4 giugno 1989, il sangue di piazza Tienanmen

Il 4 giugno 2018 ricorre il 29esimo anniversario della nota protesta studentesca in piazza Tienanmen. Per l’occasione, le Mamme di piazza Tienanmen (un’associazione di madri che hanno perso i figli durante la feroce repressione del Partito Comunista Cinese del 4 giugno 1989) hanno inviato una lettera a Xi Jinping, chiedendogli di rivelare pubblicamente la verità su quegli eventi, che per i cittadini cinesi restano ancora un mistero.

LE MAMME DI TIENANMEN

Il primo giugno, sei madri hanno inviato una lettera pubblica a Xi Jinping, chiedendo di rivalutare l’evento del 4 giugno e facendo tre richieste: che venga detta la verità sui fatti, che venga garantito un risarcimento alle famiglie delle vittime e che qualcuno si prenda la responsabilità delle azioni compiute dal governo.

«In quella burrascosa estate del 1989 – hanno scritto le mamme nella lettera – il rumore dei cingoli dei carri armati e gli spari dei fucili hanno spezzato i sogni di tutti. Le proteste del popolo contro la corruzione e le richieste di più libertà e democrazia hanno ricevuto come risposta l’inizio di una battaglia sanguinosa, e voluta dal governo».
Le donne hanno espresso tutta la loro delusione e tristezza: in 29 anni dalla tragedia, il Pcc non ha mai chiesto alle famiglie delle vittime come stessero, non ha mai consolato, né chiesto perdono o fatto una semplice ammenda, come se il massacro che ha scioccato il mondo intero, non fosse mai accaduto. «La freddezza del governo ha colmato di tristezza i nostri cuori ed è penetrata così profondamente in noi da gelarci le ossa», scrivono le mamme.

Le mamme di Piazza Tienanmen. (canyu.org)

Nel corso degli anni, queste donne hanno impiegato ogni mezzo per ottenere l’attenzione del governo, senza mai ottenere la minima risposta. Adesso «Xi Jinping promuove sempre i valori del cuore, che includono libertà, democrazia e governare secondo la legge. Il presidente conosceva bene la situazione della protesta del 4 giugno: gli studenti volevano solo l’inizio di una campagna anticorruzione, cosa hanno fatto di male? Perché sono stati trattati con violenza dall’esercito? Per questi motivi abbiamo scritto proprio a lui, sperando che possa essere più lucido e sincero [dei suoi predecessori, ndr] e fare il suo dovere in merito a questi fatti».
Nella lettera delle mamme si fa riferimento anche a diverse madri che – non riuscendo a sopportare il dolore per la perdita dei figli – si sono tolte la vita.

La storia della protesta del 4 giugno nella Cina comunista è un argomento proibito. E le famiglie delle vittime sono abbandonate a se stesse, di loro nessuno si ricorda. Tranne i poliziotti, che vanno a ‘visitarle’ di frequente per controllarle, specialmente in corrispondenza delle date sensibili come il 4 giugno (alcune sono obbligate a spostarsi in un’altra città, così che non possano manifestare o fare appelli al governo).
Anche Zhang Xianling conferma che proprio in questi giorni è sotto stretta sorveglianza: «C’è sempre una persona fuori dell’ascensore» per impedirmi di incontrare i giornalisti, «di solito il 4 giugno andiamo al cimitero per ricordare le nostre famiglie, ma possiamo andarci solo accompagnate dalla polizia, per non sfuggire al controllo del governo».

Quest’anno il Pcc ha vietato in maniera particolare tutte le attività per ricordare il 4 giugno, in ogni angolo della Cina. Nella lettera, le mamme hanno anche chiesto di lasciare spazio alle discussioni sulla protesta per «far sapere a tutti di questi fatti. Perché la verità non può essere nascosta per sempre».

ATTIVISTI COSTRETTI AL SILENZIO

Lo stesso giorno dell’invio della lettera (il primo giugno) Chen Siming, attivista dei diritti umani di Zhuzhou, ha pubblicato una foto per commemorare l’anniversario. Subito dopo si è trovato a casa la polizia, che gli ha ordinato di non muoversi dalla città fino al 10 giugno e di non svolgere nessuna attività il giorno quattro.

He Weijia e Chen Siming ricordano la protesta del 4 giugno con dei cartelli. (Screenshot, Twitter)

Chen Siming è un caso emblematico, rappresentativo di innumerevoli altri: un informatore ha confidato a Epoch Times che l’attivista ha fatto una foto davanti a un carro armato e l’ha pubblicata su internet: per questo è stato ‘visitato’ dalla polizia. Che ne sarà di lui, come spesso accade a chi viene arrestato in Cina, è un mistero: forse verrà lasciato in ‘semi-libertà’, forse sparirà per sempre, come innumerevoli altri suoi connazionali che hanno osato chiedere libertà e giustizia al regime comunista cinese.

Il 4 giugno 2017 un uomo di Nanchino, Shi Tingfu, ha indossato una maglietta con la scritta ‘Non dimenticare il 4 giugno’, e ha raccontato la storia della protesta di piazza Tiananmen ai passanti davanti al museo del Memoriale del massacro di Nanchino. È stato arrestato e condannato a un anno di carcere.

Ogni anno i cittadini cinesi usano vari modi originali e particolari per ricordare l’evento. Su internet pubblicano alcune frasi in cui sono nascoste le parole ‘quattro’ e ‘sei’ (riferimento al 4/06/1989). Altri fanno foto con le dita che indicano questi numeri, mentre gli artisti usano le loro opere per rappresentare in qualche modo la dicitura ‘4 giugno’.
Il nostro informatore commenta: «Il 4 giugno è una ferita nel popolo. È passato così tanto tempo e il governo non ha mai detto una parola. Ma chi ha ancora una coscienza, chi sa la verità, non dimenticherà mai quel giorno in cui gli studenti e tante altre persone sono state vittime di tanta ingiustificata spietatezza».

 
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