Fan Changjiang, raccolti nel libro L’angolo Nord-occidentale della Cina e ristampati varie volte, svolsero un ruolo cruciale nel ribaltare la percezione tradizionalmente negativa dei comunisti all’interno del territorio controllato dai nazionalisti.

 Il giornalista Fan Changjiang (dx) incontra il leader del Pcc Mao Zedong negli anni ’30.

Ma i contributi di Fan al Partito Comunista Cinese non si limitavano a questo: nel 1936, dopo l’alleanza del Pcc con i nazionalisti, che diede vita al Secondo Fronte Unito, tornò nella base comunista di Yan’an e intervistò Mao Zedong. Il giornalista strinse un rapporto così stretto con Mao, che il leader si rivolgeva a lui chiamandolo «fratello» in una lettera in cui encomiava il suo lavoro di propaganda. Nel 1938 Fan fondava poi l’Associazione dei Giovani Giornalisti Cinesi, in cui riuniva i giornalisti pro-comunismo; l’anno successivo divenne membro del Pcc lasciando ufficialmente il Ta Kung Pao, in seguito a una lite con il capo redattore a causa delle sue posizioni ideologiche.

Lasciare il Ta Kung Pao significò per Fan la morte, in termini di professionalità: lo Xinhua Daily, che il giornalista contribuì a diffondere nelle aree controllate dal Pcc, non era altro che un organo di informazione del Partito.
Nel corso degli anni successivi, in ogni caso, Fan godeva di numerosi privilegi, fra cui la direzione del Liberation Daily e del People’s Daily, e la nomina a membro del Consiglio di Stato.

Ma, come per molti altri funzionari durante la Rivoluzione Culturale di Mao, tutto cambiò in un attimo. Insieme a milioni di insegnanti, intellettuali, funzionari e altri appartenenti alle cosiddette ‘Cinque categorie nere’, Fan Changjiang venne perseguitato e bollato come ‘controrivoluzionario’. Proprio lui, che in passato aveva contribuito a plasmare i cuori e le menti dei cinesi, indirizzandoli contro i «nemici del comunismo», nel 1969 veniva a sua volta spedito in un campo di ‘rieducazione attraverso il lavoro’. Quello che un tempo considerato uno dei ‘fratelli’ di Mao, veniva improvvisamente considerato feccia.

Nel campo era sottoposto a una sorveglianza incessante, e durante le sessioni politiche ‘di lotta’ sopportava umiliazioni e percosse: spesso l’anziano e malato Fan doveva trasportare pesantissimi secchi di letame, e mentre era costretto a fare i lavori più duri e sporchi le guardie lo picchiavano perché era troppo lento.
Dopo tre anni di tormenti, Fan Changjiang raggiunse il limite della sopportazione: una settimana dopo il suo sessantunesimo compleanno si buttò in un pozzo. Il suo corpo venne frettolosamente recuperato, avvolto in fogli di plastica e buttato in un fosso.

Articolo originale: The Journalist Who Served the Party Until He Was Driven to Kill Himself

Traduzione di Marco D’Ippolito

 
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